giovedì 21 gennaio 2010

Pittura e poesia, linguaggi di denuncia


Allegorie figurali in pittura.

Quando osserviamo un’opera pittorica tipicamente figurativa, per comprendere appieno il messaggio è opportuno considerare alcune semplici regole e ricordare che l’operatore per trasferire messaggi visivi complessi si avvale delle allegorie che il linguaggio comune assegna ai soggetti inseriti nell'opera e non considerare il quadro come un’operazione decorativa fine a se stessa da collocare sopra il divano perché fa pendant col salotto o il paralume. In sintesi: aprire la mente ai linguaggi della visione contemplativa; cercare le allegorie figurali prodotte dall’artista; accogliere, comprendere, dialogare.

La metafora pittorica condensa forza oratoria e alchimia grafica in pochi centimetri quadrati.

Alcune allegorie sono parte attiva dei linguaggi simbolici comuni. Tra questi, il simbolo della Croce è, per il mondo Cristiano, sinonimo di Amore Universale, mentre la colomba assurge a rappresentazione di Pace tra gli uomini, così come il ramoscello d’ulivo.
Anche un cuore graffiato sul muro o inciso sulla pelle esprime passione per qualcuno. E fin qui tutto scontato! Il problema si pone davanti a simbologie figurali personalizzate. Allorquando l’artista per realizzare nell’immediatezza visiva un tema complesso come la pace o altro esprime concetti pittorici inusuali. Innovazione e personalizzazione dei linguaggi stentano a essere recepiti dalla massa specie in quei territori poveri di stimoli culturali marchiati dall’infamia sociale della disoccupazione, dall’ignoranza e dalla sottocultura dei dirigenti.
In simili situazioni l’artista che vuole “parlare” alla massa ed esplicitare con la figurazione un qualsiasi tema sociale si guarda intorno, valuta le difficoltà oggettive e associa a qualcosa di caratteristico legato al territorio il dato peculiare del tema da sviluppare.
Trattandosi di un territorio prevalentemente montuoso come quello calabrese composto di poche pianure, dirupi, rocce, strade tortuose, vegetazione, sole, mare e stili di vita spartane, l’artista non può che correlare la calabresità al paesaggio, che, trattato diligentemente dall’uomo, diventa espressione di generosa ospitalità e sostentamento collettivo.

Nel paesaggio calabrese, la pianta dei fichi d’india è una varietà vegetativa spontanea che cresce e fruttifica senza l’intervento amorevole dell’uomo persino sulle rocce. Ha foglie larghe e carnose punteggiate di aculei; anche il frutto, variegato nei colori e nel sapore, è protetto da una corazza carnosa ricoperta di spine, che, se lasciata macerare nell’alcol trasmette al liquore ottenuto, qualità organolettiche digestive. Insomma, quanti ignorano le molteplici peculiarità della pianta, difficilmente riescono a trovare nessi logici del suo inserimento in un contesto figurale pittorico. Eppure chi conosce l’animo del meridionale in generale e Calabrese in particolare intuisce immediatamente la metafora tra la ruvidità esteriore dei calabresi e la spartana pianta in questione.

mario iannino

senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi, alzandovi.
Ripetetele ai vostri figli.
(...)
(se questo è un uomo; Primo Levi)
Fatti, vissuti in prima persona per non dimenticare! e solidarietà universale per evitare che si riproponga un periodo di oscurantismo morale e intellettuale genaralizzato.

mercoledì 20 gennaio 2010

fernanda pivano e la beat generation


Fernanda Pivano e la beat generation
Per Fernanda, i tanti autori conosciuti in prima persona non sono strumenti di semplici pezzi di storia letteraria ma frammenti della sua esistenza in cui si uniscono anni di vita e di studio, tant’è che definisce genericamente " miei eroi" la totalità; "miei beat" Ginsberg e Kerouac, e “miei maestri” Abbagnano, Hemingway e Pavese. Hemingway e Pavese, agli occhi di Fernanda Pivano, hanno in comune una integrità professionale e morale assoluta.
Attenta alle mutazione della società e della cultura americana traduce Hemingway, Faulkner, Fitzgerald e li propone in Italia nella sua pubblicazione degli scrittori contemporanei più rappresentativi: dagli esponenti del movimento nero, come Wright; ai protagonisti del dissenso non violento degli anni '60, Ginsberg, Kerouac, Burroghs, Ferlinghetti, Corso; fino agli autori "minimalisti", prima Carver poi Leavitt, McInerney, Ellis.
L’“esploratrice” italiana della beat generation, Fernanda Pivano, Figlia di Riccardo, illuminato miliardario possessore di una banca, e della bellissima Mary Smallwood, nasce a Genova il 18 luglio del 1917, dopo le elementari, nella scuola svizzera, l'infanzia genovese, all’età di 9 anni si trasferisce a Torino e qui, al liceo d'Azeglio, incontra Primo Levi. Laureatasi nel 1941 con una tesi su Moby Dick, due anni dopo inizia l’attività letteraria sotto la guida di Cesare Pavese con la traduzione dell'Antologia di Spoon River di E.L.Masters. Allieva di Pavese e Nicola Abbagnano, ordinario di storia e filosofia dell’università di Torino, esponente della corrente esistenzialista italiana e fondatore dell’esistenzialismo positivo, consegue una seconda laurea in filosofia nel 43, lavora al fianco di Abbagnano come sua assistente per diversi anni.
Fernanda, innamorata della letteratura, nel 1948, a Cortina, conosce Hemingway e traduce il suo Addio alle armi. Nel 1949 sposa Ettore Sottsass jr, che fotografa e immortala i tanti viaggi indimenticabili e gl’incontri con Allen Ginsberg, Jack Kerouac, Gregory Corso, Lawrence Ferlinghetti, Neal Cassidy.
Nanda, s’innamora della letteratura americana per la forma scarna della narrazione, in netta antitesi con la tradizionale letteratura pragmatica e accademica europea; letteratura libresca, basata su indagini psicologiche.
"Mi hanno attaccata per non aver mai valutato i libri, ma io mi sono limitata ad amarli, non a valutarli: questo lavoro lo lascio ai professori".
Questa sua frase evidenzia il distacco dall'estetica pura impartita nei corsi di studi convenzionali e basa l’interesse letterario personale sulle vicende biografiche, sull'ambiente e sui fermenti sociali in cui sono immersi gli autori.
Bellezza e utilità dei volumi da lei tradotti è spesso documentata nelle lunghe e introduzioni accompagnate da saggi biografici. Dall'osservazione della realtà americana nascono i saggi: "America rossa e nera" (1964); "L'altra America negli anni Sessanta" (1971); "Beat Hippie Yippie" (1977); "C'era una volta un beat" (1976); "Il mito americano" (1980). Altri scritti sono raccolti anche in "La balena bianca e altri miti" (1961); "Mostri degli anni Venti" (1976).
Il primo viaggio negli Stati Uniti e' del 1956 e in India del 1961. Nel 1959 esce in Italia, con la prefazione della Pivano, Sulla strada (Mondadori) di Kerouac e nel 1964 Jukebox all'idrogeno di Ginsberg da lei curato e tradotto.
Nella sua movimentata vita, come già visto, incontra i maggiori scrittori contemporanei: Saul Bellow, Henry Miller, John Dos Passos, Ezra Pound, Gore Vidal, Jay McInerney, Judith Malina e il Living Theater e gli italiani Giuseppe Ungaretti, Alfonso Gatto, Salvatore Quasimodo.
Nel 2001 si reca a Ketchum, nell'Idaho, in un viaggio che la riporta nei luoghi della beat generation e dei suoi amici scrittori per il film documentario A farewell to beat di Luca Facchini.
Ma, Nanda è anche pianista! Diplomata al decimo anno di conservatorio, apprezza ed entra in sintonia con molti musicisti, tra questi: Bob Dylan, Lou Reed, Jovanotti, e Fabrizio De Andrè che considera enfaticamente e con affetto il piu' grande poeta italiano del secolo al quale dedica un testo che ha lo stesso titolo della canzone di De Andrè “La guerra di Piero” interpretato da Judith Malina. In occasione dei suoi 90 anni, nel 2007, conferma la sua gratitudine agli intellettuali che le hanno consentito di coltivare la passione per l’arte: "ho avuto due o tre eroi nella mia vita: il più grande e' stato Ginsberg. In America stanno pubblicando le lettere che mi ha scritto, mi raccontava cosa aveva visto dovunque andasse. Hemingway e' stato al di la' della misura. I miei maestri prima dell'America sono stati Pavese e Abbagnano, mi hanno insegnato tutto quello che so. Sono stata un'esistenzialista".
Per concludere, Fernanda Pivano è stata una figura carismatica della cultura italiana antifascista, frequentò poeti e scrittori della Beat Generation. Visse in America, a stretto contatto con Kerouac e gli atri artisti del movimento beat ma mai si lasciò tentare dai paradisi artificiali usati dai suoi amici per esplorare i mondi del subconscio; nemmeno uno spinello, diceva, niente alcol, funghi e peyote, Lsd e tutto il resto, nemmeno a pensarci. In America dal 1956, capì subito la novità rappresentata dai cercatori di nuovi stati di coscienza. Giovani contestatori che modulavano prose e versi sui battiti del bebop, il jazz esistenzialista di Charlie Parker, (secondo alcuni, padre dello stile jazz chiamato bebop. Virtuoso del proprio strumento, che suonava con una tecnica eguagliata da pochi, fu anche un personaggio dalla vita tormentata, segnata dalla dipendenza dalla droga e dall'alcool: il peggio di uno stile di vita che echeggiò al di fuori del campo strettamente musicale; ispirò i poeti della beat generation, nelle cui liriche, il jazz e Parker stesso sono citati.) i musicisti neri si pongono due obiettivi: liberarsi dai rigidi arrangiamenti delle big band per esprimersi e manifestare liberamente la loro ribellione al mondo ipocritamente sorridente di quegli anni.
Per Jack Kerouac, Allen Ginsberg, Gregory Corso, Lawrence Ferlinghetti, Nanda fu una affettuosa sorella maggiore, una vice-madre saggia e comprensiva. Fu lei a tradurre i loro libri, a battersi perché opere come Sulla strada e Urlo fossero pubblicate in Italia. Dedicò soprattutto ai poeti i suoi sforzi maggiori, componendo l’antologia Poesia degli ultimi americani (Feltrinelli) con la quale offrì ai lettori italiani un tesoro di novità. Li ospitò nella sua casa a Milano (in quel periodo, Nanda era ancora sposata con l'architetto Ettore Sottsass), li aiutò e si fece spiegare il senso e le allusioni della loro lingua da iniziati, senza pregiudizi. In una rara intervista televisiva realizzata per la Rai, Fernanda Pivano chiese a Kerouac: «Jack, dimmi, ma perché non sei felice?» E lui, visibilmente deturpato dall’alcol, non rispose.

domenica 17 gennaio 2010

egocentricità dell'apparire: essere o esporsi?


Vi è un modo tutto particolare di leggere le azioni dell’uomo. Un modo opportunista, a volte, che antepone la visibilità esteriore, egocentrica, dell’attore primario alla morale comune del vivere. Oppure, la rivalsa postuma di congiunti che non vogliono ammettere umani errori perpetrati dai padri; il rammarico tardivo di codardi “beneficiati”, amici dell’ultima ora, fans.
Nel grande e capiente calderone del web le notizie non mancano; ogni persona ha l’opportunità di esprimere la propria opinione in merito a faccende private e collettive. Può documentarsi e dire la sua versione dei fatti. Anche se, il maggior spazio lo occupa sempre e comunque il personaggio famoso, il dato positivo è che chiunque può suggerire e far intendere, a quanti millantano ipotetici adepti, di non esagerare nelle esternazioni faziose.
In tv e sui media in generale appare chi desta curiosità; internet conferisce notorietà a chi è cliccato, a prescindere del valore contenutistico messo in rete; e non c’è distinzione tra il blogger che cazzeggia, l’impegnato e i siti che trattano notizie di varia natura. Contano solo i clic! I contatori d’accesso segnalano lo share, dicono chiaramente quante volte è stato visitato il blog, il post, il filmato ecc.
Su Wikipedia si trova di tutto, storia, gossip, curiosità e anche semplici strafalcioni; su ogni voce, ad indicare una parvenza di scientificità, c’è un’indicazione, un termine che lascia intendere al visitatore la struttura della pagina cliccata, vale a dire se è un abbozzo in via di sviluppo oppure no. Quanto segue è il risultato della ricerca del termine “statista”:
Il termine statista deriva da Stato e indica un personaggio politico deputato a governare e regolare gli affari di Stato. Solitamente viene utilizzato per indicare il capo di Stato. Non è collegato a caratteristiche democratiche della figura: anche un dittatore può considerarsi uno statista. La non correlazione tra caratteristiche di nomina democratica della figura e la definizione della figura stessa pare essere rafforzata dal parere di politologi e storici che usano il termine, nei loro lavori, per indicare personaggi che hanno avuto incarichi di governo, a prescindere da come questi sono stati ottenuti. Virtualmente qualunque personaggio abbia rivestito incarichi tali da contribuire direttamente a sviluppare la politica di una Nazione può essere considerato tale. In senso generale, il termine è stato anche usato per indicare chi si è occupato di affari dello Stato arrivando, grazie al suo peso politico, a condizionarli pur non ricoprendo formalmente incarichi di governo. In questo senso, anche il capo dell’opposizione, in particolari contesti, può essere definito statista.
In base alla sintesi wikipediana, la terminologia di statista può essere assegnata senza possibilità di errori a chiunque si trovi in dette condizioni sociali ma è anche vero che lo Statista puro, quello che occupa spazi storici dignitosi e importanti nella memoria dell’umanità, è colui che ha speso energie per salvaguardare e migliorare il bene comune; ha creato i presupposti per una società migliore, solidale. Statista puro è colui che ha dato o dà alla collettività intera le proprie energie vitali senza aspettarsi nulla in cambio, neanche una targa ricordo, perché l’amore elargito al prossimo, attraverso il lavoro, lo sostiene nelle difficoltà e ritorna a lui accresciuto.

nun te reggae più: storielle facete (?)


Incontri fantastici nell’isola delle banane:

Dobbiamo cambiare le regole sociali! Dobbiamo tutelare gl’interessi della classe dominante!
Dobbiamo creare scompiglio nelle menti… smontare i teoremi buonisti creare disordini Eppoi quando il caos regna in ogni dove Io Proclamerò il Mio regno i Miei vassalli…
Sì Sì così si parla bene bravo sì sì fagli vedere di che pasta siamo fatti a quei pezzenti straccioni…

La piazza è calda; il popolo soggiogato dalle parole fomentatrici del leader gonfia il petto, urla a squarciagola slogan di solidarietà al premier e al suo programma. Concluso il comizio, la piazza si svuota lentamente. Alcuni continuano a inneggiare altri raccolgono gadget e bandiere e s’incamminano verso le sedi associative e qui, sfumata l’adrenalina di piazza, qualcuno azzarda un’ipotesi:
Sì vabbè sono d’accordo col capo ma come facciamo a rendere veramente operativo il programma?
Abbiamo gli occhi del mondo puntati addosso, senza contare quel capobranco che ci ha sempre combattuto… lui è forte, ha dalla sua parte persone intellettualmente incorruttibili che non si lasciano abbindolare facilmente… Ehi abbiate fiducia ghe pensi mì: tutti noi abbiamo un prezzo! Basta solo capire le debolezze dell’uomo e assecondarle, il resto viene da sé.
È vero! È vero… ma lui non ha mai dimostrato debolezze materiali come l’incastriamo? Co…spiriamo… No! Non serve! Basta solo indottrinare un gruppo di giovani. Giovani che facciano quello che Io comando. Giovani fedeli da inserire nei posti chiave.
Come facciamo, ci sono i concorsi pubblici? Le commissioni… Ghe pensi mì faccio un’offerta che difficilmente rifiuteranno se vogliono continuare a mantenere certi privilegi…

Nell’aria, parole irriverenti quanto sarcastici sembrano fare il verso ai cospiratori dell’isola delle banane sostenute dal ritmo incalzante del cantautore Calabrese Rino Gaetano:
…Nun teregghe ppiù abbasso alè nun te regghe più super pensioni ladri di stato evasori legalizzati auto blu rock blu nun te regghe più ajallà pc psi dc …. Nun te reggae più!

sabato 16 gennaio 2010

Lawrence Ferlinghetti e l'autocoscienza sociale


Lawrence Ferlinghetti

Nasce il 24 marzo del 1919 a Yonkers; da padre italiano e madre ebrea/francese. Orfano fin dalla nascita, il padre muore prima che egli nasca, mentre la madre, ricoverata per un forte esaurimento nervoso, non riesce ad accudirlo ed è affidato agli zii materni che lo portano in Europa e poi di nuovo a New York. A causa di problemi economici viene messo in un orfanotrofio e poi ripreso con sé dalla zia in una ricca casa presso cui lavora. Poeta e pittore; esponente di spicco della beat generation, il suo “Coney Island of the Mind” è il secondo libro più venduto al mondo dopo la Bibbia.

Ma, prima dell’avventura culturale si arruola in marina, sbarcando in Normandia e permanendo anche a Nagasaki, per tornare, successivamente a iscriversi come reduce alla Columbia University. Nel '50 si laurea alla Sorbona. Inizia a scrivere e a dipingere e svolge il ruolo di insegnante.
Nel giugno del 1953 apre con Peter Martin una libreria specializzata in edizioni tascabili, al 261 di Columbus Avenue la City Lights Pocket Publisher and Bookshop, prima libreria e casa editrice americana di soli tascabili e luogo di ritrovo di poeti ed artisti.
Nel 1956 è processato e assolto per la pubblicazione di “Howl” di Allen Ginsberg, quarto libro della serie Pocket Poets. Il suo “A Coney Island of the Mind” vende oltre un milione di copie. Tra gli altri suoi libri: “Her, Starting from San Francisco, Routines, The Secret Meaning of the Things, Who are We Now, Endless Life, Love in the Days of Rage, These are my Rivers, A Far Rokaway of The Hearth, Shards-Cocci, What is Poetry, Americus, Blind Poet”.
La sua condotta, apertamente contraria al governo statunitense degli anni 60, suscita le attenzioni dell’effebiai, iscritto nelle liste dei cittadini sorvegliati dall’agenzia governativa (F.B.I.), è arrestato nel 1965 per aver protestato contro la guerra in Vietnam. Nuovamente libero, gira per il mondo e porta ovunque il suo impegno di scoperta, valorizzazione e ampliamento dell’autocoscienza individuale e sociale, riscontrabile nelle sue parole: “Penso che non si debba più usare il termine ‘poesia’ ma ‘messaggio orale destinato al pubblico. Penso che le poesie bisogna gridarle, magari accompagnarle con complessi musicali jazz (…) Insomma fare tutto il possibile perché questi messaggi orali riescano a cambiare un po’ la coscienza e il cuore dell’uomo. Penso che non si possono più scrivere poesie d’amore ma lunghe poesie di impegno; che si debba affilare il verso come un’arma destinata alla pace”.

venerdì 15 gennaio 2010

disoccupazione e arte dell'arrangiarsi


Strettamente personale.

L’arte dell’arrangiarsi è un’attività umana, praticata nei luoghi in cui vivere alla giornata assurge a filosofia di vita, non perché si è creativi, ma per l’assenza di politiche serie atte a debellare il male sociale più infido per la libertà e l’emancipazione dell'uomo: la mancanza del lavoro retribuito.
Napoli è, per antonomasia, la capitale di quest’antichissima arte; oggi, esportata e attuata ovunque; in Italia e nel resto del mondo.
Laddove esistono larghe fasce sociali che vivono o sono sulla soglia della povertà, a nulla valgono gli incentivi alla rottamazione delle automobili; l’accesso agevolato del mutuo o le variegate campagne abbonamenti. La gente compra la spesa quotidiana confrontando i prezzi scontati e si sposta da un supermercato all’atro pur di far quadrare i pochi conti.
Questo è il quadro della situazione odierna in Italia! Ma ciò non deve indurre in inganno chi non vive nella nostra nazione, perché, è bene ribadirlo, c’è una vasta fascia sociale di finti poveri all’anagrafe tributaria che ostentano ricchezze mai denunciate: macchine costose, abitazioni signorili e tenore di vita da piccolo, medio e grande imprenditore pur risultando disoccupati o dipendenti di qualche ente.
Persino il meccanico sotto sottocasa attua piccoli espedienti: non eroga fattura, vuole l’assegno privo d’intestazione, tenta di rattoppare un pezzo meccanico, poi, contrabbandato all’ignaro cliente per nuovo… ma, arrangiarsi significa sfruttare al massimo le energie e i fattori a disposizione, riciclare, cucinare persino le foglie del cavolo, non sprecare nulla, altrimenti è ladrocinio, disonestà!, e non arte dell'arrangiarsi.

giovedì 14 gennaio 2010

Kerouac, Ginsuberg, scrittori della beat generation


Jack Kerouac, Allen Ginsberg e il movimento beat
Il sogno della generazione beat non dura a lungo e come tutti i sogni cessano al mattino. L’impatto col giorno riporta le menti all’amara realtà, alle prese con le teorie pratiche voracemente consumistiche, freddamente gestite dalle lobby di potere.
L'enorme campagna pubblicitaria condotta in America sul fenomeno beat riesce ad inflazionare il movimento stesso. Condiziona il vasto pubblico che, indottrinato, ripete i luoghi comuni del battage pubblicitario o i pregiudizi della critica conservatrice. Insomma, si evidenzia soltanto l'aspetto esteriore della vita beat. Diventa una moda la cui connotazione esteriore è ravvisabile nei capelli lunghi, barba incolta, vestiti estrosi, conseguenza sicuramente lontana dall’intenzione dei promotori.

La generazione del secondo dopoguerra s’identifica negli scritti di Kerouac e Ginsberg che, per le tematiche trattate, li elegge idealmente portabandiera del movimento pacifista.
I libri beat, negli anni sessanta, sono accolti dalla critica con severità e asprezza; tant’è che il successo di "Sulla strada" di Kerouac e "Urlo" di Ginsberg, è marchiato dai critici come un fenomeno di curiosità collettiva, un fatto di costume e li bollano di letteratura sgrammaticata, prosa scomposta, verbosità sterile priva di poesia innovativa.
Quando Kerouac dichiara di professare il buddismo e dedicarsi alla meditazione zen, i detrattori del movimento letterario beat riprendono a confutare l’assenza innovativa e asseriscono che l'intera faccenda beat è e rimane un fenomeno esclusivamente pubblicitario. Incuranti, Kerouac e Ginsberg continuano a scrivere e pubblicare anche scritti degli anni precedenti, quando, sconosciuti, aspettano un editore disposto a pubblicare le loro opere.
Intorno alla metà degli anni 60, arrivano in Europa e anche qui i critici assumono un atteggiamento di raffronto in riferimento alla letteratura europea.
In Europa il movimento beat è subito sminuito e ricondotto alla letteratura esistenzialista francese del secondo dopoguerra. Solo dopo qualche anno in America si sviluppa un’analisi letteraria che differenzia la Beat Generation dalla Lost Generation, rivoluzione attiva l'una e passiva l'altra. Allo scopo di spiegare il rapporto tra passività e misticismo contemplativo della religione Zen.
La prosa di Kerouac, studiata e analizzata a fondo, lascia intendere che non tiene in considerazione l'esistenza del razionale ma solo l’aspetto della realtà biologica e fisiologica. I beat non si preoccupano di distruggere mitologie o sovrastrutture mentali, rifiutano completamente il consorzio umano concepito dalla borghesia capitalista.
Nelle prime opere di Kerouac e Ginsberg si nota l’entusiasmo ai fatti quotidiani come fonte di ispirazione. Questa caratteristica differenzia gli scrittori americani dai fenomeni letterari europei basati su esperienze intellettuali o ideologiche. Da ciò, si intuisce pienamente il rifiuto della scienza intesa come arma di persuasione. Infatti, la generazione beat dichiara che con il lancio della bomba atomica si decreta la fine dei tre mostri che hanno distrutto la gioventù dei precedenti trent’anni, Freud, Marx e Einstein. Sintomatica, quindi la differenza tra certa poesia beat e le folgorazioni di Rimbaud o le illuminazioni di Blake, pur riconosciuti dai beat come gli europei più vicini alla loro poetica.
Le visioni metafisiche di Ginsberg non sono concettuali come quelle di Rimbaud ma sono deformazioni di immagini concrete, carnali, che possono andare da un semaforo ad un'insegna al neon. Anche Kerouac, considera necessario vivere la vita con passione e scrivere per la propria felicità personale. Kerouac consiglia di scrivere “con eccitazione in fretta fino ad avere i crampi in accordo alle leggi dell'orgasmo”. Si rifà in questo alla scrittura automatica, all’improvvisazione jazzistica per conferire un ritmo serrato ai suoi scritti. Le parole dello slang beat sono violente, incisive, veloci e monosillabici, carichi di tensione e potenza allusiva.
La vita di Kerouac e dei beat non finisce in rovina come quella dei dadaisti o degli espressionisti o dei surrealisti europei, ma comincia in rovina. Per i beat non c'è futuro e non c'è passato nel caos del mondo, esiste solo un istantaneo presente, inesplicabile e nemico, che solo la liberazione dalle dimensioni dello spazio e del tempo può far provvisoriamente superare. Gli elementi per superarle sono fisiologici (come l'orgasmo) o mistici (come le visioni) o passionali (come il jazz) o artificiali (come la droga). La qualità fondamentale di Kerouac e dei beat va ricercata nell'intensità emotiva, nelle immagini dense e vibranti.
La cultura Beat ha segnato l'intera generazione del secondo dopoguerra e ancora oggi, a distanza di oltre mezzo secolo, è innovativa e rivoluzionaria.

haiti: sgomento e solidarietà



Haiti scene di terrore e povertà:
Oltre 100.000 morti sotto le macerie.

Davvero le vittime di terremoti, tsunami, slavine, smottamenti sono da imputare al fato?

Oppure la voracità dei furbi condanna i poveri del mondo?

Faccendieri privi di scrupolo manipolano uomini e mezzi, corrompono, costruiscono edifici instabili, riscrivono ordinamenti sociali per tutelarsi e tutelare fasce sociali deviate.
La demagogia ignobile, divulgata da portavoce meschini, attecchisce nelle menti ingenue e induce le persone a schierarsi in fazioni fino a provocare scontri verbali e fisici tra le parti.
Questa, in sintesi, l’amara realtà di alcune società economicamente avanzate rette da capipopolo votati al mero profitto economico personale.
Lo scenario, crudo e nudo, appena accennato è il vero motivo delle innumerevoli vittime di cataclismi naturali; pandemie, paure che sfociano in terrorismi psicologici dilaganti a dispetto della maggioranza silenziosa:
Uomini costretti a vivere ai margini delle ricchezze opulente. Uomini, donne e bambini doppiamente vittime; derubati della dignità. Esseri umani costretti in schiavitù dall’arroganza economica mondiale! Dobbiamo sperare in ipotetiche potenze divine o l’esempio dei Saggi è ancora in tempo a bloccare la babele eretta dall’ingordigia di pochi despoti?

mercoledì 13 gennaio 2010

utopie generazionali: beat generation e la forza dell'amore



Quando si parla di Beat Generation la memoria storica corre in America e localizza il movimento giovanile in due sedi, New York e la Baia di San Francisco. In entrambi i luoghi, il fervore creativo rinnovò i linguaggi artistici della pittura, della scrittura, della musica e dei linguaggi in genere compreso l’abbigliamento; il tutto contaminato dalla filosofia di vita che spinge gli uomini all’amore universale e che lega i popoli alla madre terra. L'atmosfera solare e naturistica della West Coast, e quindi di San Francisco, contribuì a stemperare gli spiriti inquieti degli scrittori beat di New York e molti, soggiogati dalla natura selvaggia della California, si convertirono al Buddismo. San Francisco beneficiò della loro presenza; anche la scena musicale dal sapore acido degli anni sessanta nata con Ken Kesey's è frutto della cultura beat. La città di San Francisco divenne la Times Square della prima generazione beat e la mitica libreria "City Lights bookstore" di Lawrence Ferlinghetti è ancora all'angolo fra Broadway e Columbus. Più a sud troviamo Monterey, Carmel-by-the-Sea e la costa montuosa nota come Big Sur, qui, nel 1961, Jack Kerouac trascorse un’estate intera immerso nella solitudine della meditazione.

martedì 12 gennaio 2010

finanza creativa: trasformazioni e sovvertimenti dello stato sociale


Finanza creativa: trasformazioni e sovvertimenti dello stato sociale

Sull’esempio di re Mida, ricordiamo brevemente ai poco attenti dotati di scarsa memoria che il re in questione aveva il potere di tramutare in oro massiccio tutto ciò che toccava, persino il cibo, e oggi qualcuno, non pago della saggezza racchiusa nelle metafore mitologiche, cerca di trasformare ciò che gli cade sottomano in ricchezza.
L’esempio alchemico contemporaneo vede la trasformazione indolore di un servizio socialmente utile in s.p.a., in altre parole l’organizzazione “umanitaria” denominata “Protezione civile” diventa società per azioni come d’incanto!
Ma verrà anche quotata in borsa come la parmalat?
E quali buone azioni deve fare la neonata formazione tesaurizzante per ottemperare alle leggi del profitto?
Continuerà a spendersi indistintamente per tutelare il territorio nazionale e andare anche all’estero qualora l’emergenza causata dalle calamità lo richiede?
Se sì!, allora perché non trasformare anche i Vigili del Fuoco, la Guardia di Finanza, i Carabinieri…

Qualcuno asserisce che la trasformazione serve a velocizzare le emergenze. Sarà, ma qualche dubbio sorge...

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