venerdì 26 maggio 2017

Ciao Laura

Roma, 1 febbraio 1999. XXIX giornata d'Europa.

Cerimonia di consegna dei premi “personalità europea 1998”.


Di quel lontano giorno ricordo la caotica attività degli organizzatori, l'andirivieni dei personaggi noti e il rumore dei paparazzi all'esterno e dentro la sala della protomoteca chetatosi appena il cerimoniere invitò all'attenzione dei presenti l'imminente saluto del sindaco Rutelli e, quindi, l'inizio della cerimonia.

Tra i tanti, due personaggi sono rimasti ancorati nella mia memoria: Arnoldo Foà per il suo intervento polemico nei confronti delle istituzioni e per la motivazione che lo vedevano lì dopo lunghi anni di onorata carriera.
E Laura Biagiotti. Di lei ho un ricordo poetico indelebile. Era seduta a capofila. Il mio sguardo s'incrociò col suo. Mi fece l'occhiolino e sorrise dolcemente. Non ci fu bisogno di parole. L'incitamento era chiarissimo. Intuì il suo amore per l'arte e lo sprono per gli artisti. E nel riprendere il mio posto dopo avere ritirato il premio, quel suo gesto, quel suo sorriso dolce, la sua aurea mi trasmise energia e mi gratificò quanto se non più del riconoscimento stesso che mi portò a Roma.

Ciao Laura. Il tuo sorriso lo porto con me sempre.
Gli Angeli non muoiono, cambiano solo pelle.

giovedì 25 maggio 2017

Siamo ciò che diciamo (?)



Non capivo più dove avessi stomaco e cervello.
Collegavo e scollegavo pensieri e parole
 E mi stringeva leggermente sotto il cuore.
C’era qualcosa che non mi parlava più di farfalle,
ma di api, o di vespe, o entrambe
Diritte a farmi male nello stomaco,
il secondo cervello.
Le farfalle si sa, son quelle dalle emozioni
Le più ballerine, fanno danzare mente e cuore.
Da qualche tempo si sentono insetti meno innocui
Che  pungono e  lasciano agonizzante
Là dove il flusso di spilli si decide a fermarsi.
Sono pensieri o parole che un po’ ti muoiono dentro
Sono quelle espressioni che prima o poi inevitabilmente
Senti dire e dici.
Non sono zucchero, sono forti come 40° d’ alcol
Ardono con un effetto prolungato.
In questo caso non ci vuole cortisone
Il farmaco che ti danno quando non sanno come curarti,
in questo caso ci vogliono cure speciali,
in questo caso ci vogliono carezze e abbracci.

lunedì 22 maggio 2017

Trump in tour

Non sapevo che tra i compiti del presidente degli usa ci fosse anche quello di venditore d'armi.

Trump nel suo primo giorno di incontri internazionali firma un accordo con gli arabi che fa guadagnare all'industria bellica americana 110 miliardi di dollari. Ovviamente, Trump, li trasforma in potenziale lavoro per gli americani e gongola per l'affare andato in porto.

E quando verrà, tra qualche giorno, da noi, cosa vorrà? Rispolvererà forse quella commessa sugli f35 o porterà in visione qualche tonnellata di giochi pirotecnici per le sante feste visto che s'incontrerà col Papa?

Scherzi a parte, quest'uomo preoccupa. Ma sicuramente Francesco saprà trovare la chiave giusta per aprire il cuore dell'imprenditore e riempirlo con sani propositi di pace.

Non è con le armi che si devono creare posti di lavoro. La paura non deve tenerci sotto scacco. Dobbiamo, invece, lavorare affinché l'amore solidale regni in noi attraverso la conoscenza e la comprensione dell'altro

C'era una volta la classe operaia

Lottiamo per l'occupazione.


"Roma, 1975. ph Franco Carlino"

Lottare ma perché? Perché si deve lottare, scontrarsi su temi che la costituzione ha ben definito negli articoli che dovrebbero essere i pilastri fondamentali della repubblica italiana?

Eppure siamo stati costretti a farlo. Abbiamo teorizzato e auspicato una organizzazione del lavoro a misura d'uomo, attività da svolgersi in un ambito sociale dignitoso, contestuale al mondo migliore teorizzato dalla sinistra, da consegnare alle nuove generazioni. Un mondo a noi incline, che ci somigliasse, con aperture mentali attente ai bisogni altrui. Un mondo costruito sulla solidarietà.
Così non è stato.
Oggi, giovani e meno giovani, sembriamo degli zombi. La nostra attenzione è catturata dagli eventi mediatici virali. Postiamo merda e fango con la speranza di apparire, suscitare reazioni e collezionare like sui social media.
Con questo non voglio ripetere anch'io la fatidica frase “era meglio la gioventù di una volta”, no! Perché se davvero fosse stata migliore non avrebbe consentito lo status quo.

Ciononostante spezzo una lancia a favore del pensiero sociale che dominava le nostre passioni. Passioni cresciute nei laboratori della solidarietà con la convinzione di apportare, con l'esempio e le lotte politiche, positività e speranza nel futuro.

Lottavamo. Ma forse sarebbe stato meglio se avessimo pensato ancora di più di quanto non lo facessimo.
Avremmo dovuto ragionare sulla cupidigia umana che alimenta le passioni più basse e porre ostacoli forti. Ma ci fidavamo. Confidavamo nella bontà dei leader e nella loro lungimiranza. Ma ...

La classe operaia non è andata in paradiso. E le organizzazioni sindacali, i partiti politici;
organismi che dovevano far crescere i quozienti intellettivi attraverso la scolarizzazione e l'acquisizione dei saperi sembra che si siano lasciati ammaliare dal potere. Hanno abdicato alle teorie del capitale malato. Hanno retto il gioco ai predatori forse perché ricattati o illusi dall'ipotetico insediamento industriale in qualche zona depressa del sud.

Taranto. Gioia tauro. L'omeca. Il quinto centro siderurgico...

Lottiamo per l'occupazione. Si diceva. E oggi l'aspirazione più grande, anche per i laureati, è rispondere al telefono in un call center, almeno così qualche soldino entra nelle tasche.
Che brutta fine hanno fatto i nostri sogni.


domenica 21 maggio 2017

Diario segreto

Tornare alla natura.

Posso dire di avere sperimentato i flussi e riflussi della storia sulla mia pelle. In prima persona, nel mio piccolo, ho capito cosa significhi curare la terra e trarre da essa i frutti. Non l'ho fatto per molto tempo. Ma andare in campagna e rendermi partecipe del lavoro sui campi mi piaceva. Mi piaceva rompere l'argine dopo avere creato i rigagnoli per mandare l'acqua ad abbeverare gli ortaggi. L'odore di terra bagnata e dell'erba tagliata ce l'ho ben presente ancora oggi.
E il sapore dei cetriolini "rubati" che non sfuggivano alla memoria visiva e all'acuta osservazione dei grandi che avevano memorizzato ogni germoglio delle piante è un ricordo indelebile. Bastava che spostassero con le mani le foglie per accorgersi della mancanza dei frutti sottratti precocemente alla maturazione.
Più difficile, credevo sbagliando, era che si accorgessero dei pomodori che gradivo e depredavo nelle giornate assolate. Li addentavo e la loro polpa refrigerava il palato soddisfacendo e ripristinando i pochi sali minerali persi.
Anche le cipollette non erano malvagie. Ne prendevo duo o tre. Mi sedevo all'argine della fiumara e assaporavo il mio privileggiato spuntino accompagnato da un bel pezzo di pecorino, che però, chiedevo a mio fratello.
Sapori forti e contrastanti che facevano venire sete. La brocca in creta era incastrata tra le pietre nella fiumara ma preferivo bere con le mani. Le allungavo e attingevo l'acqua fresca che scorreva ai miei piedi. Stavo scalzo!

Il formaggio era staggionato e cremoso al punto giusto. A mezzogiorno ci sedevamo sotto l'albero di noce. Le donne aprivano il “mesale” una tovaglia di lino grezzo, lo stendevano sul prato, disponevano il pane e il companatico insieme a qualche bottiglia di vino e pranzavamo. Io ero addetto a prendere l'acqua. -Fai attenzione a non rompere “ a vozza”- “la brocca” mi dicevano mentre andavo a prenderla sul greto del ruscello. Si beveva a canna e il sapore delle foglie di vite che fungevano da tappo si mischiava col resto.

Solitamente alle 12 non avevo molta fame. E anche se il buco lo avevo tappato, come ho appena detto, non sapevo resistere al formaggio. Lo divoravo anche se non mi andava. Ero davvero goloso. E mio fratello, allungandomi l'ennesima fetta mi disse, mal celando un sorriso: “ fai il morso più grande al pane. Se finisci prima il formaggio ti taglio la testa”. “Visto? Ho finito prima il formaggio!” risposi dopo averlo ingerito in pochi bocconi senza assaggiare il pane.
“ U vi' chi è furbu! U sapia ca tu 'on la potivi tagghjiara a testa... u picciriddhu e sbertu”. Sentenziò mia sorella la grande che era lì a lavorare. Loro mangiavano piano. I loro movimenti erano riti alla grazia del cibo prodotto e guadagnato dopo mesi di lavoro e attesa. Mia sorella era brava a far nascere dai semi le piante. Faceva germogliare i tuberi e poi li piantava. Sapeva anche dissoterrare le patate senza rovinarle. Era brava negli innesti. Che dire? La sua sapinza era completa. L'aveva appresa da nostro padre e da nostra madre. Non sbagliava mai! Osservava le fasi della luna per quanto attiene la proliferazione della natura e raccoglieva i frutti nei momenti giusti specialmente quando doveva fare le conserve.
Bei tempi spensierati, quelli vissuti in famiglia al paese.
"Palermiti, Cz. panorama"

Anche se alzarsi dal letto al mattino presto era traumatico perché quando si doveva “abbeverare” dovevamo essere lì, in campagna, all'alba, perché, mi spiegavano i grandi, l'alba e il tramonto sono i momenti migliori per innaffiare le colture.

Oggi faccio tesoro delle poche cose apprese, curo il verde di casa e gli aromi del giardino. E mi compiaccio quando dal fiore spunta il frutto.

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