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giovedì 10 febbraio 2011

il fascino del tempo nella vita e nell'arte

©archivio M.Iannino
Vincenzo Caridi, 1957, olio su masonite
Il fascino del tempo, nella vita e nell’arte.

Lo scorrere del tempo affascina quanti sanno guardare tra le rughe della materia. Artisti, filosofi, persone comuni dotate di uno spirito d’osservazione attento e riflessivo ne hanno tessuto le lodi; hanno trasformato in linguaggio poetico la caducità delle cose, conferendo il giusto valore ai fenomeni della trasformazione strutturale ma anche epocale del vissuto.

Nelle sensibilità il logorio causato dal grande artigiano non assume connotati deleteri e neanche induce a vivere lo sfarinamento della materia con ansia ma diventano la testimonianza tangibile dell’ineluttabile.

È inevitabile che la carta lasciata a sfidare le intemperie si logori. È normale che l’opera dell’uomo trascurata, priva di manutenzioni specifiche specie si trattasi di opere d’ingegno o d’arte, si perda. Non è consigliabile, però, eccedere nelle attenzioni perché le stesse potrebbero sminuirne il valore aggiunto dal tempo.
Chi ama l’antiquariato comprende bene il fascino delle pergamene, dei libri trascritti da amanuensi, istoriate con inchiostri naturali e quanto potrebbe danneggiare o alterare un fare approssimato che adopera pigmenti e solventi moderni per la loro ristrutturazione. Piuttosto clonarli, farne delle copie per trarne la sapienza e divulgarla, e riporre in apposite teche col giusto grado di umidità l’originale.

Stesso concetto per le opere pittoriche o d’arte in genere.
Il dipinto e la cornice che lo racchiude, ove esiste, suggerita dal pittore, diventa nel tempo un tutt’uno con la decorazione stessa e racchiude il vissuto dell’opera nella sua interezza persino la carta che lo isola dal muro.
Al bando, quindi gli interventi rigeneranti invasivi sull’originale, meglio proteggere le poche pennellate esistenti, ripristinare il supporto e la cornice stessa senza esagerare anche perché il pensiero dell’autore, specie se vissuto in epoche lontane, è senz’altro in contrapposizione al contemporaneo, a prescindere dalle disquisizioni e le elucubrazioni mentali di storici e critici d’arte.

D’altronde come pretendere di sapere con certezza assoluta quali motivazioni hanno spinto o spingono una persona a operare in un dato modo piuttosto che in un altro?
Certi momenti sono influenzati dalla sfera del privato. Un privato che non prescinde dalla storicità del tempo e dalle esigenze contingenti del singolo.

“Nella continua e veloce trasformazione delle cose, noi stessi ci trasformiamo. Occorre prendere coscienza di questa realtà complessa e mutevole. Ed è quanto ho cercato di fare”. Così, in una nota, il pittore reggino Vincenzo Caridi (R.C. 1913/1996), sintetizzava il pensiero sulla mutevolezza, anche formale e stilistica in pittura. Lui stesso, si cimentò nelle varie forme espressive della figurazione, studiò le larghe campate cromatiche spalmate con la spatola, quasi alla maniera degli espressionisti; dipinse momenti intensi di socialità, in piazza o al bar con la sua pittura materica; e si dedicò anche allo studio del disegno lineare, alla sintesi della forma con la quale trasmise fermenti sociali contemporanei nella sua Reggio degli anni ‘80, come in “boia chi molla” o “pescatori” di proprietà del comune reggino, senza dimenticare il mondo del lavoro industriale e edilizio con le ruspe che si fronteggiano, quasi a strapparsi l’ultimo appalto l’un l’altra, simili a fiere in lotta per la preda.
Pura poesia visiva!, che non deve essere contaminata dall’azione terza.

martedì 8 febbraio 2011

la figurazione in pittura

©arch.M.Iannino
mario iannino, 1992, olio su tela,
ritratto di Guido Rhodio

La figurazione in pittura è puro diletto. 


È un attimo temporale che racchiude e palesa in sé, nell’ambito del mero esercizio manuale, fattori professionali acquisiti nel tempo.

Il pittore costruisce e personalizza, organizzandoli, secondo parametri soggettivi, spazi figurali inesistenti prima del suo intervento.

Insomma, il pittore costruisce e personalizza anonime superfici con l’ausilio di strumenti tecnici, conoscenza e pratica che, suffragate da sensibilità individuali, assurgono a linguaggio iconico universale.
La figurazione è l’esposizione del conosciuto, al di là delle somiglianze più o meno precise dal punto di vista fotografico. A tal proposito è sufficiente immaginare la figurazione elementare fatta di pochi ma eloquenti segni: un cerchio con due puntini e una linea curva sotto è l’ologramma di un faccione sorridente, riconoscibile in Cina come in Italia nonostante la distanza geografica e linguistica della parola scritta e parlata. Ciò non esima il pittore, sia esso artigiano o artista, che vuole intraprendere la carriera decorativa, dallo studio della figurazione e a lavorare secondo parametri scolastici o di bottega come si usava un tempo. Questo concetto è valido per chiunque. Pittori della domenica che dipingono per hobby, appassionati, studenti di liceo o dell’accademia devono apprendere i trucchi del mestiere, capire cosa struggeva la mente dei Maestri del passato quando studiavano le forme, la luce, il colore e da essi trarne l’anima.

martedì 25 gennaio 2011

spazio Artisti in Calabria, Rotella, Marziano, Toraldo, Celi, Mamone

aore12
Giovanni Marziano, olio su tela, (1978)
Massimiliano
Rivoluzione industriale, rivoluzione culturale, anni di plastica, società dell’usa e getta. Sono termini coniati per definire i vari fermenti sociali e culturali esplosi nei mitici anni sessanta.

Anni importanti per la crescita culturale mondiale.

In America come in Europa si vive un clima effervescente, si passa dalla fase preistorica industriale del ferro all'impiego dei derivati del petrolio, alla plastica; e grazie alla ricerca, in poco tempo, gli utensili di nuova generazione invadono i mercati, le case e infine le strade; ed è proprio dalle strade che inizia la trasformazione dell’oggetto.

Da oggetto alienato che ha concluso la sua funzione vitale, diventa, per mano dell’artista, un’altra cosa.
Diventa linguaggio; testimonianza di un’epoca.

È l’evoluzione del pensiero duchampiano; il ready made; l’oggetto ritrovato che sviscerato dalla sua funzione originale si fa linguaggio altro.
La provocazione di Duchamp contamina il fotografo e artista Man Ray e il resto della cultura visiva degli anni 60.
Anche Andrew Warhola, meglio conosciuto come Andy Warhol si lascia contaminare dai fermenti innovativi di quegli anni e sfrutta al massimo le potenzialità pubblicitarie. Infatti riprodusse, anzi fece riprodurre gli oggetti fotografati o disegnati in serie, e li immise sul mercato dell’arte.

Le serigrafie di Warhol sono diventate un cult. Per alcuni sono opere d’arte degne di nota mentre per altri no! Comunque si voglia intendere, è da convenire che Andy Warhol ha avuto quell’attimo d’illuminazione Zen, come diceva Mimmo Rotella, che lo ha spinto oltre il comune senso della visione settoriale parcellizzata.
Insomma, Warhol si trova nella condizione storica di poter proporre multipli a basso costo e a chiunque.
D'altronde è da sciocchi stare a lisciare la tela per giorni quando basta un clic ben azzeccato; l’importante è l’idea; il linguaggio poetico che l’artista evoca col suo gesto e trasmette. Anche la pittura, intesa come lavoro artigiano è preistoria! Perché non avvalersi delle nuove tecnologie?
 Indubbiamente, il bel dipinto rimane l’unico mezzo per dimostrare valenza pittorica, ma nulla di più!, se non vi è dentro l’anima di chi lo ha realizzato!

Anche Mimmo Rotella, coi suoi decollage, è stato bistrattato e offeso. I detrattori non hanno capito la genialità dei linguaggi metropolitani. Cosa che invece Mimmo Rotella ha saputo raccogliere e donare all’arte.

Gli anni sessanta sono stati anni importanti per la crescita culturale e sociale; hanno dato spunti a scienziati, tecnici, industrie, lavoratori, artigiani e artisti in generale.
Le innovazioni, contaminando i percorsi di pensiero, determinano nuovi lemmi nei linguaggi creativi; da ciò si evince la consequenziale fioritura formale dei lessici figurali ed è altrettanto ovvio che chiunque li adoperi ne tragga beneficio; per cui, anche la figurazione intesa in senso strettamente tradizionale trova possibilità esplicative differenti. Viene da sé che il pittore della domenica non rimane tale in eterno e neanche il neofita; se ama davvero l’arte e la reputa volano di crescita collettiva si spinge al di là del fattore puramente formale pittorico, approfondisce studi e ricerche per migliorare pensiero e linguaggio.

Negli anni 70 sono visibili i risultati dei fermenti esplosi nel decennio precedente.

Consumismo e pubblicità la fanno da padroni. Inutile elencare gli artisti che a vario titolo hanno adoperato materiali pubblicitari per esprimersi e smuovere le coscienze. Molti di questi prodotti ora si trovano nei musei o fanno bella mostra nelle esposizioni private, altri li hanno staccati dalla parete e riposti in cantina.

Anche se, i linguaggi innovativi, in certi casi, hanno creato nuovi geni o mostri giacché Sacro e Profano è stato mescolato per tesaurizzare anche i prodotti effimeri, è indubbia la valenza semantica apportata dall'osservazione creativa dei Maestri.

Gli anni settanta sono importanti per chiunque, anche per me!
Sono gli anni della frequentazione culturale e artistica; gli anni dell’impegno sociale anche attraverso la pittura. Incontri e scontri dialettici con gli amici pittori e poeti che sfociano nella costituzione di un centro culturale nel ’77.
Alcuni di quegli amici non ci sono più, altri continuano nel lavoro artistico. La loro presenza, comunque, rimane viva.

Ho già parlato, in post precedenti, di Enzo Toraldo, Aniceto Mamone, Pino Celi. Adesso aggiungo Giovanni Marziano.

Di Giovanni Marziano c’è in casa una presenza costante: la tela col ragazzo in maschera realizzato nel suo vecchio studio di via arcivescovado, nel centro storico di Catanzaro.
Ricordo Giovanni in uno dei rari momenti di pausa. Si discuteva di tutto e si scherzava. Gli chiesi un dipinto. Lui mise una tela sul cavalletto, fece sedere Massimiliano, mio figlio, e iniziò a lavorare. Dopo qualche ora mi diede la tela e mi disse: ecco è Massimiliano tra qualche anno.

In effetti il ragazzo raffigurato aveva qualche anno anagrafico in più; ma lui, Giovanni, da artista attento, seppe ravvisare i tratti che col tempo si sarebbero, e si sono, palesati in un Massimiliano grandicello.

Ovviamente nessuno è rimasto ancorato all'esperienza iniziale. Io faccio ricerca e studio i linguaggi visivi e tutto ciò che stimola la creatività attraverso il gioco. Giovanni ha sempre voluto cimentarsi nella figurazione e oggi produce un linguaggio che ha radici profonde, che per certi aspetti può trovare assonanze nella poetica di Warhol e ben oltre; una figurazione precisa, reale più della realtà stessa, che potrebbe essere, a mio avviso erroneamente, inserita nel filone dell'iperrealismo, perché non credo che questa sia la giusta collocazione, anzi risulterebbe riduttivo giacché nasce e si sviluppa attraverso i nuovi media asserviti, però, alla creatività soggettivizzata di Giovanni Marziano. Insomma, siamo agli sviluppi estremi di teorie e pratiche di artisti come Man Rey, che rivisitati concettualmente oltre che tecnicamente assurgono a "concetti visivi" unici e vanno a coprire quella parte di figurazione narrante, ancora cara nella finzione visiva, e ricercata dai più.

martedì 30 novembre 2010

etica e sacralità in pittura: preraffaelliti e nazareni tra Italia e Inghilterra dell'800

©courtesy archivio M.Iannino

Sacralità ed etica del lavoro creativo nell'800.


Nel 1845 un gruppo di pittori, riunitosi a Londra, decide di rifiutare ogni forma accademica in pittura e per sviluppare la loro tesi prende come punto di riferimento i pittori precedenti a Raffaello, portatori, secondo il loro modo d’intendere l’arte e la vita stessa, di una freschezza poi contaminata dalle varie scuole successive a Raffaello, compreso. Perciò furono definiti Preraffaelliti.

In Italia qualcosa di analogo prende il nome de I Nazareni, un ristretto gruppo di artisti appartenenti al movimento romantico tedesco, attivi a Roma agli inizi del 1800, che incoraggiati in un primo momento dalle teorie di Wilhelm Heinrich Wackenroder e di Wilhelm August von Schlegel si staccano dallo schema classico-accademico, orientandosi verso una nuova arte, fondata su patriottismo e soprattutto sulla religiosità con un linguaggio che conferisce caratteristiche arcaicizzanti riscontrabile nell’impiego di un forte tratto dal cromatismo crudo fatto di pennellate uniformi.

I giovanissimi artisti Franz Pforr (1788-1812) e Johann Friedrich Overbeck (1789-1869), nel 1809, istituiscono nella città di Vienna, la Confraternita di San Luca (la Lukasbund), giurando di prestare sempre fedeltà alla verità, di contrastare gli schemi accademici e di far risorgere l’arte impiegando ogni mezzo.

A Roma, dove soggiornano l'anno seguente, grazie alla conoscenza del direttore dell'Accademia di Francia ottengono il consenso di riunirsi nel convento di Sant'Isidoro del Pincio, insieme a nuovi seguaci.
La confraternita andò a vivere nel monastero al Pincio e lì gli adepti cercarono d’intraprendere, attraverso la sacralità del lavoro, un percorso etico-pittorico che affondasse le radici nel piacere primitivo e sacrale della manualità e del lavoro inteso come preghiera autentica.
Insomma una pittura in netta antitesi con quell'arte che, per realizzare "la bellezza", ha tradito "la verità".

C'è, quindi, il ritorno allo studio di un albero, del gambo di un fiore, di una massa nuvolosa; si ricercano anche i dettagli più trascurabili del disegno, per esempio di una fronda, per riscoprire a fondo la struttura della natura e dialogare con lo spirito ormai svanito dell'animo umano.

Ma le contraddizioni non mancano; il tono sentimentale dell' "Ecce Ancilla Domini" (1850) di Rossetti, (Dante Rossetti, nonostante il suo nome, autenticamente italiano, è un pittore inglese nato a Londra il 12 maggio 1828 e morto a Birchington, 10 aprile 1882) con una successione di piani tracciati in modo quasi immaturo, come un atto di riverenza al Beato Angelico e l'invocazione del candore cristiano, per il critico d'arte John Ruskin, si spegnerà presto nelle imminenti passionali e provocanti dame; e così anche Hunt si perderà in una snervante ricerca del particolare e nella raffigurazione simbolica; mentre il dotato Millais trasgredirà, sempre secondo il critico d'arte, la causa preraffaellita per indirizzarsi alle richieste di ricche committenze: il messaggio incomincia a perdersi e verrà del tutto sostituito dai contenuti dall'estetismo che dilagherà dagli anni cinquanta, per tutto l'Ottocento.

venerdì 30 ottobre 2009

Aniceto Mamone, pittore naif?



I pittori che non hanno seguito corsi di studi regolari in licei artistici o accademie, nel gergo
©archivio M.Iannino
comune, erroneamente, sono etichettati come naif (parola francese che, tradotta letteralmente, in italiano significa “ingenuo”).

È senz'altro un ossimoro, una contraddizione in termini!

Non tutti sono a conoscenza che per realizzare un bel dipinto non è necessario seguire corsi di studi istituzionali che imbottiscono le menti di nozioni ma, piuttosto, apprendere le tecniche e abbandonarle nel momento della creazione come hanno asserito i maggiori artisti che hanno fatto la storia dell’arte.

In quanto, nell'attimo della creazione, per esternare onestamente poetiche personali, e chi fa della pittura ricerca e fonte comportamentale quotidiano ne è testimone e  lo mette in pratica, ovvero, abbandona la razionalità, inibisce insieme alle tecniche i saperi teorici, altrimenti i gusti estetici correnti, avvalorati dalle teorie di mercato, possono condizionere l’esito finale dell’opera.

L’artista è un ricercatore e come tale scandaglia materia e strumenti; personalizza i linguaggi espressivi conosciuti fino a trovare il proprio; non importa se figurativo, astratto, nuovi media ecc. Importa, invece e gioca un ruolo importante la passione e Aniceto Mamone, di passione ne aveva tantissima. Nei suoi lavori aleggia la magia dei puri che illumina scorci di paesaggi familiari; case strette l’un l’altra in intimi abbracci; ripide scale trasformate in scivoli giocosi.

In pittura, spesso erroneamente, chi dipinge figure e oggetti non attinenti alle regole costruttive dettate dalla prospettiva, adopera tavolozze elementari e personalizza lo spazio fuori dai canoni accademici è considerato naif.
Anche l'autodidatta è ritenuto tale, ma non è il caso di Mamone. Lui conosceva bene il mestiere e le tecniche tant'è che "quando era davanti uno scorcio, non si atteneva a ciò che vedeva con gli occhi fisici: lui dosava gli elementi, cercava l’equilibrio e considerava persino dove porre la firma, perché, diceva: "è parte integrante della costruzione del quadro".

mario iannino

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