venerdì 13 agosto 2021

Viaggio in Calabria

In questi giorni ho letto di un giovane londinese venuto in Calabria e della sua meraviglia appena entrato nei territori silani.

Il giovane in visita presso alcuni amici di Taverna è rimasto piacevolmente sorpreso dalla vegetazione e dal tempo sospeso tra i suoni dei boschi e le stradine strette per entrarvi. Si è meravigliato e non ha potuto fare a meno di rapportare la realtà calabrese alla sua vita londinese.

Mondi opposti.



Tra le montagne della Sila, Taverna, Catanzaro e Londra.

È un documentario che prende il via dalle differenze, tra vissuti opposti. Tra questi due modi di vivere emerge, tra stupore e rapimento, la considerazione imperiosa di una dicotomia voluta tra essere e volere. Vivere una rottura mentale meravigliosa scaturita dall'essere, passeggiare, respirare tra la riserva naturale della Sila e ossigenare mente e corpo differentemente rispetto a qualche ora prima quando ancora viveva nella caotica Londra.
Il rapporto tra ciò che l'individuo vuole, ossigeno, spazi vitali, quiete, escursioni e quello che vorrebbe accantonare: routine, stress, vita intensa e senza tempo della metropoli è a portata di mano. Basta poco! Basta volerlo!

Ross Earney, questo il nome del giovane londinese in visita agli amici di Taverna Angelo che, con l'ausilio di Davide, Simone, Carmelo, Eugenio, è stato l'ispiratore del documentario pubblicato qualche giorno addietro. Ross si stupisce per ogni minima curva della strada immersa nella caratteristica vegetazione della macchia mediterranea. La meraviglia del borgo che ha dato i natali ai fratelli Preti. Tra natura e storia. Ricchezze e miserie
Su tutto emerge l'importanza della tutela ambientale. Tra opere mirate e illuminate dal fare dell'uomo a tutela del patrimonio ambientale nonostante le avidità dettate dalle cementificazioni selvagge di certo pragmatismo.

Dopo tanto bel disquisire sulle bellezze ambientali della Calabria e sulle sue, nostre, potenziali ricchezze; dopo avere appreso della sublime catarsi avvenuta nello spirito del giovane londinese in visita, dimenticando che noi siamo i possessori del bene 24ore su 24 e che spesso, nell'immaginario collettivo suscita insofferenza per dovere percorrere angustie stradine tracciate lungo i costoni dei monti, noi, succubi di un malcelato provincialismo sogniamo Londra, New York, Brooklyn e il ponte sullo stretto per guadagnare qualche manciata di tempo e vivere nel caos delle grandi metropoli. Essere, insomma nell'inferno di un formicaio la cui ambizione strutturale verticistica porta alla visione edonistica della realtà. Una realtà distorta che impone il mantenimento nevrotico dei primati raggiunti in tutti i campi.

Arrivare prima. Viaggiare. Volare. Possedere. Bruciare il tempo e le bellezze. Fare incetta degli status simbolo non necessariamente appaganti ma che fanno rumore mediatico e interagiscono coi like.

Secondo gli antichi e saggi insegnamenti la Concezione della lentezza come filosofia di vita che porta alla scoperta della bellezza è alla base dell'essere e risiede in ognuno di noi:

Stati d'animo che si possono apprendere e apprezzare solo nella visione contemplativa della lentezza del tempo che predispone l'animo alla quiete e alla valorizzazione del bello. Il tempo vissuto e assaporato attraverso i sensi, guardando con occhi nuovi il mondo, inalando l'aria, essenza vitale quale  puro ossigeno rigenerante, in totale annullamento dei surrogati concettuali fuorvianti con l'immersione dei sensi si potrà camminare su sentieri illuminanti. Sorretti e illuminati dal fuoco della ragione (che sovrasta quello dei piromani ché diniego di vita) e dal bello che circonda la nostra esistenza guardiamo al futuro consapevolmente. Nulla è per sempre. sta a noi salvaguardarne le peculiarità e le opportunità dei nostri figli. preservando loro le bellezze naturali quali tutori temporali del bene comune 


mercoledì 11 agosto 2021

Storie di vita d'altri tempi

La campagna era tutta buona. Benevola con chi la curava! La terra dava soddisfazioni e non lasciava in sofferenza le famiglie dei contadini. I frutti copiosi dell'orto sfamavano anche i parenti e i vicini in affanno in quei tempi di magra immediatamente dopo la guerra.

Il dopoguerra lasciò rovine materiali, fisiche e mentali.

Chi viveva in campagna, delatori e traditori a parte, spie di regime che facevano la fronda miseramente, riusciva a cavarsela facendo crescere la famiglia. Col duro lavoro dei campi e le cure adeguate dovute agli animali per conservarli in buona salute anche quel duro capitolo fu chiuso.

L'appezzamento di terra attraversato dal torrente era il più fecondo. E lì crescevano le primizie di stagione.

All'alba si era già sul posto. D'altronde non era distante dalla casa. Bastavano pochi passi per arrivarci. Zappa sulle spalle e qualche sacco di stallatico sul dorso del mulo per concimare. Il meticcio trotterellava davanti a tutti, qualche canna nel campo dei fagiolini da risistemare e poi “stagliare” l'acqua.

Abbeverare i campi dava un senso di fresco anche al corpo. L'acqua s'infilava nei solchi poco alla volta; tracimava da un solco all'altro fino a completarne il percorso tracciato dalla sapienza contadina.

Sì quel quadrato di terra dava soddisfazioni! Le colture erano abbondanti e saporite. I bambini, ma anche i grandi, attendevano impazienti i frutti. I “zipangùli”, le angurie piantate e cresciute lì erano di un verde scuro intenso e la polpa era rossa fuoco densa e dal sapore indescrivibile. E poi, cetrioli, pomodori, zucchine tutti prodotti dalle qualità organolettiche alte degne dell'etichetta d'eccellenza cercata invano oggi sugli scaffali dei supermercati.

No. non è il racconto romantico tracciato sulla falsariga dei ricordi. È una realtà che vive nella memoria pulsante del tempo che fu.

E poi un maledetto giorno la vita prese una piega diversa. Amara!

Il campo devastato dall'irruenza della mandria priva di guida (il pastore si era assopito sotto un albero? O forse no... a quei tempi i dispetti erano dettati dall'invidia e dalle misere antipatie.) scatenò l'ira. Scoppiò la lite. E il cielo ebbe un altro Angelo.

Seguirono anni difficili. Qualcuno tentò matrimoni d'interesse ma non se ne fece niente. La donna, mamma di sette figli si rimboccò le maniche e prima che la famiglia si disperdesse tra matrimoni e partenze (la prima figlia, in età da marito e fidanzata, con la dote pronta da tempo: casa e corredo aspettavano solo che il padre l'accompagnasse all'altare) volle una foto.

Chiamò tutti e così come si trovavano si misero in posa.

Il fotografo arrivò al casolare di campagna. Piantò il treppiede e scomparve dietro il cappuccio nero. Fermi! Sorridete! Guardate davanti. Non muovetevi... fatto. La lampada del flash emanò fumo e s'increspò.

famiglia contadina, foto d'epoca, 1956-57


martedì 10 agosto 2021

"Le montagne della Sila" tra riserva naturale e città.





Le montagne della Sila
, a cura di Ross Earney, Angelo Pascuzzi Simone Puleo, con Eugenio Attanasio (Cineteca della Calabria) , Carmelo Sanzi (Cultore della Sila),e Davide Scordato nel supporto e aiuto alla realizzazione del progetto.


Nel documentario emerge in incipit il nesso, le differenze, la discrepanza e il rapporto tra la riserva naturale della Sila e la caoticità della città (Londra).
Il rapporto tra ciò che l'individuo vuole (ossigeno, spazi vitali, quiete, escursioni) e  quello che vorrebbe accantonare (routine, stress, vita intensa e senza tempo della metropoli).


Emerge quindi l'ambito sensoriale e quasi meditativo, la sintonia con sé stessi; la stretta connessione tra uomo e natura.


Si rincorrono interviste, una dopo l'altra (Gregorio Ferrari, Carmelo Sanzi, Eugenio Attanasio, Lina Rotundo) in cui si dialoga circa le tematiche del rapporto economico-ambientale, la storia sul patrimonio boschivo di Taverna, la costruzione di villaggi e alberghi, la costruzione del paese come cinema, piscine, appartamenti.


Si fa strada su tutto l'importanza della tutela ambientale, non solo in quanto patrimonio paesaggistico ma patrimonio-salute-umanità.


In video vengono ripresi in volo di un drone Parco Nazionale della Sila, parco avventura Orme nel parco, laghi Ampollino e del Passante, monte Cupone.
Si discute sull'impatto turistico evitando danni all'ambiente cercando di preservarlo  e ci si domanda se rappresenti un'utopia.


In verità bisogna sviluppare l'arte del rispetto della natura che si rivela possibile cercando e trovando un equilibrio e un compromesso economico-ambientale a favore delle future generazioni, allo scopo di sferrare la tragedia climatica.


Il tutto coronato dal singolo che diventa molti in una organizzazione che si occupi del modo in cui l'ambiente viene trattato, ricercandone la preservazione, la difesa, la  protezione, la salvaguardia, la tutela.

giovedì 5 agosto 2021

chi dorme non piglia pesci

Ore 3e30. Il rumore sordo del cassonetto rompe il silenzio della notte. Anche stanotte è venuto a fare la spesa. Lo osservo dalla finestra:

è enorme! Lentamente abbatte e fa rotolare sull'asfalto il bidone dell'immondizia. A nulla valgono le catene messe a protezione dei contenitori dei rifiuti urbani.

Anche un gatto si avvicina. Non sembra spaventato. Si siede a debita distanza e attende. Il cinghiale afferra con le zanne e estrae le buste della spazzatura dal bidone. Rovista e se ne ciba. Poi passa al secondo. Non ancora sazio girovaga tra la sporcizia che ha disseminato. Intanto il gatto consuma gli avanzi. Qualche altro tonfo seguito dal sordo rumore del bidone vuoto ancorato al muro probabilmente segnala alla bestia la fine del banchetto.

Non c'è che dire: il cinghiale è un animale intelligente! Metodico e impavido. Si guarda attorno. Si sofferma nel lembo di terra tra il parcheggio e la strada. E lentamente s'incammina verso la campagna.

Anche stanotte l cinghialessa ha fatto il suo dovere nello svolgere il ruolo di animale selvatico alla ricerca di cibo per il sostentamento suo e della futura prole. Sì, perché dalla mole sembra essere incinta ...  



lunedì 2 agosto 2021

Arc de triomphe, impacchettamenti postumi

La domanda è: “a cosa serve la creatività, l'arte?”.

L'attività alta della creazione supportata dalla conoscenza e dalle tecniche di costruzione semantiche resa sublime dalla sensibilità degli artefici che nel rendere poetiche le bugie della visione aprono a nuovi orizzonti mentali può assoggettarsi o scendere a compromessi coi criteri mercantili che governano prepotentemente la quotidianità?

La schiavitù psicologica è la peggiore delle difficoltà. Difficoltà che immobilizza le libertà e rende schiavi. Schiavi spesso consapevoli della deriva a cui l'umanità è inesorabilmente destinata ad approdare.

Catastrofista? Può darsi.

Personalmente credo nella bellezza del pensiero puro.

L'idea generatrice di ogni forma artistica nasce spontanea. Sono le intenzioni effimere subalterne all'ego condizionato dalla mercificazione del prodotto artistico che lo fanno scadere a volgare prodotto commerciale. È nella mediocrità che risiede la ricerca spasmodica della notorietà della fama e della potenza, sentimento che domina i percorsi dei singoli nell'ormai dittatura dei mass-media divenuti specchio dell'essere bipolare di una società basata sul nulla.

Il pensiero critico è stato annichilito dalla superficialità dei costumi. Il singolo è fagocitato dal branco acefalo. Il pensiero vincente è quello nascosto dietro a migliaia di seguaci mai, voglio dargli una possibilità, e, aggiungo, spesso quasi mai nel pieno rispetto di quel fare empatico facilitante dei rapporti con gli altri diversi da noi.

E poi ci sono le grandi holding che determinano il valore e le strategie da adottare nella palude nascosta della cultura. Persone che non si muovono facilmente. Personaggi che antepongono per deformazione mentale il profitto utile all'accrescimento dell'impero economico d'appartenenza.

Ecco, questo mi è sovvenuto mentre leggevo dell'impacchettamento dell'Arco di Trionfo parigino a qualche anno dalla morte dei coniugi visionari degli occultamenti propositivi: Christo Vladimirov Javacheff (1935–2020) and Jeanne-Claude Denat de Guillebon (1935–2009).





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