domenica 24 gennaio 2010

il politichese nelle realtà locali

Nella storia dell’uomo è tracciata chiaramente l’evoluzione tecnica e scientifica della specie.
Il genere umano ha inventato geniali stratagemmi per superare le avversità; pianificare problemi di sopravvivenza; migliorare le comunicazioni e affinare i linguaggi.

Allegorie verbali e visive, quindi, arti oratorie teatrali, scritture, dipinti e disegni illustrano il cammino antropico e le varie forme di proselitismo adottate per divulgare i saperi acquisiti nel tempo. Parola e gesto sono metodi fenomenali per indottrinare le masse e l’oratore magniloquente conosce bene il metodo per attrarre le attenzioni della platea; capisce quando è il momento giusto per strappare l’applauso, commuovere o far sorridere. E questo è bene!, se non nasconde falsità o ambiguità immorali.

Altro discorso è il linguaggio usato dai politici per raggirare ostacoli e far convergere errori e furberie nella scatola della bontà che tutti i partiti costruiscono giorno dopo giorno. La scatola della bontà del politichese somiglia moltissimo al cilindro del mago: è una scatola magica pronta a stupire gli astanti, che trasforma gli errori gestionali in benefici personali. Insomma è una sorta di lavatrice con vari programmi di lavaggio, dal delicatissimo allo sporchissimo, con e senza centrifuga.
Esiste la possibilità di debellare o quantomeno contenere il malcostume fin qui generato?

Si sa, la via per la pace e del buon governo non è mai un’autostrada comoda e diritta; spesso è una stradina irta di difficoltà; un sentiero di campagna tortuoso, dalla traversata imprevedibile, costellato di pericoli ambientali, smottamenti, per cui richiede una guida sicura, attenta e dell’aiuto corale dei viandanti.

La natura, dal canto suo, dà segnali d’insofferenza per i saccheggi subiti; anche le classi meno abbienti si ribellano alle intolleranze storiche, ora tocca all’intelligenza della “casta” dare risposte sincere.

sabato 23 gennaio 2010

la forza evocativa della metafora in pittura

Allegorie figurali in pittura.

Quando osserviamo un’opera pittorica tipicamente figurativa, per comprendere appieno il messaggio è opportuno considerare alcune semplici regole e ricordare che l’operatore per trasferire messaggi visivi complessi si avvale delle allegorie che il linguaggio comune assegna ai soggetti inseriti nell'opera e non considerare il quadro come un’operazione decorativa fine a se stessa da collocare sopra il divano perché fa pendant col salotto o il paralume. In sintesi: aprire la mente ai linguaggi della visione contemplativa; cercare le allegorie figurali prodotte dall’artista; accogliere, comprendere, dialogare.

La metafora pittorica condensa forza oratoria e alchimia grafica in pochi centimetri quadrati.

Alcune allegorie sono parte attiva dei linguaggi simbolici comuni. Tra questi, il simbolo della Croce è, per il mondo Cristiano, sinonimo di Amore Universale, mentre la colomba assurge a rappresentazione di Pace tra gli uomini, così come il ramoscello d’ulivo.
Anche un cuore graffiato sul muro o inciso sulla pelle esprime passione per qualcuno. E fin qui tutto scontato! Il problema si pone davanti a simbologie figurali personalizzate. Allorquando l’artista per realizzare nell’immediatezza visiva un tema complesso come la pace o altro esprime concetti pittorici inusuali. Innovazione e personalizzazione dei linguaggi stentano a essere recepiti dalla massa specie in quei territori poveri di stimoli culturali marchiati dall’infamia sociale della disoccupazione, dall’ignoranza e dalla sottocultura dei dirigenti.
In simili situazioni l’artista che vuole “parlare” alla massa ed esplicitare con la figurazione un qualsiasi tema sociale si guarda intorno, valuta le difficoltà oggettive e associa a qualcosa di caratteristico legato al territorio il dato peculiare del tema da sviluppare.
Trattandosi di un territorio prevalentemente montuoso come quello calabrese composto di poche pianure, dirupi, rocce, strade tortuose, vegetazione, sole, mare e stili di vita spartane, l’artista non può che correlare la calabresità al paesaggio, che, trattato diligentemente dall’uomo, diventa espressione di generosa ospitalità e sostentamento collettivo.

Nel paesaggio calabrese, la pianta dei fichi d’india è una varietà vegetativa spontanea che cresce e fruttifica senza l’intervento amorevole dell’uomo persino sulle rocce. Ha foglie larghe e carnose punteggiate di aculei; anche il frutto, variegato nei colori e nel sapore, è protetto da una corazza carnosa ricoperta di spine, che, se lasciata macerare nell’alcol trasmette al liquore ottenuto, qualità organolettiche digestive. Insomma, quanti ignorano le molteplici peculiarità della pianta, difficilmente riescono a trovare nessi logici del suo inserimento in un contesto figurale pittorico. Eppure chi conosce l’animo del meridionale in generale e Calabrese in particolare intuisce immediatamente la metafora tra la ruvidità esteriore dei calabresi e la spartana pianta in questione.

mario iannino


venerdì 22 gennaio 2010

dietro le quinte, in nome del popolo italiano


Sembra che ogni popolo abbia un destino; una storia in parte tracciata dalle azioni dei padri; un karma secondo la filosofia indù. E che ogni azione provochi il perpetrarsi delle future condizioni di vita economiche, sociali ecc.

I flussi e riflussi storici, quelli scritti con onestà intellettuale, sembrano dare ragione alla legge di causa ed effetto menzionata nella religione induista. Sarà questa la disgrazia dell’Italia e degli italiani? Al 99,99% deve essere per forza così! Altrimenti non si spiega il metodo anomalo che muove le azioni della classe dirigente nazionale.

Per questi signori l’immoralità affamatrice, il malgoverno e gli atti indolenti, come uccidere la coscienza nazionale, è prassi storica!

In parte, l’anomalia della politica italiana attuale è condensata nel bipolarismo dell’ultima ora; nella mancanza del dialogo e nell’assenza totale del rispetto reciproco tra parlamentari, istituzioni e cittadini.

Basta seguire una trasmissione televisiva che tratta temi sociali per avere una visione della tracotanza di alcuni parlatori addestrati: tutti hanno studiato la lezione a casa, fatto i compitini diligentemente che espongono civettuoli e quando non hanno argomenti o risposte chiare tirano fuori dalle tasche l’elenco della lavandaia, inforcano gli occhiali e ripetono pedissequamente le stesse identiche, stressanti cose, proclamate fino alla noia, esasperando gli astanti e mortificando l’intelligenza di quanti sono in ascolto.

Altro dato inconfutabile consiste nell'esterofilia degli italiani. I massimi riferimenti, per quanto concerne la libertà d’azione per alcuni im/prenditori che vogliono essere liberi di gestire gli affari a proprio piacimento, arrivano dai paesi in cui vige uno stato garantista a favore di chi investe o esporta denaro. Mentre per la gestione democratica della cosa pubblica, parlamento e relative leggi, si scimmiotta il bipolarismo americano; si cita all’occorrenza il modello francese, tedesco, inglese ecc., ma mai si pensa veramente di affrontare e risolvere un qualche banalissimo problema che tocca da vicino il cittadino comune.

Per gestire al meglio i propri interessi, le potenti lobby hanno pensato bene di eliminare con uno sbarramento elettorale i piccoli rappresentanti della democrazia. La casta tesse trame strategiche dietro le quinte; ognuno, schierato nel ruolo assegnato dai burattinai di turno, sopprime le voci delle minoranze dissenzienti, impone candidati comunali, provinciali, regionali, nazionali e europei.
Ricatta e promette favori, posti al sole per seguaci e prole. Attua il nepotismo. Consolida poteri. Sposta capitali. Impone leggi inique nel nome del Popolo Italiano.

giovedì 21 gennaio 2010

Pittura e poesia, linguaggi di denuncia


Allegorie figurali in pittura.

Quando osserviamo un’opera pittorica tipicamente figurativa, per comprendere appieno il messaggio è opportuno considerare alcune semplici regole e ricordare che l’operatore per trasferire messaggi visivi complessi si avvale delle allegorie che il linguaggio comune assegna ai soggetti inseriti nell'opera e non considerare il quadro come un’operazione decorativa fine a se stessa da collocare sopra il divano perché fa pendant col salotto o il paralume. In sintesi: aprire la mente ai linguaggi della visione contemplativa; cercare le allegorie figurali prodotte dall’artista; accogliere, comprendere, dialogare.

La metafora pittorica condensa forza oratoria e alchimia grafica in pochi centimetri quadrati.

Alcune allegorie sono parte attiva dei linguaggi simbolici comuni. Tra questi, il simbolo della Croce è, per il mondo Cristiano, sinonimo di Amore Universale, mentre la colomba assurge a rappresentazione di Pace tra gli uomini, così come il ramoscello d’ulivo.
Anche un cuore graffiato sul muro o inciso sulla pelle esprime passione per qualcuno. E fin qui tutto scontato! Il problema si pone davanti a simbologie figurali personalizzate. Allorquando l’artista per realizzare nell’immediatezza visiva un tema complesso come la pace o altro esprime concetti pittorici inusuali. Innovazione e personalizzazione dei linguaggi stentano a essere recepiti dalla massa specie in quei territori poveri di stimoli culturali marchiati dall’infamia sociale della disoccupazione, dall’ignoranza e dalla sottocultura dei dirigenti.
In simili situazioni l’artista che vuole “parlare” alla massa ed esplicitare con la figurazione un qualsiasi tema sociale si guarda intorno, valuta le difficoltà oggettive e associa a qualcosa di caratteristico legato al territorio il dato peculiare del tema da sviluppare.
Trattandosi di un territorio prevalentemente montuoso come quello calabrese composto di poche pianure, dirupi, rocce, strade tortuose, vegetazione, sole, mare e stili di vita spartane, l’artista non può che correlare la calabresità al paesaggio, che, trattato diligentemente dall’uomo, diventa espressione di generosa ospitalità e sostentamento collettivo.

Nel paesaggio calabrese, la pianta dei fichi d’india è una varietà vegetativa spontanea che cresce e fruttifica senza l’intervento amorevole dell’uomo persino sulle rocce. Ha foglie larghe e carnose punteggiate di aculei; anche il frutto, variegato nei colori e nel sapore, è protetto da una corazza carnosa ricoperta di spine, che, se lasciata macerare nell’alcol trasmette al liquore ottenuto, qualità organolettiche digestive. Insomma, quanti ignorano le molteplici peculiarità della pianta, difficilmente riescono a trovare nessi logici del suo inserimento in un contesto figurale pittorico. Eppure chi conosce l’animo del meridionale in generale e Calabrese in particolare intuisce immediatamente la metafora tra la ruvidità esteriore dei calabresi e la spartana pianta in questione.

mario iannino

senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi, alzandovi.
Ripetetele ai vostri figli.
(...)
(se questo è un uomo; Primo Levi)
Fatti, vissuti in prima persona per non dimenticare! e solidarietà universale per evitare che si riproponga un periodo di oscurantismo morale e intellettuale genaralizzato.

mercoledì 20 gennaio 2010

fernanda pivano e la beat generation


Fernanda Pivano e la beat generation
Per Fernanda, i tanti autori conosciuti in prima persona non sono strumenti di semplici pezzi di storia letteraria ma frammenti della sua esistenza in cui si uniscono anni di vita e di studio, tant’è che definisce genericamente " miei eroi" la totalità; "miei beat" Ginsberg e Kerouac, e “miei maestri” Abbagnano, Hemingway e Pavese. Hemingway e Pavese, agli occhi di Fernanda Pivano, hanno in comune una integrità professionale e morale assoluta.
Attenta alle mutazione della società e della cultura americana traduce Hemingway, Faulkner, Fitzgerald e li propone in Italia nella sua pubblicazione degli scrittori contemporanei più rappresentativi: dagli esponenti del movimento nero, come Wright; ai protagonisti del dissenso non violento degli anni '60, Ginsberg, Kerouac, Burroghs, Ferlinghetti, Corso; fino agli autori "minimalisti", prima Carver poi Leavitt, McInerney, Ellis.
L’“esploratrice” italiana della beat generation, Fernanda Pivano, Figlia di Riccardo, illuminato miliardario possessore di una banca, e della bellissima Mary Smallwood, nasce a Genova il 18 luglio del 1917, dopo le elementari, nella scuola svizzera, l'infanzia genovese, all’età di 9 anni si trasferisce a Torino e qui, al liceo d'Azeglio, incontra Primo Levi. Laureatasi nel 1941 con una tesi su Moby Dick, due anni dopo inizia l’attività letteraria sotto la guida di Cesare Pavese con la traduzione dell'Antologia di Spoon River di E.L.Masters. Allieva di Pavese e Nicola Abbagnano, ordinario di storia e filosofia dell’università di Torino, esponente della corrente esistenzialista italiana e fondatore dell’esistenzialismo positivo, consegue una seconda laurea in filosofia nel 43, lavora al fianco di Abbagnano come sua assistente per diversi anni.
Fernanda, innamorata della letteratura, nel 1948, a Cortina, conosce Hemingway e traduce il suo Addio alle armi. Nel 1949 sposa Ettore Sottsass jr, che fotografa e immortala i tanti viaggi indimenticabili e gl’incontri con Allen Ginsberg, Jack Kerouac, Gregory Corso, Lawrence Ferlinghetti, Neal Cassidy.
Nanda, s’innamora della letteratura americana per la forma scarna della narrazione, in netta antitesi con la tradizionale letteratura pragmatica e accademica europea; letteratura libresca, basata su indagini psicologiche.
"Mi hanno attaccata per non aver mai valutato i libri, ma io mi sono limitata ad amarli, non a valutarli: questo lavoro lo lascio ai professori".
Questa sua frase evidenzia il distacco dall'estetica pura impartita nei corsi di studi convenzionali e basa l’interesse letterario personale sulle vicende biografiche, sull'ambiente e sui fermenti sociali in cui sono immersi gli autori.
Bellezza e utilità dei volumi da lei tradotti è spesso documentata nelle lunghe e introduzioni accompagnate da saggi biografici. Dall'osservazione della realtà americana nascono i saggi: "America rossa e nera" (1964); "L'altra America negli anni Sessanta" (1971); "Beat Hippie Yippie" (1977); "C'era una volta un beat" (1976); "Il mito americano" (1980). Altri scritti sono raccolti anche in "La balena bianca e altri miti" (1961); "Mostri degli anni Venti" (1976).
Il primo viaggio negli Stati Uniti e' del 1956 e in India del 1961. Nel 1959 esce in Italia, con la prefazione della Pivano, Sulla strada (Mondadori) di Kerouac e nel 1964 Jukebox all'idrogeno di Ginsberg da lei curato e tradotto.
Nella sua movimentata vita, come già visto, incontra i maggiori scrittori contemporanei: Saul Bellow, Henry Miller, John Dos Passos, Ezra Pound, Gore Vidal, Jay McInerney, Judith Malina e il Living Theater e gli italiani Giuseppe Ungaretti, Alfonso Gatto, Salvatore Quasimodo.
Nel 2001 si reca a Ketchum, nell'Idaho, in un viaggio che la riporta nei luoghi della beat generation e dei suoi amici scrittori per il film documentario A farewell to beat di Luca Facchini.
Ma, Nanda è anche pianista! Diplomata al decimo anno di conservatorio, apprezza ed entra in sintonia con molti musicisti, tra questi: Bob Dylan, Lou Reed, Jovanotti, e Fabrizio De Andrè che considera enfaticamente e con affetto il piu' grande poeta italiano del secolo al quale dedica un testo che ha lo stesso titolo della canzone di De Andrè “La guerra di Piero” interpretato da Judith Malina. In occasione dei suoi 90 anni, nel 2007, conferma la sua gratitudine agli intellettuali che le hanno consentito di coltivare la passione per l’arte: "ho avuto due o tre eroi nella mia vita: il più grande e' stato Ginsberg. In America stanno pubblicando le lettere che mi ha scritto, mi raccontava cosa aveva visto dovunque andasse. Hemingway e' stato al di la' della misura. I miei maestri prima dell'America sono stati Pavese e Abbagnano, mi hanno insegnato tutto quello che so. Sono stata un'esistenzialista".
Per concludere, Fernanda Pivano è stata una figura carismatica della cultura italiana antifascista, frequentò poeti e scrittori della Beat Generation. Visse in America, a stretto contatto con Kerouac e gli atri artisti del movimento beat ma mai si lasciò tentare dai paradisi artificiali usati dai suoi amici per esplorare i mondi del subconscio; nemmeno uno spinello, diceva, niente alcol, funghi e peyote, Lsd e tutto il resto, nemmeno a pensarci. In America dal 1956, capì subito la novità rappresentata dai cercatori di nuovi stati di coscienza. Giovani contestatori che modulavano prose e versi sui battiti del bebop, il jazz esistenzialista di Charlie Parker, (secondo alcuni, padre dello stile jazz chiamato bebop. Virtuoso del proprio strumento, che suonava con una tecnica eguagliata da pochi, fu anche un personaggio dalla vita tormentata, segnata dalla dipendenza dalla droga e dall'alcool: il peggio di uno stile di vita che echeggiò al di fuori del campo strettamente musicale; ispirò i poeti della beat generation, nelle cui liriche, il jazz e Parker stesso sono citati.) i musicisti neri si pongono due obiettivi: liberarsi dai rigidi arrangiamenti delle big band per esprimersi e manifestare liberamente la loro ribellione al mondo ipocritamente sorridente di quegli anni.
Per Jack Kerouac, Allen Ginsberg, Gregory Corso, Lawrence Ferlinghetti, Nanda fu una affettuosa sorella maggiore, una vice-madre saggia e comprensiva. Fu lei a tradurre i loro libri, a battersi perché opere come Sulla strada e Urlo fossero pubblicate in Italia. Dedicò soprattutto ai poeti i suoi sforzi maggiori, componendo l’antologia Poesia degli ultimi americani (Feltrinelli) con la quale offrì ai lettori italiani un tesoro di novità. Li ospitò nella sua casa a Milano (in quel periodo, Nanda era ancora sposata con l'architetto Ettore Sottsass), li aiutò e si fece spiegare il senso e le allusioni della loro lingua da iniziati, senza pregiudizi. In una rara intervista televisiva realizzata per la Rai, Fernanda Pivano chiese a Kerouac: «Jack, dimmi, ma perché non sei felice?» E lui, visibilmente deturpato dall’alcol, non rispose.

domenica 17 gennaio 2010

egocentricità dell'apparire: essere o esporsi?


Vi è un modo tutto particolare di leggere le azioni dell’uomo. Un modo opportunista, a volte, che antepone la visibilità esteriore, egocentrica, dell’attore primario alla morale comune del vivere. Oppure, la rivalsa postuma di congiunti che non vogliono ammettere umani errori perpetrati dai padri; il rammarico tardivo di codardi “beneficiati”, amici dell’ultima ora, fans.
Nel grande e capiente calderone del web le notizie non mancano; ogni persona ha l’opportunità di esprimere la propria opinione in merito a faccende private e collettive. Può documentarsi e dire la sua versione dei fatti. Anche se, il maggior spazio lo occupa sempre e comunque il personaggio famoso, il dato positivo è che chiunque può suggerire e far intendere, a quanti millantano ipotetici adepti, di non esagerare nelle esternazioni faziose.
In tv e sui media in generale appare chi desta curiosità; internet conferisce notorietà a chi è cliccato, a prescindere del valore contenutistico messo in rete; e non c’è distinzione tra il blogger che cazzeggia, l’impegnato e i siti che trattano notizie di varia natura. Contano solo i clic! I contatori d’accesso segnalano lo share, dicono chiaramente quante volte è stato visitato il blog, il post, il filmato ecc.
Su Wikipedia si trova di tutto, storia, gossip, curiosità e anche semplici strafalcioni; su ogni voce, ad indicare una parvenza di scientificità, c’è un’indicazione, un termine che lascia intendere al visitatore la struttura della pagina cliccata, vale a dire se è un abbozzo in via di sviluppo oppure no. Quanto segue è il risultato della ricerca del termine “statista”:
Il termine statista deriva da Stato e indica un personaggio politico deputato a governare e regolare gli affari di Stato. Solitamente viene utilizzato per indicare il capo di Stato. Non è collegato a caratteristiche democratiche della figura: anche un dittatore può considerarsi uno statista. La non correlazione tra caratteristiche di nomina democratica della figura e la definizione della figura stessa pare essere rafforzata dal parere di politologi e storici che usano il termine, nei loro lavori, per indicare personaggi che hanno avuto incarichi di governo, a prescindere da come questi sono stati ottenuti. Virtualmente qualunque personaggio abbia rivestito incarichi tali da contribuire direttamente a sviluppare la politica di una Nazione può essere considerato tale. In senso generale, il termine è stato anche usato per indicare chi si è occupato di affari dello Stato arrivando, grazie al suo peso politico, a condizionarli pur non ricoprendo formalmente incarichi di governo. In questo senso, anche il capo dell’opposizione, in particolari contesti, può essere definito statista.
In base alla sintesi wikipediana, la terminologia di statista può essere assegnata senza possibilità di errori a chiunque si trovi in dette condizioni sociali ma è anche vero che lo Statista puro, quello che occupa spazi storici dignitosi e importanti nella memoria dell’umanità, è colui che ha speso energie per salvaguardare e migliorare il bene comune; ha creato i presupposti per una società migliore, solidale. Statista puro è colui che ha dato o dà alla collettività intera le proprie energie vitali senza aspettarsi nulla in cambio, neanche una targa ricordo, perché l’amore elargito al prossimo, attraverso il lavoro, lo sostiene nelle difficoltà e ritorna a lui accresciuto.

nun te reggae più: storielle facete (?)


Incontri fantastici nell’isola delle banane:

Dobbiamo cambiare le regole sociali! Dobbiamo tutelare gl’interessi della classe dominante!
Dobbiamo creare scompiglio nelle menti… smontare i teoremi buonisti creare disordini Eppoi quando il caos regna in ogni dove Io Proclamerò il Mio regno i Miei vassalli…
Sì Sì così si parla bene bravo sì sì fagli vedere di che pasta siamo fatti a quei pezzenti straccioni…

La piazza è calda; il popolo soggiogato dalle parole fomentatrici del leader gonfia il petto, urla a squarciagola slogan di solidarietà al premier e al suo programma. Concluso il comizio, la piazza si svuota lentamente. Alcuni continuano a inneggiare altri raccolgono gadget e bandiere e s’incamminano verso le sedi associative e qui, sfumata l’adrenalina di piazza, qualcuno azzarda un’ipotesi:
Sì vabbè sono d’accordo col capo ma come facciamo a rendere veramente operativo il programma?
Abbiamo gli occhi del mondo puntati addosso, senza contare quel capobranco che ci ha sempre combattuto… lui è forte, ha dalla sua parte persone intellettualmente incorruttibili che non si lasciano abbindolare facilmente… Ehi abbiate fiducia ghe pensi mì: tutti noi abbiamo un prezzo! Basta solo capire le debolezze dell’uomo e assecondarle, il resto viene da sé.
È vero! È vero… ma lui non ha mai dimostrato debolezze materiali come l’incastriamo? Co…spiriamo… No! Non serve! Basta solo indottrinare un gruppo di giovani. Giovani che facciano quello che Io comando. Giovani fedeli da inserire nei posti chiave.
Come facciamo, ci sono i concorsi pubblici? Le commissioni… Ghe pensi mì faccio un’offerta che difficilmente rifiuteranno se vogliono continuare a mantenere certi privilegi…

Nell’aria, parole irriverenti quanto sarcastici sembrano fare il verso ai cospiratori dell’isola delle banane sostenute dal ritmo incalzante del cantautore Calabrese Rino Gaetano:
…Nun teregghe ppiù abbasso alè nun te regghe più super pensioni ladri di stato evasori legalizzati auto blu rock blu nun te regghe più ajallà pc psi dc …. Nun te reggae più!

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