domenica 5 aprile 2020

Una storia d'altri tempi

Il rito del pane nella famiglia calabrese.

Il forno a legna era ubicato in soffitta e affianco c’ere la bocca enorme del camino. La casa era strutturata a mo’ di torre. Gli ambienti, disposti in verticale, richiedevano una manutenzione abbastanza faticosa.
Come si può intuire il trasporto della legna fino in soffitta non era uno scherzo anche se il nonno, uomo ingegnoso e creativo, si era costruito una carrucola con una vecchia ruota di trebbiatrice. Aveva conficcato un gancio robusto nella trave della capriata e la grossa corda penzolava giù nella botola fino a terra, nel seminterrato dove era ricoverata la mula e, ovviamente, si depositava la legna.


Fare il pane era una cerimonia dal profumo avvolgente.
La nonna, mamma e mia sorella iniziavano a preparare l’ambiente e le vettovaglie necessarie dalla sera.
Subito dopo cena, sistemata la cucina e messo a letto i piccoli, le donne di casa posizionavano la madia su dei trespoli bassi quanto bastava per impastare la farina con naturalezza.

Le notti d’inverno era piacevole stare a guardare accarezzati dal tepore del forno e dalle parole delle donne indaffarate nella preparazione del pane. C’era serenità. Spensieratezza. Nonostante la fatica e la vita spartana nei campi.

Nonna e mamma posizionavano il sacco della farina nei pressi della madia. La versavano e, particata una fossa al centro, aggiungevano acqua, sale e il lievito madre. Iniziavano a impastare dai bordi. Tiravano giù la farina. La facevano cadere nella pozza d’acqua e le mani iniziavano a scomparire tra la poltiglia bianca.
Quando l’impasto iniziava ad essere consistente e non si attaccava alle mani iniziava una sorta di lotta. Le donne torcevano, piegavano, piggiavano coi pugni chiusi l’impasto e quando ritenevano di avere raggiunto la giusta consistenza smettevano di lottare. Coprivano il tutto con una tovaglia di cotone e delle coperte.
Nel frattempo la legna bruciava allegra nel forno. C’era da attendere un paio d’ore prima di poterlo dividere in pani e infornare. La lievitazione richiedeva dei tempi d’attesa. E nel frattempo si raccontavano storie e fatti accaduti. Si parlave del raccolto e delle nascite. Di matrimoni e partenze. E di morti.

Poi, misurando visivamente il volume delle coperte e la quantità della legna consumata, la nonna indicava il da farsi. Tere’ prendi la scodella per la comare Vincenza che le diamo “u levatu” (il lievito madre) che deve panificare domani. Quindi tolto il lievito madre per la prossima panificazione e la comare si iniziava a fare i pani. Il compito di mia sorella era di sistemarli sul tavolo e coprirli con delle tovaglie di cotone. Alla fine, messe su delle altre coperte di lana, si riattizzava il fuoco nel forno e si andava a letto per qualche ora. L’impasto doveva fare la seconda lievitazione.
Intorno alle tre di notte iniziava l’infornata. La nonna toglieva il tampone dalla bocca del forno. Spostava verso l’esterno la brace. Puliva la base dalla cenere e vi depositava le pagnotte. Un’ora! Al massimo un’ora e mezza. E poi il profumo del pane appena cotto inondava la casa.
Avete mai provato a tagliare il pane appena sfornato e metterci dentro un cucchiaio di cicoli? Oppure del prosciutto crudo? Ma non il prosciutto crudo sottile commerciale. Parlo del prosciutto casareccio tagliato col coltello, spesso e col grasso.


Riflessione del tempo presente

Una brutta storia.

È risaputo: le cattive notizie sono perniciose per il bersaglio che le subisce ma oltremodo espansive per la personalità che le mette in circolazione.


Chi semina tempeste, se davvero scaltro/a, raccoglie facili consensi dai ceti intellettualmente frustrati dai problemi quotidiani generati negli ambiti sociali, quindi nei rapporti di lavoro e in famiglia, e, complessivamente, nell'entourage dei soggetti portatori di fango.

Riportare e modificare in base alla situazione del momento diventa quasi una terapia catartica per i delatori. Ergersi a giudici è liberatorio! Scaricare il fango sul o sui malcapitati fa stare meglio che andare dall'analista.
Se così non è allora perché esercitare con cattiveria una ginnastica comunicativa simile?

Sì! può darsi che nell'immediato si raccolgano i frutti desiderati dalle malelingue. E cioè distruggere socialmente il bersaglio. Metterlo da parte. Avere campo libero...

La vita è una lotta. Mi disse tempo addietro una persona cara. Devi perciò sapere fronteggiare gli eventi, guardarti anche da chi ti sorride, fa moine e ti dà ragione.

Come siamo lontani dagli insegnamenti dei grandi Maestri di vita.  

sabato 4 aprile 2020

La fede aiuta

La devozione è una prerogativa delle donne cresciute nel culto della fede cristiana e per questo è facile imbattersi in altarini domestici allestiti sui comò nell'angolo più intimo della casa.

In camera da letto anche mia madre ne aveva allestito uno e affianco c'erano le foto incorniciate dei parenti defunti.
Li curava con mestizia tutti i giorni. Mattina e sera si segnava davanti a quello che riteneva essere il mondo dell'aldilà. E ci parlava.
Teneva pure un lumicino acceso a suffragio dei defunti e dei santi protettori.

Nei momenti di maggiore sconforto si segnava e iniziava a pregare.

Ovvio che le sante messe erano rispettatissime. Domenica. L'Assunzione. Pasqua … tridui a s. Rita. Nonché l'astensione dal mangiare carne al venerdì. Insomma rispettava ogni dettame imposto dalla chiesa.

La sua religiosità non transigeva e semmai avesse solo per dimenticanza e distrazione contravvenuto ai criteri che lei rigidamente si era imposta scattava la penitenza. Il digiuno!

Perché narro questo? Beh, forse per gente così temprata lo stare a casa adesso per scongiurare l'ecatombe sarebbe senz'altro stata una azione da niente.

venerdì 3 aprile 2020

Diario di una giornata in quarantena

Lettera dal confino. Dorato, tranquillo per alcuni. Drammatico per gli ultimi. Nuovi poveri e senzatetto.

Non siamo arrivati all'imbruttimento. Nonostante l'isolamento, noi teniamo testa alla paura. La cosa più sacra e più bella rimane ben ancorata e alimentata dai lumi della Sapienza e ci fa intravedere l'arcobaleno tra una maceria e l'altra.

Nonostante tutto la vista ci rimane. Riusciamo a vedere e sentire. Relazionarci è importante. Certo, fa strano non incontrare lungo il consueto percorso le solite persone ed essere avvolti dal silenzio.

Stamane fa freddo. La temperatura è calata di colpo.
I primi boccioli degli alberi da frutto sbocciati ai primi caldi primaverili sembrano soffrire lo sbalzo climatico.

I gatti inarcano la schiena e alzano il pelo appena scorgono il cane ma lui, ormai vecchietto, fa solo finta di saltare e loro scappano. S'infilano sotto le macchine parcheggiate numerose a bordo strada.

Il campo di calcetto, una volta brulicante di ragazzi e giovani, è chiuso. Non più imprecazioni per un calcio sbagliato. Non più, per il momento, grida di esultanze per goal realizzati. E neanche per il momento il solito venditore di palme davanti la chiesa.
E gli scout che portavano i mazzetti da benedire durante la funzione della domenica delle palme non suonano alla porta.

Restiamo vivi! Rimaniamo a casa. Avremo modo di rifarci.

Un caro abbraccio.

giovedì 2 aprile 2020

Viaggio in Calabria, nell'animo dei calabresi

Se neanche in situazioni difficili che coinvolgono tutti indistintamente non si è in grado di dismettere teorie di parte e svestire la mente dai preconcetti imbalsamati da inconsistenti ideologismi allora vuol dire che non c’è più niente da fare per salvare noi stessi e quelli che amiamo.
Il male c’è. Esiste. La cattiveria sembra essersi amplificata in noi, forse a causa dall'isolamento forzato sversiamo la rabbia sul primo malcapitato che i mass-media espongono lasciando intendere che qualcosa non va dal punto di vista etico oppure professionale.

La deriva malefica dei furbi, pronta a risucchiare dentro il loro bacino quanta più gente possibile, si maschera. Veste panni nuovi. Lindi. Personaggi assurdi indossano simboli di partiti che predicano la sacralità della persona, il bene per la famiglia, per l’altro. Lanciano trappole. E nelle loro reti, fittamente intessute, cadono in molti.
E, espedienti goliardici a parte postati sulle piattaforme social, tra un selfie di qualche ventennio addietro spunta sempre la nota rabbiosa di chi si scandalizza per un servizio giornalistico cucito ad arte.

Indignarsi!, è naturale davanti alla sbandierata inappropriata altezza dei ruoli da svolgere. E se poi lo sputtanamento è trasmesso su una rete nazionale, quel minimo di campanilismo rispunta con veemenza specialmente nei corregionali oltre confine.
Giusto, sbagliato? Non sta a me decidere.

La mia costruzione mentale mi spinge, prima di esporre personalissime considerazioni, ad approfondire i fatti, scavare, arrivare all'origine della notizia. Cioè a prima che il servizio giornalistico sia stato montato, aggiustato, manipolato secondo la strategia vigente nel palinsesto.
Mi duole il cuore riscontrare tanta pochezza di pensiero.
Eppure chi conosce davvero il cuore dei calabresi sa che non è così. Ovvio, c’è il male, già detto! C’è anche chi approfitta della situazione e cavalca il malcontento. Scrive, sentenzia dall'alto della sua magnificenza e gongola al solo pensiero dei seguaci che ne implorano la sua discesa in campo.

E poi ci sono anche gli invidiosi. Quelli con la testa e la pancia gonfi di rancore per chi è al potere e gestisce la cosa pubblica. O semplicemente chi, con la dedizione e la ricerca assidua, incamera ed esterna mondi nuovi. Comportamenti nuovi. Visioni nuove. Positive!
E chi è al timone furioso, cattivo, strutturalmente demoniaco di una nave fatta di materia purulenta non può fare altro che cercare accoliti da trasbordare nella deriva malefica e lì abbandonare.

Un viaggio in Calabria è ben diverso. Qualsiasi sia il mezzo di locomozione, basta osservare con animo sereno per comprenderne bellezza, storia e persone che la popolano.
E se poi c’è qualche svista, c’è sempre modo per rimediare. Basta un po’ di buona volontà e l’onestà intellettuale che non deve mancare mai.

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