sabato 22 giugno 2019

Breve video "Medea" portata in scena dal Teatro di Calabria A. Tieri.

Video estrapolato dal  tardo pomeriggio di ieri, 21 giugno 2019, in cui al museo MARCA di Catanzaro, c’è stata la variazione sul mito di Medea (di Euripide come di Alvaro).

Il video in questione espone un tema di rilievo: l’amore che muove una donna maga, senza più magia, e il suo uomo dapprima visto come eroe e successivamente come nullità di sentimenti.

Sono poche parole,quelle del video,  antiche parole, ma che celano l’andamento quasi ripetitivo e intramontabile dell’universo tutto: l’amore che, seppur fuggevole, tormentato e terminabile, in realtà viene ricordato e si rivela quasi come una preghiera dannata nel tempo, nei secoli.

In questo breve seppur intenso esempio si racchiude il lavoro del Teatro Di Calabria A. Tieri di Catanzaro, un quadro emozionale che dona sempre quella sfaccettatura in più, quella sfumatura di colore che la volta prima non eri riuscita a cogliere.

Perché questo è davvero il teatro: coinvolgimento, come direbbe il maestro Camilleri “persona e personaggio si sono  finalmente riuniti” e io questo nel teatro di Calabria lo ritrovo ogni volta. E ogni volta anche avendo già visto una performance, ci vedo del nuovo non colto la volta prima.

Grazie al professor Gigi La Rosa, al maestro Aldo Conforto, alla mia splendida amica “Medea” ( persona e personaggio si unisce come un perfetto abito) Mariarita Albanese, Salvatore Venuto, Marta Parise, Anna Maria Corea, Alessandra Macchioni, alla dottoressa Anna Melania Corrado;  ai miei colleghi dello staff e a chi rende possibile il sogno reale del TdC. 
                                                                                                                    Manuela Iannino.

Mariarita Albanese, Salvatore Venuto, Anna Maria Corea, Alessandra Macchioni e Marta Parise.
Manuela Iannino foto©



Anna Maria Corea, Alessandra Macchioni, Marta Parise e Mariarita Albanese
Manuela Iannino video©

venerdì 21 giugno 2019

venerdì 14 giugno 2019

Calabria tra storia e poesia

LA COLLINA DELLE GINESTRE.


Il vecchio casino di caccia sta lì da forse più di cent’anni su un dirupo roccioso coperto da fichi d’india e domina quieto la costa jonica.
È il luogo incantato che ho sempre sognato ed ora sono lì come qualche estate fa quando capitai per caso. Ricordo, girovagavo senza meta e di colpo l’orizzonte si aprì davanti a me. Inaspettato come un pugno allo stomaco ricevuto senza motivo. Dimenticai di colpo la fatica e la sete. Non pensai ai mille interrogativi che mi infiammavano il cervello. Guardai semplicemente. Sgranai gli occhi e bevvi quel paradiso della natura. … E mi vestii di poesia!


L’odore dei fiori di ginestra, lo ricordo come se fosse adesso, era intenso. Ma quello era niente rispetto al cocktail di aromi che susseguirono prima che vedessi il salto del cielo.  Ad un certo momento, poco prima che l’immensità si aprisse davanti ai miei occhi e mi vestisse di luce, avvertì una leggera brezza iodata. L’odore del mare a cinque seicento metri d’altezza sorprende! Corrobora e stupisce. Si stupisce avvertire la presenza del mare in piena campagna. E quegli odori inusuali che si combinavano piacevolmente non finivano di stupirmi. Anche l’odore della resina arrivava a stuzzicare le mie narici.
Dove mi trovo?
Oggi sento la necessità di evadere dalla quotidianità. Faccio un salto nella mia favola! là dove mi sembra di essere nello stesso tempo in mezzo al mare e al centro della terra ferma. Da lassù lo sguardo domina il mare, i polmoni si riempiono di iodio condito dal profumo delle ginestre e dalla fragranza dei pini marini.
E poi scendere con lo sguardo lungo il pendio fino a raggiungere gli scogli di Cassiodoro. Tra i resti delle vasche progettate dal monaco squillacese e
 Tuffarsi nelle acque fresche cristalline mosse da una leggera corrente che esalta le innumerevoli cangianti sfumature dove un tempo i monaci si dedicavano alla preghiera, alla meditazione e allo studio. È qui che è sorta la prima università mediterranea: l’università Vivariense fondata dal senatore Flavio Augusto Cassiodoro quando lasciò la politica per dedicarsi alla meditazione e gettare ponti dialoganti tra le diverse religioni e culture del mediterraneo.

sabato 1 giugno 2019

QUANDO LA SINISTRA DIMENTICA

I braccianti in Calabria è una raccolta di fotografie scattate in Calabria tra il 1970 e il 1980 da Ledda e Veltri. Foto rigorosamente in bianco e nero.

La raccolta con la prefazione di Saverio Di Bella e la collaborazione di Quirino Ledda, all'epoca consigliere regionale del pci e vicepresidente della regione Calabria, e Filippo Veltri, giornalista de “l'Unità “, insieme con la passione della fotografia testimoniano il fervore politico nonché spaccati di vita quotidiana nelle campagne e nei paesi calabresi.

Dieci anni di lotte dei braccianti, dei forestali, dei giovani e delle donne per una Calabria diversa. Si legge in quarta di copertina.
Immagini che testimoniano grandi mobilitazioni unitarie ma anche momenti di vita familiare contadina e operaia. Dieci anni di storia sono raccontati per immagini e testimoniano la crisi economica e sociale della regione che avrebbe dovuto essere parte attiva della “questione meridionale”. Una regione che non seppe utilizzare le risorse e rinascere dalle proprie ceneri a nuova vita.
A spulciare oggi quelle 94 pagine sembra che tutte le sofferenze patite dai lavoratori e le proposte d'intenti urlate nei cortei e nelle piazze dai leader politici e di categoria siano stati vani.


Siamo caduti nell'ennesima barbarie culturale.
A sentire i nuovi leader politici pare che le maestranze, la mano d'opera in generale, non copra un ruolo importante nell'economia nazionale e globale. Negli schemi mentali dei politici e delle lobbie c'è al primo posto l'azienda e gli imprenditori coi rispettivi investimenti. Sarà per questo che a Taranto si continua a morire?

La cosa strana e inaccettabile per quanti hanno seguito e combattuto le ingiustizie sociali sta nella nuova linea dei dirigenti del pd, cioè di quelli che avrebbero dovuto essere il “nuovo” del partito di sinistra in Italia legato ai sovietici. Un partito laico e poliedrico che, oltre alle tutele dei cittadini avrebbe dovuto inglobare le necessità degli imprenditori. Non più muri tra i due sistemi, niente barricate frapposte tra lavoratori e padroni ma proficue collaborazioni per il bene comune.
Dopo la caduta del muro di Berlino la cortina di ferro e la guerra fredda tra usa e urss, in Italia e nel resto d'Europa necessita rinnovare le menti, espandere le risorse sociali, economiche e culturali senza però dimenticare i tantissimi martiri caduti sulla strada delle conquiste sociali per la tutela dei lavoratori.

giovedì 30 maggio 2019

Ci salveremo?

C'era una volta

Come tutte le favole anche questa inizia così:
C'era una volta la classe operaia. Donne e uomini deboli culturalmente che si fidavano dei leader di quello che allora doveva essere il partito dei lavoratori. Organismi nati per fare emancipare le classi meno abbienti. Contadini. Operai. Lavoratori in genere.

Cittadini che per ragioni diverse erano sfruttati dai latifondisti, dagli industriali e dai ceti che detenevano il potere economico e sociale non ancora del tutto scomparso nonostante le lotte per la democrazia e le parità.

C'era dignità e passione nelle lotte per l'emancipazione sociale. Dirigenti e operai si confrontavano spesso. Ci si dava del “tu”!
C'era rispetto! Nonostante tutto. E i partiti di sinistra non guardavano allo spread o alla parità di bilancio. Nella scala dei valori c'era anzitutto la salvaguardia dei deboli.
Il confronto con la classe dominante era serrato ma franco. Difficilmente si facevano “sconti”.

Pci. Psi. Dc. E gli altri partiti sorti nel primo dopoguerra e nel corso delle lotte studentesche del '68 poi scomparsi a seguito degli oltranzismi delle lotte cruente, guardavano ai deboli e alla loro tutela in tutte le forme.

Lo stato sociale, il welfare come è definito adesso, era tenuto in considerazione e tutelato dai padri della costituente tant'è che diversi articoli della Carta Costituzionale lo rammentano.

C'era una volta... appunto.
Oggi si guarda al proprio ombelico. Mentre la paura del diverso ci assale, ci imprigiona in un abbraccio letale dando spazio ai nuovi despoti. Qualcosa senza dubbio si è rotto!
I vecchi partiti sono morti negli scandali della prima repubblica. I magistrati e gli inquirenti hanno messo a nudo grandi e piccole pecche di personaggi insospettabili.
Dallo scandalo delle “lenzuola d'oro” venuta fuori nel 1988, madre delle tangentopoli che mostrava il metodo di finanziamento illecito ai partiti, metodo che ancora tarda a morire, prese l'avvio una ipotetica Repubblica riveduta e corretta dall'azione del pool “mani pulite”. Inutile dilungarci.
E se Ferruccio de Bortoli nel suo ultimo libro dice fiducioso “Ci salveremo” perché, ha, appunto, fiducia negli italiani, non per essere bastian-contrari o catastrofisti ad ogni costo ma perché si constatano ogni giorno fatti di malaffare nelle istituzioni, pare che i lupi perdono il pelo ma non il vizio.

Peccati di cui anche i cosiddetti partiti di sinistra che hanno ereditato personaggi e la storia gloriosa del passato non sembrano esserne esenti.

Ci salveremo?

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