venerdì 15 novembre 2019

La Calabria vota in gennaio e poi?

Salvo altri colpi di coda pare che sua maestà Oliverio abbia deciso di sbloccare la riserva sulle prossime elezioni regionali e che si vada al voto il prossimo gennaio 2020. Qualcuno ha azzardato anche il giorno ma conoscendo i meccanismi della politica che arroga ogni diritto non al cittadino ma al delegato e quindi a chi è riuscito a beffare gli elettori con promesse e slogan ballerini ritengo saggio aspettare ancora un po’.

Intanto si scaldano i motori. Volano stracci. Si creano nuove verginità!

Il clima è lo stesso di sempre. Alcuni squali famelici gozzovigliano sulle necessità e situazioni catastrofiche in cui versano le famiglie povere e dei nuovi poveri. I temi trattati riguardano le paure sociali: l’immigrato, il colore della pelle, la cultura altra. Problemi sociali amplificati e urlati dai palchi dai tromboni della politica; paure ostentate come cause a cui trovare rimedi violenti che fanno presa su quanti sono in difficoltà, cioè sul fatto che non conoscendo la cultura e la provenienza dell’altro, il popolino appoggia le parole e gli atteggiamenti del leader del momento che gira il coltello nella piaga incancrenita da alcune estremizzazioni che possono accadere a prescindere della provenienza geografica di chi delinque.

Ma i leader e gli eletti piuttosto che menar il can per l’aria perché non osservano quanto scritto nella Costituzione; perché non lavorano con spirito di servizio? Perché cambiano casacca?! programmi e teoremi detti col sorriso ammiccante prima di sedere ai posti di regia?!

Sfiducia e incertezza dominano i calabresi. A chi dare la delega? chi è veramente degno e onesto/a da mantenere fede alla politica alta che è servizio?

lunedì 11 novembre 2019

Le scarpe nuove

Sì, devo rivedere alcune abitudini. Anche perché non siamo più negli anni 60 quando le madri raccomandavano di tenere cura ai vestiti e alle scarpe della festa.
Una volta le madri e anche la mia quando indossavo le scarpe nuove e uscivo per incontrare gli amici mi gridava dietro: “…mi raccomando non giocare a pallone! Queste sono le scarpe della domenica!!!”.
Sì, non c’era molto da cambiare e scambiare. Il vestito buono e le scarpe lucide s’indossavano esclusivamente la domenica per andare a messa o a trovare i nonni e nelle feste raccomandate. Per gli esami e poche altre grandi occasioni dov’era necessario fare una buona impressione. “Vestiti zuccuna ca pari baruna” era una frase che si sentiva spesso allorché facevamo resistenza perché le scarpe vecchie erano più comode e ci sentivamo a nostro agio con i jeans.
E guai se c’era qualche strappo o qualche toppa! Sia mai! Dicevano con sdegno le buone madri di famiglia, quando ci passavano in rassegna. Peggio che in caserma! Scrima diritta; piega perfetta; colletto bianco; scarpe lucide e ben annodate; unghie corte e pulite…

È anche vero, però, che un tempo le scarpe ed i vestiti erano fatti per durare. Quindi materiale di prima qualità: pellame ben conciato per le scarpe e tessuti d’origine naturale quali la lana e il cotone per cucire dal sarto i vestiti delle grandi occasioni. Infatti duravano per molto tempo e passavano in dote dal fratello grande al piccolo.
Adesso tra il consumismo sfrenato e la qualità che scarseggia, piccole e grandi marche e la distribuzione hanno escogitato e coniato un altro modo per tenere vivo l’interesse massivo dei potenziali acquirenti così da fare girare i soldi nel commercio della roba d’uso quotidiano: “la resilienza programmata”!

Ma torniamo al concetto principale. Cioè al fatto di riconsiderare l’utilizzo delle scarpe “buone” e dei vestiti eleganti:

Avevo comprato delle belle scarpe. Un paio di scarpe comode nonostante fossero nuove. Ottimo! Mi dissi. Le terrò da parte per le occasioni importanti.
Infatti le usai pochissimo. E l’ultima volta che le indossai le suole si sbriciolarono: disintegrate peggio delle buste di plastiche che si sciolgono nel giro di poco tempo.

mercoledì 6 novembre 2019

Taranto: famelici bisogni

Taranto: morire di lavoro o per lavoro.


Novemila lavoratori più gli occupati nell’indotto che ruota attorno all’unica acciaieria italiana rimasta a simboleggiare gli anni della ripresa economica e industriale del mezzogiorno d’ Italia.
L’ex Ilva è stata fonte di guadagno per gli imprenditori che si sono susseguiti nella gestione degli affari che, stando alla storia dei tumori causati dagli scarichi industriali degli altiforni siderurgici, hanno avuto a cuore più la produzione che la salute pubblica e la tutela ambientale.

Gli studi condotti e divulgati dicono che i tumori si sono moltiplicati nell’area tarantina. Veleni nell’aria e nei terreni sono stati la causa di morti e malformazioni fetali di persone e animali in gestazione. Ma queste sono notizie risapute! Nonostante ciò continua il balletto. Da una parte l’esigenza del lavoro e dall’altra la tutela della salute pubblica.

Morire per il lavoro o lavorare per vivere una vita dignitosa?

Secondo alcuni che hanno il chiodo fisso e l’occhio attenti ai guadagni economici le vite di uomini e natura sono niente, semplici e insignificanti numeri percentuali intercambiabili e rinnovabili vista la disoccupazione e le prese di posizione degli opportunisti che si lanciano come avvoltoi sulle prede in difficoltà.
Teste vuote che prima di aprire bocca non collegano il cervello.

Ma è così difficile salvaguardare lavoro e ambiente in funzione di corrette prassi sociali e considerarli beni inalienabili per chiunque?
Invece assistiamo a tristi balletti politici e a ricatti. Cordate di industriali che cercano il massimo profitto col minimo dispendio. Politici farseschi che sanno parlare alla pancia delle persone in difficoltà sfruttando il momento e le paure dell’ignoto.

È giunto il momenti di mostrare serietà e volontà d’intenti. Recuperare gli sfiduciati. E fare politiche serie per garantire il presente degli operai e impiegati dell’area ex ilva di Taranto e lasciare che i giovani possano sperare nei sogni di un futuro migliore.

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