mercoledì 8 aprile 2020

Operatori del s.s.n. lavoratori o eroi?

Lavoratori abbandonati a sé stessi non eroi! Questa è la dizione giusta. 

Non sono eroi i lavoratori del comparto sanità. Eroi si è per altre azioni. Azioni in cui si rischia la vita per empatia e non per esigenze contigue createsi per inadempienza o dabbenaggine. E qui siamo davanti alla punta nascosta dell'iceberg formatasi egli anni dalle decisioni sbagliate della politica manovrata dalle lobby di potere.

Che poi i lavoratori attuano, deontologicamente, con rigore e serietà le giuste prassi per portare a termine nel modo più congruo le ore di lavoro in sintonia alle mansioni di ognuno, questo è gioco forza. Lo dimostrano le immagini della oss della casa di cura colpita dal virus e dalle sue parole rotte dal pianto.

Assurdo. Inumano chiedere di più al personale medico sanitario di tutta Italia. Mancano gli ausili? Che questo episodio rimanga tale! Appunto, un episodi sporadico.

 I dirigenti politici e amministrativi devono farne ammenda e programmare misure idonee affinché non accada mai più. Perché è vomitevole vedere mascherine fai da te assemblate coi salva-slip delle donne. O ipotetici e improbabili caschi dal riciclo di bidoni di plastica . Va bene che siamo un popolo di creativi ma quando necessita un ausilio serio specialmente in ambito sanitario che salva la vita non si può e non si deve delegare alla creatività dei singoli operatori sanitari.

Non eroi ma lavoratori costretti a espletare le proprie mansioni con ausili improvvisati. E per questo è da premiare l'appassionata propensione al lavoro svolto cui sono chiamati a espletare nonostante tutto.


martedì 7 aprile 2020

In bocca al lupo Boris Johnson

Boris Johnson non è l'uomo forte che si credeva. Lui con una propagazione più severa e senza le accortezze riservategli l'immunità di gregge lo avrebbe fatto secco come quegli ultimi, anziani, immunodepressi, barboni e poveri del mondo rimasti stecchiti per strada e seppelliti in fosse comuni.

Ha fatto clamore La foto dei poveri senza una fissa dimora messi tra gli spazi a strisce bianche di un parcheggio in USA. Giusto lo spazio che occupa una automobile per i barboni! Questo il concetto di solidarietà liberista di Trump. Che all'inizio non credeva fosse una bomba sociale il virus covid-19.

Poi, come sa fare lui, davanti alla catastrofe se l'è presa con i cinesi. Ma non è il caso di rivangare! Trump è così. Vanesio e tuttologo. L'uomo forte che non deve chiedere mai! come si diceva in una vecchia pubblicità.

E boris Johnson? Anche lui invitava a mettersi l'animo in pace e aspettare l'onda alta del virus così da infettare quante più persone possibile e innescare quello che in natura si chiama “immunità di gregge”. Vale a dire che i deboli scompaiono e restano i più forti geneticamente. E poi. È toccato proprio a lui fare parte di quella metà del cielo debole. Ma lasciamo perdere. Auguriamogli una pronta guarigione e un presto ritorno sulla scena politica. Chissà che la brutta esperienza non gli abbia migliorato qualche neurone e magari diventi più accorto e sensibile nei confronti di quanti hanno bisogno di solidarietà e attenzioni sociali particolari.

In bocca al lupo!

Mascherine protettive e file cosa c'è da sapere

Sul piede di guerra.

Le forze dell'ordine, polizia, carabinieri e polizia municipale presidiano la città. La pandemia ha indotto i sindaci e le istituzioni a reprimere “i furbetti” che non riescono a stare a casa e le provano tutte pur di uscire e fare quattro passi.
Può capitare, per questo motivo, che anche chi è costretto ad uscire per improrogabili esigenze di salute incappare in uno degli innumerevoli posti di blocco disseminati lungo le vie della città.

Catanzaro non fa eccezione.

Stamane le file davanti ai supermercati si sono fatte lunghe e pur nel rispetto delle distanze prescritte dal dpcm emanato dal governo formavano un serpentone fatto di carrelli vuoti e persone mascherate in attesa del proprio turno d'ingresso. Ma quanti conoscono il modo corretto per non contaminare o essere contaminati anche indossando le mascherine?
Ecco un esempio delle caratteristiche tecniche e scientifiche della famose mascherine:


a prescindere dagli ausili protettivi è buona opzione non uscire, stare a casa in ambienti protetti e igienizzati perché ovunque c'è gente in fila.

L'azienda sanitaria locale e la farmacia, quale presidio medico sanitario, non fanno eccezioni. In fila nel piazzale dell'ASP di Catanzaro lido coi numeri attaccati con lo scotch al portone d'ingresso. E in fila davanti alla farmacia. Cosa già nota anche prima della pandemia e delle restrizioni governative.

Insomma il covid19 o sars2 come la si vuole identificare ha condizionato e stravolto le nostre attività. … ma la guerra è bella anche se fa male e torneremo ancora a cantare, a far l'amore con le infermiere la la là Generale dietro la collina ci sta la notte buia e assassina...

Siamo in guerra contro un nemico invisibile quindi stiamo in trincea. a casa! ascoltiamo musica, leggiamo, disegniamo, coloriamo, raccontiamo storie ai bambini, impastiamo aspettando tempi migliori

lunedì 6 aprile 2020

Storie di vita

Da qualche tempo mi torna in mente Garibaldi.

Non quello della storia d'Italia ma un ragazzo qualunque. Un vecchio compagno di oratorio che per il suo colore di capelli si era guadagnato il nomignolo di “garibaldi”.

Franco, questo il suo vero nome, era un ragazzo che, date le sue umili origini, doveva darsi da fare e per aiutare la famiglia faceva il garzone in una bottega che forniva bombole di gas.

Magro. Sempre sorridente e allegro. Garibaldi stava allo scherzo. E nonostante il lavoro gravoso, forse non aveva il padre, lo vedevo accudire alla mamma, una donna minuto e un pochino deforme, trovava il tempo per scrivere.

Scrisse una commedia. E ci mise dentro il suo mondo. I suoi sogni e la realtà. I suoi affetti. I suoi amici e conoscenti. E la presentò nel teatrino dell'oratorio.

Era domenica pomeriggio. Una domenica d'inverno. La presentazione del parroco, benevola, predispose la platea alla visione ma con qualche riserva.
La remora era dovuta alle umili origini di Franco e al fatto che non si sapeva nulla della sua predisposizione alla scrittura
che avesse un animo sensibile si sapeva ma non si conosceva la sua poetica ben trascritta e rappresentata nonostante le sue perenni assenze dalla scuola: o lavorava o frequentava le lezioni.

Dopo la rappresentazione, sottolineata dai continui applausi di commossa approvazione, Garibaldi, agli occhi dei più non era lo stesso ragazzo, lo stesso semplice garzone di bottega che portava la bombola del gas a casa. Era Francesco!

domenica 5 aprile 2020

Una storia d'altri tempi

Il rito del pane nella famiglia calabrese.

Il forno a legna era ubicato in soffitta e affianco c’ere la bocca enorme del camino. La casa era strutturata a mo’ di torre. Gli ambienti, disposti in verticale, richiedevano una manutenzione abbastanza faticosa.
Come si può intuire il trasporto della legna fino in soffitta non era uno scherzo anche se il nonno, uomo ingegnoso e creativo, si era costruito una carrucola con una vecchia ruota di trebbiatrice. Aveva conficcato un gancio robusto nella trave della capriata e la grossa corda penzolava giù nella botola fino a terra, nel seminterrato dove era ricoverata la mula e, ovviamente, si depositava la legna.


Fare il pane era una cerimonia dal profumo avvolgente.
La nonna, mamma e mia sorella iniziavano a preparare l’ambiente e le vettovaglie necessarie dalla sera.
Subito dopo cena, sistemata la cucina e messo a letto i piccoli, le donne di casa posizionavano la madia su dei trespoli bassi quanto bastava per impastare la farina con naturalezza.

Le notti d’inverno era piacevole stare a guardare accarezzati dal tepore del forno e dalle parole delle donne indaffarate nella preparazione del pane. C’era serenità. Spensieratezza. Nonostante la fatica e la vita spartana nei campi.

Nonna e mamma posizionavano il sacco della farina nei pressi della madia. La versavano e, particata una fossa al centro, aggiungevano acqua, sale e il lievito madre. Iniziavano a impastare dai bordi. Tiravano giù la farina. La facevano cadere nella pozza d’acqua e le mani iniziavano a scomparire tra la poltiglia bianca.
Quando l’impasto iniziava ad essere consistente e non si attaccava alle mani iniziava una sorta di lotta. Le donne torcevano, piegavano, piggiavano coi pugni chiusi l’impasto e quando ritenevano di avere raggiunto la giusta consistenza smettevano di lottare. Coprivano il tutto con una tovaglia di cotone e delle coperte.
Nel frattempo la legna bruciava allegra nel forno. C’era da attendere un paio d’ore prima di poterlo dividere in pani e infornare. La lievitazione richiedeva dei tempi d’attesa. E nel frattempo si raccontavano storie e fatti accaduti. Si parlave del raccolto e delle nascite. Di matrimoni e partenze. E di morti.

Poi, misurando visivamente il volume delle coperte e la quantità della legna consumata, la nonna indicava il da farsi. Tere’ prendi la scodella per la comare Vincenza che le diamo “u levatu” (il lievito madre) che deve panificare domani. Quindi tolto il lievito madre per la prossima panificazione e la comare si iniziava a fare i pani. Il compito di mia sorella era di sistemarli sul tavolo e coprirli con delle tovaglie di cotone. Alla fine, messe su delle altre coperte di lana, si riattizzava il fuoco nel forno e si andava a letto per qualche ora. L’impasto doveva fare la seconda lievitazione.
Intorno alle tre di notte iniziava l’infornata. La nonna toglieva il tampone dalla bocca del forno. Spostava verso l’esterno la brace. Puliva la base dalla cenere e vi depositava le pagnotte. Un’ora! Al massimo un’ora e mezza. E poi il profumo del pane appena cotto inondava la casa.
Avete mai provato a tagliare il pane appena sfornato e metterci dentro un cucchiaio di cicoli? Oppure del prosciutto crudo? Ma non il prosciutto crudo sottile commerciale. Parlo del prosciutto casareccio tagliato col coltello, spesso e col grasso.


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