martedì 29 settembre 2009

pittura e creatività on line con mario iannino



Prima di addentrarci nel campo del fare artistico, è opportuno sfatare alcuni luoghi comuni:
a) Non sono portato per il disegno
b) È un dono, una qualità di pochi
c) Non so fare un’O col bicchiere
d) È difficile
e) Non sono un genio!
Commenti, questi, menzionati da quanti non hanno mai avuto la possibilità di conoscere le tecniche e i “trucchi di mestiere” di cui si avvale l’operatore artistico per la costruzione degli spazi pittorici. Se poi, alla ignoranza sommiamo la paura di essere derisi per la goffaggine dei disegni, l’ostacolo diventa insormontabile.
Per intenderci: dipingere è un mestiere! E come tale è suffragato da tecniche, regole e leggi. Minimizzando, possiamo tranquillamente paragonare il pittore o decoratore, come dir si voglia, a un elettricista che ha studiato e sa cos’è l’amperaggio, la resistenza, il voltaggio, la forza elettromotrice di un motore e così via, ancor meglio se si paragona al percorso dell’estetista, allorquando “trucca” e trasforma un viso; abbina colori, accessori ecc.
In pittura, le tecniche aiutano a costruire gli spazi; aboliscono gli ostacoli della figurazione e avviano i principianti alla comprensione della traslazione ideografica; insomma pianificano il lavoro e dotano di manualità anche chi “non sa fare un’O col bicchiere”.
Le regole, quindi, guidano la mente e la mano del pittore nell’attimo della realizzazione del quadro. La prospettiva; la soluzione dei piani (vicino, lontano; luce, ombra ecc) sono alcuni esempi della costruzione classica dello spazio pittorico.
Le leggi fisiche forniscono gli elementi per la soluzione degli effetti visivi, come la percezione dei colori, il contrasto simultaneo ecc. tutto ciò si può apprendere attraverso lo studio e la sperimentazione diretta della luce e del colore. La creatività, insita in tutti gli uomini, è un elemento da risvegliare.
Che significa essere creativi? E qual è il confine tra opera d'arte e oggetto estetico artigianale? E come si cataloga il fare giocoso dell'uomo?
Quanti si occupano di storia dell’arte, senz'altro, non faranno fatica a dare una risposta secca; anche chi fa "arte”, potrebbe dare una definizione personale di ciò che intende per creazione artistica; ma, noi non siamo ancora a questi livelli di conoscenza, quindi, andiamo per gradi e iniziamo a giocare con colori e forme. Torniamo con la mente a quando eravamo bambini e andavamo alla scoperta del mondo: ogni cosa ci incantava! Oppure a quando la nostra fantasia trasformava la scopa in cavallo e lo scatolone in una spider velocissima. O, ancora, ripensiamo agli interminabili dialoghi con gli amici del cuore. Chi, da bambino non ha avuto, anche per un brevissimo periodo, l’amico invisibile? Ecco, questa si chiama creazione! Perciò, partendo dal presupposto che quanto attiene alla gestualità creativa, è, principalmente dialogo intimista, rivisitazione estetica e intellettuale del gioco con gli oggetti o la figurazione, è interessante capire, non tanto le intenzioni iniziali del gioco ma fin dove il giocatore intende spingere l'azione. Vale a dire: qual è il gioco che voglio sviluppare avendo sottomano una scopa, una bottiglia di plastica; un giornale; un cartone; dei colori ecc.?
La sperimentazione è sinonimo di gioco. Giochi di audaci azzardi mediante accoppiamenti di materiali diversi; inserimenti o trasfigurazioni grafiche, che, inserite in un contesto inusuale, producono e suggeriscono nuove alchimie linguistiche. Anche le lettere dell’alfabeto e i numeri si prestano al gioco creativo della trasformazione. Lo sanno bene i graffitari che tracciano scie personalissime.
Ogni individuo è un caso a sé; con le sue personalissime idee, giuste o sbagliate che siano non ha rilevanza. È rilevante, invece, saper canalizzare le energie, stimolare al dialogo, alla gestualità giocosa del fare e all’acquisizione delle tecniche scientifiche di una data disciplina. Così facendo, il muro di ostilità e d’incomprensione si sgretola passo dopo passo e ogni qualvolta si supera un ostacolo, l’autostima si fortifica.
Come già accennato, nel campo delle arti visive, le tecniche di costruzione aiutano a visualizzare mondi personalissimi; sviluppare concetti; dare corpo alle fantasie. In una parola: comunicare!, dialogare con sé e con gli altri, confrontarsi col mondo attraverso il gioco della creatività. Un gioco fatto di segni, gesti, colori; privo di regole prestabilite. Per iniziare è sufficiente affidarsi alla casualità empirica, al gesto liberatorio ampiamente sviluppato nell’astrattismo e tracciare simboli primitivi!, così come facevano gli sciuscià nell’immediato dopoguerra agli angoli delle strade: il gesto lasciato sui muri era la firma, il simbolo che sanciva l’occupazione e la prelazione del luogo di lavoro in cui si procuravano da vivere pulendo le scarpe ai passanti. Il segno dello sciuscià non è quindi rapportabile al sintomo d’insofferenza dei graffitari contemporanei ma era un modo per comunicare la supremazia territoriale alla concorrenza.
Dal gesto elementare degli sciuscià si sviluppa un lessico particolare che, arricchito da virtuosismi grafici e cromatici, invade l’America e il resto del mondo. Cosicché, i ragazzi comunicano il loro sentire attraverso i graffiti metropolitani. Dichiarano passioni e amori; contestano, propongono idee e visioni soggettive alla società distratta.
I segni rivisitati dai writer’s sono in continuo movimento, assecondano il linguaggio visivo di quanti lo praticano o lo subiscono in termini giocosi. I pittori di strada giocano con i significati lasciandosi catturare dalle connotazioni volumetriche, cromatiche e linguistiche ma non sporcano a caso: “studiano il pezzo”; lo contestualizzano, annullano il grigiore del cemento, esprimono la loro versione dei fatti in merito ai problemi sociali vissuti in prima persona.
In ciò, l'azione grafica è linguaggio terapeutico nel senso che fortifica l'autostima; rende sicuri; incita alla visione differente di un dato episodio ma è anche un modo per dire: ci sono anch’io.
Artista e artigiano creano oggetti utili; il primo alimenta la parte nobile e il secondo quella meramente materiale; entrambi completano l'esistenza, interagiscono nella crescita sociale delle comunità e si sentono gratificati dall'azione del loro fare. L'operazione creativa stimola l'intelletto. Chi la pratica è portato a indagare nuovi elementi. Il fare, in sé, è una forma silente di terapia dell'autostima giacché fortifica il concetto di saper fare qualcosa, essere utile, sentirsi parte integrante di un sistema sociale.
Mario Iannino

domenica 27 settembre 2009

3 ottobre, notte piccante all'antica vineria i baccanali



Nel centro storico di Catanzaro, all’ingresso di via De Grazia, al n° 8 e 10 c’è l’antica vineria “i baccanali”.
Oltre la degustazione di vini, salumi e formaggi, per la notte piccante, i giovani gestori sfoderano il jolly della cucina tipica catanzarese: u morzeddhu! E, fin qui nulla di straordinario, dirà qualcuno. Però, questo qualcuno non sa che il prelibato piatto è il risultato di un’antica ricetta la cui depositaria è nonna Nella. Abbiamo cercato di carpire i segreti della cucina, ma, Nonna Nella, gelosissima dei suoi accorgimenti gastronomici ha risposto elusivamente menzionando quanto già di dominio pubblico: frattaglie bovine, cento pezzi, polmone, trippa e cuore!
Sì, questo è noto! Avremmo voluto sapere, oltre agli ingredienti a ai tempi di cottura, qualche trucchetto… Questo mai! –risponde pronta nonna Nella- venite ad assaggiare non solo u morzeddhu ma puru i crispeddhi e cercate di scoprirlo da soli. E allora, il 3 ottobre, nuova data della notte piccante, posticipata a causa del maltempo, tenteremo di carpire i segreti della cucina di nonna Nella all’antica vineria i baccanali in compagnia di ospiti noti al grande pubblico.

vasco e maciste, magnifici esemplari di labrador




L’incontro tra Vasco e Maciste, due magnifici labrador, è da raccontare. Me lo ripropongo ogni volta che li vedo correre nel parco l’uno incontro all’altro; quando, dopo i primi guaiti sussurrati a mo’ di saluto, iniziano a danzare è un’esplosione di energia. Sembrerebbe una schermaglia per la supremazia (hanno rispettivamente 2 e 3 anni) ma vista la tranquillità con la quale si sottomettono vicendevolmente è solo la lotta giocosa tra due amici. Una lotta irruenta ma priva di violenza, elegante, fraterna.
Sì, danzano con agilità e grazia; si alzano sulle zampe posteriori e spiccano dei salti plastici che si esauriscono in abbracci. Maciste mette la testa sotto il collo di Vasco: entrambi immobili, si studiano vigili. Vasco poggia la zampa anteriore sulla schiena dell’amico ed è il segnale del nuovo round. Improvvise galoppate interrompono gli incontri per salutare i nuovi venuti, siano essi ragazzi o cani. Scodinzolano, annusano e leccano. Questo il loro modo di dare il benvenuto ai nuovi arrivati.

mercoledì 23 settembre 2009

Noam Chomsky, i figli dei fiori e la guerra del vietnam



Noam Chomsky, filosofo e teorico della comunicazione, professore emerito di linguistica all’Institute of Techonology del Massachusetts, sostiene che Kennedy ordinò di bombardare il Vietnam del Nord già nel 1962, camuffando i bombardieri coinvolti nell’azione di guerra con insegne sudvietnamite, per mascherare il coinvolgimento statunitense.

 Inoltre accusò Kennedy di aver autorizzato l'uso del napalm assieme ad altri programmi bellici per piegare la resistenza attraverso la distruzione delle coltivazioni vietnamite. Mentre altri sostengono che il reale coinvolgimento statunitense nella Guerra del Vietnam avvenne nel 1964 come reazione al bombardamento del Brinks hotel.

Ad avvalorare la tesi di Chomsky l’elaborazione della “teoria del dominio” presentata dal giovane senatore John F. Kennedy ad una riunione dell’ American Friend of Vietnam, in cui, teorizzava: “il Vietnam rappresenta la pietra angolare del mondo libero nel sud est asiatico, la chiave di volta, il tappo che chiude il buco della diga nel caso che la marea rossa del comunismo inondi il Vietnam, un paese che si trova lungo una linea che unisce Birmania, India, Giappone, Filippine. Laos e Cambogia”

L’intenzione americana, stando ai fatti appena descritti, fu di inserirsi nella politica interna sudvietnamita così da eliminare gli elementi sovversivi presenti nel sud e creare un movimento secessionista dotato di armi americane. Eliminato il nord gli USA sarebbero stati le sentinelle del confine cinese pronti ad arginare l’ondata del comunismo in Asia.
È inutile aggiungere che le intenzioni furono disattese e che l’azione di politica estera esportò morte e distruzione fratricide anche attraverso l’esasperazione delle differenti culture territoriali religiose, politiche e etniche operate da leader fantocci
I giovani pacifisti di quegli anni, coniano slogan contro la guerra per esaltare i loro ideali di pace e libertà; quali: "Mettete dei fiori nei vostri cannoni" e "Fate l'amore, non la guerra". I “figli dei fiori” o hippy si distinguono dalla massa. Vestono panni allegri; vivacissime stoffe decorate con motivi floreali e sfoggiano fiori sul viso e sulle mani; inizia a vedersi qualcosa di nuovo a S. Francisco e anche nelle città europee.
L’amore per la pace e la libertà li porta a teorizzare la comunione dei beni, la vita sociale e l’educazione dei giovani in una sorta di famiglia allargata: la comune. Nelle comuni dei “figli dei fiori” non esiste la proprietà privata. Il movimento hippy scuote l'opinione pubblica e molti registi dedicano pellicole. Lo stile di vita hippy influenza anche la musica popolare con il rock psichedelico in quanto linguaggio dei giovani. Nasce la beat generation che teorizza la rivoluzione sessuale; fa uso di stupefacenti e allucinogeni (lsd e cannabis) per esplorare stati di coscienza alternativi. La rivoluzione dei figli dei fiori culmina sulla costa occidentale degli US al festival di Woodstock nel ’69.
La diversità culturale e religiosa abbracciata dagli hippy, la filosofia orientale e l'elemento spirituale raggiungono il vasto pubblico dell’era dell’acquario: “quando la luna entrerà nella settima casa e giove si allineerà con marte sarà la pace a guidare i pianeti e sarà l’amore a dirigere le stelle”.
Ma, Fernanda Pivano, esponente italiana della beat generation, che sognava insieme ai poeti americani la rivoluzione dei fiori, nell'antologia "L'altra America" del 1971, si chiede dove sono finiti i fiori visto il rapido cambiamento culturale all'indomani del sessantotto.

martedì 22 settembre 2009

abbigliamento e libertà negli anni 60/70



anni 60/70 rivoluzione culturale e contestazione:

Abbigliamento e libertà


1961. Inizia la guerra in Vietnam, esplode la Pop Art, J. Christo qualche anno dopo impacchetta monumenti, Martin Luther King è premio Nobel per la pace e Mary Quant inventa la minigonna. A indossarla è Twiggy: prima top model teen ager (17 anni). Courregés, che nel '64 aveva presentato abiti corti e linee a trapezio, rivendica il copyright della mini ma Mary Quant risponde che: "Le vere creatrici della mini sono le ragazze, le stesse che si vedono per la strada".

Dopo il ‘64, l’abbigliamento femminile si arricchisce di nuovi accessori; alle gonne corte si abbinano stivali alti di vernice e calze trasparenti dette "collant". Scarpe con le zeppe che sembrano trampoli. Cinturoni; medaglioni e svariate forge di occhialoni da sole.

In Italia, già dal '54 “La Perla” produce la mini guaina con il reggicalze incorporato.

Claude Montana e Thierry Mugler lanciano a Parigi una nuova silhouette con spalle larghe e mini vertiginose. Mentre per l’abbigliamento maschile: pantaloni attillati a zampa d’elefante e a vita bassa. Anche per lui gli accessori sono: medaglioni, scarpe alla beatles, anelli, foulard ma, al di là della moda concepita come questione estetica, durante la contestazione studentesca l’eschimo, la barba e i capelli lunghi distinguono il simpatizzante di sinistra nella scena politica studentesca da quello di destra.

Tra il 1968 e il 1970 la italiana Innocenti costruisce lo scuter economico LUI e assegna la progettazione del prototipo alla Bertone. Lo styling dello scuter è avveniristico ma procura alla Innocenti un modesto ritorno economico nonostante il costo contenuto del LUI 50 (lire 89.500) rispetto alla lambretta 50 (lire 118.000).

Negli anni '80, le griffe made in Italy sono in piena ascesa e Krizia lancia i mini pants e il reggiseno gag con due conchiglie al posto delle coppe. Da ricordare che già negli anni precedenti il movimento femminista al grido “tremate tremate le streghe son tornate” distrugge ogni indumento intimo che riconduce la donna ad oggetto di desiderio o che esalta la femminilità gradita al “maschilista”.
E Versace scommette nuovamente tutto sulla minigonna, invitando le donne a "buttar via tutte le palandrane per stare al passo coi tempi dinamici".

Nel ’94 nasce la D&G: linea giovane di Dolce e Gabbana; comparsi nella scena della moda alla fine degli Anni ’80 ma già noti in tutto il mondo grazie anche all’amicizia con Madonna.

Nel frattempo anche Versace lancia la sua linea giovane "Versus" e ripropone la mini. A un anno dal crollo delle Torri Gemelle, 11 settembre 2001, nel pieno di una crisi politico-mondiale senza precedenti, gli stilisti più all’avanguardia, Dolce e Gabbana Gucci e Prada, per la primavera estate 2003 rilanciano la minigonna. Giorgio Armani fa della minigonna la bandiera del nuovo stile autunno-inverno 2003/2004. Mentre Roberto Cavalli nella linea giovane Just Cavalli lancia una serie di minigonne pacifiste al motto di "No war, more wear".

Tutto ciò avviene nelle città e detta così sembra semplice. Forse non tutti sanno che le prime ragazze che ebbero il coraggio di osare e stare al passo con i tempi furono considerate delle poco di buono; non solo per l’abbigliamento ma principalmente per le idee professate in pubblico.
Per i costumi del tempo, la donna doveva badare alla casa, essere riservata e non parlare di questioni sconvenienti né tantomeno andare in moto. Esporre le proprie grazie in pubblico e esibire vanità significava non trovare marito.

lunedì 21 settembre 2009

paura presunzione arroganza




Le persone sicure, quelle che hanno la risposta esatta a ogni tipo di problema fanno paura.
Soggioga e fa paura la sicurezza esternata nel dare soluzione certe.
Fa paura l’arroganza totalitarista esposta senza se e senza ma.

Da non sottovalutare l’effetto delle frasi introduttive a sostegno del proprio credo: la gente vuole…, oppure: gli elettori, gli iscritti… gli Italiani!

Le titubanze, i dubbi sono banditi dalla testa e dal lessico dei leader oltranzisti che per suffragare deliranti teorie tentano di impressionare gli astanti con citazioni arricchite di numeri statistici e nomi altisonanti.
Per questi soggetti non esiste l’altro, il diverso. Diverso fisicamente, culturalmente! Chi non si adegua è nemico da combattere!

Eppure l’Italia, dal dopoguerra in poi, ha subito flussi e riflussi culturali non indifferenti: è passata da un’economia contadina a una industriale sbeffeggiata con arguzia pungente da Charlie Chaplin in tempi moderni, dove, il genio Chaplin anticipava quasi tutte le fobie e i malesseri psicologici che avrebbero accompagnato la nuova era.

Negli anni ‘60/70, alcuni valori sociali erano sentiti: si rispettava la persona anziana, l’ammalato, il debole! E nei momenti di calamità naturali o alla presenza di lutti nazionali per onorare le vittime di eventi criminosi, la solidarietà era un dato tangibile persino nelle trasmissioni televisive: la RAI bandiva lo spettacolo e irradiava solo musica classica! Oggi, sotto il motto: lo spettacolo deve continuare (perché così avrebbe/ro voluto …) si narcotizza la riflessione individuale. L’uomo non è solo neanche a volerlo! Condizionato dal frastuono mediatico, dimentica origini, usi e costumi. Saperi trasmessi dalle contaminazioni di popoli migranti; sbarcati sulle coste italiane da fuggiaschi o con mercanzie da barattare.

I cinquantenni Italiani sono testimoni di cambiamenti epocali. Anche in Calabria è cambiato tutto; dall’abbigliamento al linguaggio ma nel retaggio antropologico arde ancora la fiamma della solidarietà, in virtù della quale si lasciano aperte le porte dell’accoglienza. Calabresi sempre pronti al nuovo, alla bontà degli ospiti, alla riflessione.

piero pelù a catanzaro il 26 settembre ospite della notte piccante



Anche Piero Pelù a Catanzaro!
L’Orchestra Popolare Calabrese, di recente costruzione, accompagnerà l’ex leader dei Litfiba in un incredibile viaggio tra tarantelle, canti tradizionali e anche qualche inossidabile hit del Piero nazionale, rivisitato per l’occasione in maniera insospettabile. Uno degli eventi clou della kermesse catanzarese.
Mentre ''la black music' risuonerà fino alle prime luci dell'alba nel rinnovato parco storico di Catanzaro: Villa Trieste, già Villa Regina Margherita, polmone verde del centro storico cittadino, ricordato in versi da Giovanni Pascoli che lo visitò nel 1899, è il posto ideale per gustare questo genere musicale. Villa Regina Margherita per l'occasione diventerà la ''Villa del Blues'. Giardino pubblico inaugurato nel gennaio 1881 alla presenza dei reali d'Italia Re Umberto I e Regina Margherita alla quale fu dedicata.
Si esibiranno Strange Fruit Blues Band, la grande voce di Aida Cooper e i So What Band.
Alle 21.30 apre la serata musicale un gruppo locale molto affiatato che si rifà a Muddy Waters e Eric Clapton.
Ma il pezzo forte, in villa, sarà Aida Cooper, cantante di blues dal grande carisma che si è saputa guadagnare il rispetto di alcuni illustri colleghi d'oltreoceano. A seguire i catanzaresi della So What Band che della commistione di generi, fanno il loro marchio di fabbrica.
Soul, blues, con una spruzzata di jazz nello spazio allestito in collaborazione con il Country Club Le Querce, che offrirà ai presenti anche degustazioni di prodotti tipici piccanti. Non solo musica, quindi, ma anche enogastronomia, storia, cultura in una cornice splendida anche per la sua invidiabile posizione panoramica.

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