domenica 31 gennaio 2010

Migranti: alla ricerca delle proprie radici


Storie di emigranti: partiamo dalla Calabria.

Da Vallefiorita a ...

Vi è un momento della propria vita in cui si è portati a fare un bilancio sommario che comprenda percorsi personali, familiari e sociali. Momenti di vita dimenticati o trascurati assumono valenze diverse a seconda dell’età o dalle propensioni dell’animo umano.

L’individuo a volte è alla ricerca delle proprie radici per puro sentimentalismo, altre per comprendere le proprie radici così da comprendere appieno l’evoluzione degli usi e dei costumi sociali ed in ciò le immagini i filmati, la letteratura, la storia, insieme, i documenti storici citati aiutano a comprendere il vero senso della vita dei migranti, siano essi italiani, bosniaci, indiani, marocchini o afroamericani.

Questo il tema della seguente rubrica che apre con l'intento di aiutare i lettori protesi a ricercare parenti e amici lontani geograficamente.

Alcuni avvenimenti sono rimossi automaticamente dalla memoria, altri si dimenticano senza un perché e quando capita tra le mani una vecchia foto si cerca di associare l’età, il giorno, l’occasione e magari collegare il tutto a qualche evento importante, tipo il campionato di calcio, la scuola, una ricorrenza familiare.
A volte l’operazione mnemonica dà buoni frutti altre volte no! Ed è ciò che succede davanti a certe fotografie

sabato 30 gennaio 2010

libertà in arte: il rhytm and blues e gli anni 60




I fiorellini bianchi stampati su fondo viola hanno catturato la mia voglia di viaggiare.
aore12


Vedo una vasta distesa soleggiata.
Ragazzi dai capelli lunghi e dalla barba incolta. Musica rock. Sorrisi. Calore.

Ragazzi e ragazze che si tengono per mano e cantano in coro parole d’amore. Ballano.
Inneggiano al nuovo mondo, alla pace.

Le bancarelle, addossate l’una all’altra,costringono i passanti in fila indiana. Lo spazio destinato al mercatino del sabato tra le palazzine popolari di Pontepiccolo è esiguo. I venditori ambulanti, adagiano la mercanzia sui declivi del terreno incolto e invitano la gente a misurare la biancheria nei furgoni in parte svuotati.
La radio trasmette ritmi musicali e parole sconosciute. Parole graffianti, a volte roche ma piene di musicalità.
La voce del cantante nero diventa strumento che accompagna e s’insinua tra le note della band. Qualche signora anziana storce il muso: meglio Claudio Villa! Che sono ‘ste porcherie! Rumore solo rumore! Yè yè yjèè parlano ‘njiermitu chi li capisce a questi! Ah ma dove andremo a finire. Povera gioventù. È una generazione bruciata! …
“Ti piace? Bella vero? È una camicia americana! I ragazzi in America usano vestirsi così ora… dopo Woodstock”.
Non sento il venditore ambulante. Seguo il ritmo sincopato, l’andata e il ritorno della chitarra elettrica, il rullare della batteria. È avvolgente!
Bella vero? È una canzone di Wilson Pickett. Un cantante di colore che sta spopolando nelle classifiche col suo rhytm and blues. Questi Neri hanno un’anima veramente poetica!

Cantano le sofferenze di un intero popolo fatto schiavo dalla malvagità di quanti si sentivano superiori... poverini!


giovedì 28 gennaio 2010

haiti, 15 giorni dopo la catastrofe


Haiti.
È commovente! Dopo 15 giorni i volontari estraggono dalle macerie una ragazza di 16 anni ancora in vita. Un corpicino minuto, imbiancato dai calcinacci e dalla polvere, rivede la luce; torna alla vita e sussurra “merci” ai soccorritori; chiede notizie dei genitori al medico, visibilmente emozionato, che le ha prestato le prime cure prima di essere imbarcata sulla nave ospedale americana.
Intanto i sopravvissuti vagano alla ricerca di alimenti, acqua e vestiti. Ognuno pensa per sé! E le immagini del bimbo seduto nudo in mezzo alla strada nell’indifferenza totale dei passanti lo confermano.
Solidarietà, spirito di conservazione, egoismi, ricchezze e miserie umane convivono nell’isola.

mercoledì 27 gennaio 2010

scrittori in erba, fantasmi, creatività e web


Che strano! Ho sognato una vecchia macchina da scrivere. Uno di quegli aggeggi usati nella
aore12
"olivetti 82"
preistoria; quegli aggeggi infernali che lasciavano tracce sul foglio a suon di tic tic, cadenza, dal ritmo variabile che seguiva pensieri e bravura di chi batteva sui tasti. E frasi poetiche...

Quando la macchina fu commercializzata riscontrò larghi consensi; fu inserita negli uffici e riempì d’angoscia i vecchi scrivani mentre i giovani iniziarono a frequentare corsi professionali mirati per apprendere il metodo e scrivere velocemente con entrambe le mani e le dieci dita. L’aggeggino rivoluzionò completamente il lavoro negli uffici e nelle case. Anche gli scrittori in erba impararono ad usarla: infilavano nel rullo i foglio di carta A4 intervallati dalla cartacarbone quando occorrevano più copie e battevano sui tasti per comporre poesie, racconti o relazioni. Eh la tecnica!...

La stranezza del sogno consiste nell'appendice della macchina da scrivere: un semplice insignificante filo la collega ad una penna ottica di ultima generazione e basta passare il lettore sulla fronte per travasare i pensieri più reconditi immediatamente sul foglio privi di sovrastrutture o mediazioni formali.

Potenza della parola scritta! tra vecchie e nuove macchine non c'è rottura o antagonismo ma solidarietà. Volontà di chiarezza, creatività! L'appendice conferisce alla macchina da scrivere il potere rivoluzionario dell'immediatezza trasformandola in macchina della verità che sbugiarda o conferma pensiero e azione di chi sta davanti.

Miracoli, suggestioni o speranze inconsce riposte nelle potenzialità della democrazia liquida?

martedì 26 gennaio 2010

Bertolaso, Casini e il gioco delle tre carte di...

L’analisi di Bertolaso, i tre forni di Casini, le tre carte di…

Il principale problema che assilla i leader politici è: annullare l’avversario!, perlomeno questo è ciò che avverte il cittadino comune bombardato dalle notizie dei giornalisti e dalle esternazioni degli stessi politici che occupano gran parte degli spazi dei palinsesti.

Ogni strategia è buona per ab/battere il nemico!

Nel frattempo si perdono di vista i veri valori della vita comunitaria che sono la fonte di tutte le civiltà evolute:
• La morale
• Il lavoro
• L’istruzione
Temi ampiamente sbandierati ma mai sviluppati dai dirigenti nazionali che sembrano prediligere i giochi dei tre forni per le alleanze politiche o quello delle tre carte per solidificare inciuci dannosi per la collettività. Tutto ciò è ampiamente documentato nella letteratura giornalistica degli ultimi anni con dovizie di particolari.

Di contro, nel momento in cui un dirigente nazionale esprime fuori dal coro un’analisi costruttiva, si assiste ad un turbinio di scuse e smentite, ricusazioni e distanze ideologiche dal pensiero del malcapitato di turno.

Non è difficile essere d’accordo con le esternazioni di Bertolaso in merito all’emergenza Haiti. Si sa, il dolore accomuna e la sofferenza della gente inerme alimenta la pietas popolare; tutti si sentono colpiti e partecipano come possono agli aiuti: dalle preghiere ai generi di prima necessità, alla ricostruzione. Ma, lungi l’intenzione di una pur minima polemica, sorge spontanea una domanda: come mai Bertolaso è andato ad Haiti e perché ha esternato un’analisi, probabilmente vera visti i risultati ottenuti, ma priva di tatto? Sarà stato guidato dall’indignazione per lo stato d’inciviltà cui sono costretti a vivere i più poveri dell’isola? È vero! La giostra della vanità pianta le tende e gli stendardi sulle macerie e si manifesta caritatevole, vincente davanti alle telecamere. Però è opportuno che quest’assunto Bertolaso lo rammenti sempre a quanti gli sono accanto specie per le emergenze italiane.


domenica 24 gennaio 2010

il politichese nelle realtà locali

Nella storia dell’uomo è tracciata chiaramente l’evoluzione tecnica e scientifica della specie.
Il genere umano ha inventato geniali stratagemmi per superare le avversità; pianificare problemi di sopravvivenza; migliorare le comunicazioni e affinare i linguaggi.

Allegorie verbali e visive, quindi, arti oratorie teatrali, scritture, dipinti e disegni illustrano il cammino antropico e le varie forme di proselitismo adottate per divulgare i saperi acquisiti nel tempo. Parola e gesto sono metodi fenomenali per indottrinare le masse e l’oratore magniloquente conosce bene il metodo per attrarre le attenzioni della platea; capisce quando è il momento giusto per strappare l’applauso, commuovere o far sorridere. E questo è bene!, se non nasconde falsità o ambiguità immorali.

Altro discorso è il linguaggio usato dai politici per raggirare ostacoli e far convergere errori e furberie nella scatola della bontà che tutti i partiti costruiscono giorno dopo giorno. La scatola della bontà del politichese somiglia moltissimo al cilindro del mago: è una scatola magica pronta a stupire gli astanti, che trasforma gli errori gestionali in benefici personali. Insomma è una sorta di lavatrice con vari programmi di lavaggio, dal delicatissimo allo sporchissimo, con e senza centrifuga.
Esiste la possibilità di debellare o quantomeno contenere il malcostume fin qui generato?

Si sa, la via per la pace e del buon governo non è mai un’autostrada comoda e diritta; spesso è una stradina irta di difficoltà; un sentiero di campagna tortuoso, dalla traversata imprevedibile, costellato di pericoli ambientali, smottamenti, per cui richiede una guida sicura, attenta e dell’aiuto corale dei viandanti.

La natura, dal canto suo, dà segnali d’insofferenza per i saccheggi subiti; anche le classi meno abbienti si ribellano alle intolleranze storiche, ora tocca all’intelligenza della “casta” dare risposte sincere.

sabato 23 gennaio 2010

la forza evocativa della metafora in pittura

Allegorie figurali in pittura.

Quando osserviamo un’opera pittorica tipicamente figurativa, per comprendere appieno il messaggio è opportuno considerare alcune semplici regole e ricordare che l’operatore per trasferire messaggi visivi complessi si avvale delle allegorie che il linguaggio comune assegna ai soggetti inseriti nell'opera e non considerare il quadro come un’operazione decorativa fine a se stessa da collocare sopra il divano perché fa pendant col salotto o il paralume. In sintesi: aprire la mente ai linguaggi della visione contemplativa; cercare le allegorie figurali prodotte dall’artista; accogliere, comprendere, dialogare.

La metafora pittorica condensa forza oratoria e alchimia grafica in pochi centimetri quadrati.

Alcune allegorie sono parte attiva dei linguaggi simbolici comuni. Tra questi, il simbolo della Croce è, per il mondo Cristiano, sinonimo di Amore Universale, mentre la colomba assurge a rappresentazione di Pace tra gli uomini, così come il ramoscello d’ulivo.
Anche un cuore graffiato sul muro o inciso sulla pelle esprime passione per qualcuno. E fin qui tutto scontato! Il problema si pone davanti a simbologie figurali personalizzate. Allorquando l’artista per realizzare nell’immediatezza visiva un tema complesso come la pace o altro esprime concetti pittorici inusuali. Innovazione e personalizzazione dei linguaggi stentano a essere recepiti dalla massa specie in quei territori poveri di stimoli culturali marchiati dall’infamia sociale della disoccupazione, dall’ignoranza e dalla sottocultura dei dirigenti.
In simili situazioni l’artista che vuole “parlare” alla massa ed esplicitare con la figurazione un qualsiasi tema sociale si guarda intorno, valuta le difficoltà oggettive e associa a qualcosa di caratteristico legato al territorio il dato peculiare del tema da sviluppare.
Trattandosi di un territorio prevalentemente montuoso come quello calabrese composto di poche pianure, dirupi, rocce, strade tortuose, vegetazione, sole, mare e stili di vita spartane, l’artista non può che correlare la calabresità al paesaggio, che, trattato diligentemente dall’uomo, diventa espressione di generosa ospitalità e sostentamento collettivo.

Nel paesaggio calabrese, la pianta dei fichi d’india è una varietà vegetativa spontanea che cresce e fruttifica senza l’intervento amorevole dell’uomo persino sulle rocce. Ha foglie larghe e carnose punteggiate di aculei; anche il frutto, variegato nei colori e nel sapore, è protetto da una corazza carnosa ricoperta di spine, che, se lasciata macerare nell’alcol trasmette al liquore ottenuto, qualità organolettiche digestive. Insomma, quanti ignorano le molteplici peculiarità della pianta, difficilmente riescono a trovare nessi logici del suo inserimento in un contesto figurale pittorico. Eppure chi conosce l’animo del meridionale in generale e Calabrese in particolare intuisce immediatamente la metafora tra la ruvidità esteriore dei calabresi e la spartana pianta in questione.

mario iannino


venerdì 22 gennaio 2010

dietro le quinte, in nome del popolo italiano


Sembra che ogni popolo abbia un destino; una storia in parte tracciata dalle azioni dei padri; un karma secondo la filosofia indù. E che ogni azione provochi il perpetrarsi delle future condizioni di vita economiche, sociali ecc.

I flussi e riflussi storici, quelli scritti con onestà intellettuale, sembrano dare ragione alla legge di causa ed effetto menzionata nella religione induista. Sarà questa la disgrazia dell’Italia e degli italiani? Al 99,99% deve essere per forza così! Altrimenti non si spiega il metodo anomalo che muove le azioni della classe dirigente nazionale.

Per questi signori l’immoralità affamatrice, il malgoverno e gli atti indolenti, come uccidere la coscienza nazionale, è prassi storica!

In parte, l’anomalia della politica italiana attuale è condensata nel bipolarismo dell’ultima ora; nella mancanza del dialogo e nell’assenza totale del rispetto reciproco tra parlamentari, istituzioni e cittadini.

Basta seguire una trasmissione televisiva che tratta temi sociali per avere una visione della tracotanza di alcuni parlatori addestrati: tutti hanno studiato la lezione a casa, fatto i compitini diligentemente che espongono civettuoli e quando non hanno argomenti o risposte chiare tirano fuori dalle tasche l’elenco della lavandaia, inforcano gli occhiali e ripetono pedissequamente le stesse identiche, stressanti cose, proclamate fino alla noia, esasperando gli astanti e mortificando l’intelligenza di quanti sono in ascolto.

Altro dato inconfutabile consiste nell'esterofilia degli italiani. I massimi riferimenti, per quanto concerne la libertà d’azione per alcuni im/prenditori che vogliono essere liberi di gestire gli affari a proprio piacimento, arrivano dai paesi in cui vige uno stato garantista a favore di chi investe o esporta denaro. Mentre per la gestione democratica della cosa pubblica, parlamento e relative leggi, si scimmiotta il bipolarismo americano; si cita all’occorrenza il modello francese, tedesco, inglese ecc., ma mai si pensa veramente di affrontare e risolvere un qualche banalissimo problema che tocca da vicino il cittadino comune.

Per gestire al meglio i propri interessi, le potenti lobby hanno pensato bene di eliminare con uno sbarramento elettorale i piccoli rappresentanti della democrazia. La casta tesse trame strategiche dietro le quinte; ognuno, schierato nel ruolo assegnato dai burattinai di turno, sopprime le voci delle minoranze dissenzienti, impone candidati comunali, provinciali, regionali, nazionali e europei.
Ricatta e promette favori, posti al sole per seguaci e prole. Attua il nepotismo. Consolida poteri. Sposta capitali. Impone leggi inique nel nome del Popolo Italiano.

giovedì 21 gennaio 2010

Pittura e poesia, linguaggi di denuncia


Allegorie figurali in pittura.

Quando osserviamo un’opera pittorica tipicamente figurativa, per comprendere appieno il messaggio è opportuno considerare alcune semplici regole e ricordare che l’operatore per trasferire messaggi visivi complessi si avvale delle allegorie che il linguaggio comune assegna ai soggetti inseriti nell'opera e non considerare il quadro come un’operazione decorativa fine a se stessa da collocare sopra il divano perché fa pendant col salotto o il paralume. In sintesi: aprire la mente ai linguaggi della visione contemplativa; cercare le allegorie figurali prodotte dall’artista; accogliere, comprendere, dialogare.

La metafora pittorica condensa forza oratoria e alchimia grafica in pochi centimetri quadrati.

Alcune allegorie sono parte attiva dei linguaggi simbolici comuni. Tra questi, il simbolo della Croce è, per il mondo Cristiano, sinonimo di Amore Universale, mentre la colomba assurge a rappresentazione di Pace tra gli uomini, così come il ramoscello d’ulivo.
Anche un cuore graffiato sul muro o inciso sulla pelle esprime passione per qualcuno. E fin qui tutto scontato! Il problema si pone davanti a simbologie figurali personalizzate. Allorquando l’artista per realizzare nell’immediatezza visiva un tema complesso come la pace o altro esprime concetti pittorici inusuali. Innovazione e personalizzazione dei linguaggi stentano a essere recepiti dalla massa specie in quei territori poveri di stimoli culturali marchiati dall’infamia sociale della disoccupazione, dall’ignoranza e dalla sottocultura dei dirigenti.
In simili situazioni l’artista che vuole “parlare” alla massa ed esplicitare con la figurazione un qualsiasi tema sociale si guarda intorno, valuta le difficoltà oggettive e associa a qualcosa di caratteristico legato al territorio il dato peculiare del tema da sviluppare.
Trattandosi di un territorio prevalentemente montuoso come quello calabrese composto di poche pianure, dirupi, rocce, strade tortuose, vegetazione, sole, mare e stili di vita spartane, l’artista non può che correlare la calabresità al paesaggio, che, trattato diligentemente dall’uomo, diventa espressione di generosa ospitalità e sostentamento collettivo.

Nel paesaggio calabrese, la pianta dei fichi d’india è una varietà vegetativa spontanea che cresce e fruttifica senza l’intervento amorevole dell’uomo persino sulle rocce. Ha foglie larghe e carnose punteggiate di aculei; anche il frutto, variegato nei colori e nel sapore, è protetto da una corazza carnosa ricoperta di spine, che, se lasciata macerare nell’alcol trasmette al liquore ottenuto, qualità organolettiche digestive. Insomma, quanti ignorano le molteplici peculiarità della pianta, difficilmente riescono a trovare nessi logici del suo inserimento in un contesto figurale pittorico. Eppure chi conosce l’animo del meridionale in generale e Calabrese in particolare intuisce immediatamente la metafora tra la ruvidità esteriore dei calabresi e la spartana pianta in questione.

mario iannino

senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi, alzandovi.
Ripetetele ai vostri figli.
(...)
(se questo è un uomo; Primo Levi)
Fatti, vissuti in prima persona per non dimenticare! e solidarietà universale per evitare che si riproponga un periodo di oscurantismo morale e intellettuale genaralizzato.

mercoledì 20 gennaio 2010

fernanda pivano e la beat generation


Fernanda Pivano e la beat generation
Per Fernanda, i tanti autori conosciuti in prima persona non sono strumenti di semplici pezzi di storia letteraria ma frammenti della sua esistenza in cui si uniscono anni di vita e di studio, tant’è che definisce genericamente " miei eroi" la totalità; "miei beat" Ginsberg e Kerouac, e “miei maestri” Abbagnano, Hemingway e Pavese. Hemingway e Pavese, agli occhi di Fernanda Pivano, hanno in comune una integrità professionale e morale assoluta.
Attenta alle mutazione della società e della cultura americana traduce Hemingway, Faulkner, Fitzgerald e li propone in Italia nella sua pubblicazione degli scrittori contemporanei più rappresentativi: dagli esponenti del movimento nero, come Wright; ai protagonisti del dissenso non violento degli anni '60, Ginsberg, Kerouac, Burroghs, Ferlinghetti, Corso; fino agli autori "minimalisti", prima Carver poi Leavitt, McInerney, Ellis.
L’“esploratrice” italiana della beat generation, Fernanda Pivano, Figlia di Riccardo, illuminato miliardario possessore di una banca, e della bellissima Mary Smallwood, nasce a Genova il 18 luglio del 1917, dopo le elementari, nella scuola svizzera, l'infanzia genovese, all’età di 9 anni si trasferisce a Torino e qui, al liceo d'Azeglio, incontra Primo Levi. Laureatasi nel 1941 con una tesi su Moby Dick, due anni dopo inizia l’attività letteraria sotto la guida di Cesare Pavese con la traduzione dell'Antologia di Spoon River di E.L.Masters. Allieva di Pavese e Nicola Abbagnano, ordinario di storia e filosofia dell’università di Torino, esponente della corrente esistenzialista italiana e fondatore dell’esistenzialismo positivo, consegue una seconda laurea in filosofia nel 43, lavora al fianco di Abbagnano come sua assistente per diversi anni.
Fernanda, innamorata della letteratura, nel 1948, a Cortina, conosce Hemingway e traduce il suo Addio alle armi. Nel 1949 sposa Ettore Sottsass jr, che fotografa e immortala i tanti viaggi indimenticabili e gl’incontri con Allen Ginsberg, Jack Kerouac, Gregory Corso, Lawrence Ferlinghetti, Neal Cassidy.
Nanda, s’innamora della letteratura americana per la forma scarna della narrazione, in netta antitesi con la tradizionale letteratura pragmatica e accademica europea; letteratura libresca, basata su indagini psicologiche.
"Mi hanno attaccata per non aver mai valutato i libri, ma io mi sono limitata ad amarli, non a valutarli: questo lavoro lo lascio ai professori".
Questa sua frase evidenzia il distacco dall'estetica pura impartita nei corsi di studi convenzionali e basa l’interesse letterario personale sulle vicende biografiche, sull'ambiente e sui fermenti sociali in cui sono immersi gli autori.
Bellezza e utilità dei volumi da lei tradotti è spesso documentata nelle lunghe e introduzioni accompagnate da saggi biografici. Dall'osservazione della realtà americana nascono i saggi: "America rossa e nera" (1964); "L'altra America negli anni Sessanta" (1971); "Beat Hippie Yippie" (1977); "C'era una volta un beat" (1976); "Il mito americano" (1980). Altri scritti sono raccolti anche in "La balena bianca e altri miti" (1961); "Mostri degli anni Venti" (1976).
Il primo viaggio negli Stati Uniti e' del 1956 e in India del 1961. Nel 1959 esce in Italia, con la prefazione della Pivano, Sulla strada (Mondadori) di Kerouac e nel 1964 Jukebox all'idrogeno di Ginsberg da lei curato e tradotto.
Nella sua movimentata vita, come già visto, incontra i maggiori scrittori contemporanei: Saul Bellow, Henry Miller, John Dos Passos, Ezra Pound, Gore Vidal, Jay McInerney, Judith Malina e il Living Theater e gli italiani Giuseppe Ungaretti, Alfonso Gatto, Salvatore Quasimodo.
Nel 2001 si reca a Ketchum, nell'Idaho, in un viaggio che la riporta nei luoghi della beat generation e dei suoi amici scrittori per il film documentario A farewell to beat di Luca Facchini.
Ma, Nanda è anche pianista! Diplomata al decimo anno di conservatorio, apprezza ed entra in sintonia con molti musicisti, tra questi: Bob Dylan, Lou Reed, Jovanotti, e Fabrizio De Andrè che considera enfaticamente e con affetto il piu' grande poeta italiano del secolo al quale dedica un testo che ha lo stesso titolo della canzone di De Andrè “La guerra di Piero” interpretato da Judith Malina. In occasione dei suoi 90 anni, nel 2007, conferma la sua gratitudine agli intellettuali che le hanno consentito di coltivare la passione per l’arte: "ho avuto due o tre eroi nella mia vita: il più grande e' stato Ginsberg. In America stanno pubblicando le lettere che mi ha scritto, mi raccontava cosa aveva visto dovunque andasse. Hemingway e' stato al di la' della misura. I miei maestri prima dell'America sono stati Pavese e Abbagnano, mi hanno insegnato tutto quello che so. Sono stata un'esistenzialista".
Per concludere, Fernanda Pivano è stata una figura carismatica della cultura italiana antifascista, frequentò poeti e scrittori della Beat Generation. Visse in America, a stretto contatto con Kerouac e gli atri artisti del movimento beat ma mai si lasciò tentare dai paradisi artificiali usati dai suoi amici per esplorare i mondi del subconscio; nemmeno uno spinello, diceva, niente alcol, funghi e peyote, Lsd e tutto il resto, nemmeno a pensarci. In America dal 1956, capì subito la novità rappresentata dai cercatori di nuovi stati di coscienza. Giovani contestatori che modulavano prose e versi sui battiti del bebop, il jazz esistenzialista di Charlie Parker, (secondo alcuni, padre dello stile jazz chiamato bebop. Virtuoso del proprio strumento, che suonava con una tecnica eguagliata da pochi, fu anche un personaggio dalla vita tormentata, segnata dalla dipendenza dalla droga e dall'alcool: il peggio di uno stile di vita che echeggiò al di fuori del campo strettamente musicale; ispirò i poeti della beat generation, nelle cui liriche, il jazz e Parker stesso sono citati.) i musicisti neri si pongono due obiettivi: liberarsi dai rigidi arrangiamenti delle big band per esprimersi e manifestare liberamente la loro ribellione al mondo ipocritamente sorridente di quegli anni.
Per Jack Kerouac, Allen Ginsberg, Gregory Corso, Lawrence Ferlinghetti, Nanda fu una affettuosa sorella maggiore, una vice-madre saggia e comprensiva. Fu lei a tradurre i loro libri, a battersi perché opere come Sulla strada e Urlo fossero pubblicate in Italia. Dedicò soprattutto ai poeti i suoi sforzi maggiori, componendo l’antologia Poesia degli ultimi americani (Feltrinelli) con la quale offrì ai lettori italiani un tesoro di novità. Li ospitò nella sua casa a Milano (in quel periodo, Nanda era ancora sposata con l'architetto Ettore Sottsass), li aiutò e si fece spiegare il senso e le allusioni della loro lingua da iniziati, senza pregiudizi. In una rara intervista televisiva realizzata per la Rai, Fernanda Pivano chiese a Kerouac: «Jack, dimmi, ma perché non sei felice?» E lui, visibilmente deturpato dall’alcol, non rispose.

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