venerdì 27 gennaio 2012

le speranze dei giovani cantautori

Accadono cose che inevitabilmente s'insinuano tra i ricordi e gli affetti cari di ognuno di noi. A volte basta uno sguardo, un suono, poche note scanzonate che, pur contestando la realtà, invogliano a vivere la quotidianità appieno nonostante le contraddizioni, i dolori personali le tragedie collettive. Insomma pubblico e privato si mescolano nei testi di Stefano Rosso, Rino Gaetano, De Andrè, Dalla, De Gregori, Vasco Rossi, Luigi Tenco, Paoli, Lauzi...
Il piano bar fa sembrare il cantante meno irraggiungibile, perde l'aurea del divo e si cala nella vita comune, anche per una questione di marketing, e sta vicino ai suoi fans nelle discoteche. Attorno alle grandi star orbitano satelliti di varia natura e entità, il loro raggio d'azione sconfina principalmente nella moda ma non disdegnano gli altri filoni che il mercato globale offre.

Le canzoni popolari narrano la quotidianità, gli amori e le conseguenze che questi apportano nelle vite delle persone. Alcuni cantautori, negli anni '70, intraprendono un filone nuovo per la musica italiana. Da Rino Gaetano a Vasco Rossi passando per Fabrizio De Andrè, testi e musiche modificano la propensione alla melodia popolare. Non narrano più amori o passioni struggenti, anzi, fanno dell'ironia e la musica cambia marcia. Da greve, maestosa o struggente passa ad allegre e ritmate disarmonie.
Nascono gli urlatori, la musica beat; la batteria, le chitarre elettriche, le tastiere e cinque o sei ragazzi che suonano questi strumenti si danno nomi ironicamente provocatori che identificano la loro filosofia di vita e quindi la musica. È un fiorire di complessi musicali e di cantautori rock pop.

Ovviamente le grandi città, da Roma in su, diventano palcoscenici preferiti dei giovani anche in virtù delle sedi televisive e degli studi discografici ubicate tra Milano, Torino, Genova.
Erano gli anni della fantasia al potere. Gli anni del “mettete i fori nei vostri cannoni” e di “c'era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stone”, di “Bandiera Gialla”. Anni di fermenti culturali creativi ad opera di giovani che credevano di poter cambiare la società.

giovedì 26 gennaio 2012

giorno della memoria e delitti quotidiani

Il 27 gennaio 1945 si aprirono i cancelli di Auschwitz. L'odore della morte e della negazione umana aleggiava e aleggia tuttora tra le assi delle baracche intrise di angosce, speranze, pianti e mesti sorrisi di bambini, sospiri di donne e uomini ignari delle sofferenze che avrebbero dovuto sopportare prima della morte.
I sopravvissuti hanno fatto piena luce sulle tristi vicende che hanno reso il campo di concentramento emblema della barbarie nazista.
Ad Auschwitz persero la vita oltre un milione di persone nei modi più atroci ed efferati che la mente umana abbia mai potuto concepire ma sembra che il ricordo non sia servito a niente e nessuno visto quanto sta succedendo nel mondo.
Eppure il Giorno della Memoria, che quest’anno si celebra per l’undicesima volta, istituito con la Legge n. 211 del 20 luglio 2000 proprio con lo scopo di non dimenticare l'immane tragedia che gli ebrei hanno voluto chiamare Shoah e tramandare il ricordo affinché non accada mai più un crimine simile contro l'umanità, per nessun popolo, in nessun tempo e in nessun luogo, proprio gli ebrei stanno opprimendo un altro popolo colpevole di avere radici in Palestina.
In Italia l’aberrante ideologia nazista non colpì solo il popolo ebraico con le vergognose leggi razziali del 1938 seguite dalle deportazioni naziste dopo l’occupazione tedesca 1943 ma interessò anche persone non ebree “colpevoli” di avere fede religiosa, valori, etnia diverse rispetto a quelle del pensiero dominante.
L'arroganza del popolo germanico, sottovalutata all'inizio dai governi europei, somiglia tanto alle richieste egoistiche di certa politica settaria inneggiante alle radici territoriali di un popolo piuttosto che alla tutela sociale dei deboli.
Se è così, ricordare non serve a nessuno.

Monti, fiducia sul decreto milleproroghe

Non si smentiscono mai! 

Alcuni affaristi continuano a confondere l'Aula di Monte Citorio con l'ufficio delle relazioni industriali di qualche s.p.a. E infilano emendamenti che fanno comodo a loro e ai loro amici. 

Dopo avere ottenuto l'immunità e la tutela dei loro miseri stipendi tentano di tutelare le lobby. A questo punto fa benissimo Monti a porre la fiducia al decreto milleproroghe. Almeno, così facendo, i personaggi che gridano in pubblico per lasciare intendere di essere dalla parte dei deboli mentre in silenzio sostengono i forti, saranno sputtanati per l'ennesima volta. Ma questo per loro non è un problema!
Nel frattempo, il governo ha deciso di porre la fiducia sul decreto legge Milleproroghe. Lo ha annunciato nell'Aula della Camera il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Piero Giarda, spiegando che il provvedimento è sul testo approvato dalle commissioni di Montecitorio. La Camera voterà oggi mentre il via libera definitivo arriverà soltanto martedì prossimo.
Nel dettaglio, tra le novità decreto Milleproroghe ci sono l'innalzamento del prezzo delle sigarette e misure in favore degli esuli italiani dalla Libia, sulle quali il governo è stato battuto su un emendamento pdl-udc che proroga fino al 2014 50milioni annui per gli esuli italiani cacciati ne 1970, decisi nel 2009. La copertura, decisa allora e ora confermata, consiste in una aliquota del 2 per mille sulle attività dell'Eni in Libia, non trova l'ok del colosso guidato da Scaroni che ricorre alla magistratura e quindi rende incerta tale copertura. Nel frattempo una retromarcia l'hanno fatta quei partiti (Lega, Pdl, Pd e Terzo Polo) che la scorsa settimana avevano inserito nel decreto il condono delle salate multe per le affissioni abusive delle forze politiche: hanno infatti detto sì a un emendamento del ministro Piero Giarda che cancella la norma, scritta in modo tale da essere anche incostituzionale in virtù della data di conversione in legge del decreto. Infatti, i furbetti della casta avrebbero voluto condonare anche il futuro fino al 29 febbraio.

martedì 24 gennaio 2012

capitale e cultura, le sfide di Monti

Pur di vendere qualche copia in più a volte i giornali pubblicano notizie rivedute e corrette e non hanno nessuna attinenza con quanto detto o fatto dalle persone citate. Proprio per evitare di cadere nel tranello dei giornalai da quattro soldi è meglio aspettare prove concrete e inoppugnabili quale può essere la pubblicazione ufficiale degli atti. Nel caso del decreto Monti se ne sentono di tutti i colori e ovviamente chi si sente toccato reagisce in malo modo.
Siamo tutti stressati dalla spazzatura mediatica e dagli eventi reali o immaginari tirati fino alla nausea nei vari sistemi mass mediatici.
Ovviamente, essendo Monti un docente universitario, non credo che nel suo decreto ci possa essere una delegittimazione di alcuni atenei o il declassamento dei diplomi di laurea in base alla sede nella quale questi siano stati “sudati”. È impensabile crederci perché in uno stato di diritto la cultura è l'unico capitale che ogni cittadino può permettersi, a prescindere dalle sue origini. Con l'acquisizione dei saperi l'individuo evolve. Apre la mente, non si abbatte difronte ai nuovi traguardi culturali ma li conquista per alimentare i suoi saperi, la sua mente e la società.
Interpretando il suo operato in questi termini si giustifica e si comprende il pensiero europeista della manovra.

lunedì 23 gennaio 2012

protesta degli autotrasportatori

È facile gridare allo scandalo perché ci si vede privati della libertà di circolare a nostro piacimento dopo avere bruciato l'ultima goccia di benzina. I camionisti hanno fatto sentire il loro dissenso e l'Italia è entrata nel panico. Conseguenza: benzine assaltate dagli automobilisti in ansia e supermercati quasi vuoti.
È semplice prendersela con loro e accusarli d'inciviltà, egoismo ecc ecc. se voltiamo pagina e guardiamo l'altra faccia della medaglia con un'ottica differente, ci accorgiamo che accusare la categoria degli autotrasportatori d'infiltrazioni mafiose, potere delle lobby e quant'altro è un errore. Semplicemente, come il resto degli italiani, i camionisti si sono rotti di pagare per una casta d'inetti. Lo si è visto per i sacrifici chiesti ai politici che, da politicanti quali sono, hanno trovato il modo per mantenere i privilegi. La classe politica non ha saputo riscattarsi. Non ha dato segni di solidarietà reale al Paese. È logico che i lavoratori di tutte le categorie si sentano sfruttati e sfottuti e reagiscano democraticamente per rivendicare il diritto alla dignità di uomini liberi e non di sudditi.

... se i politici avessero dato il buon esempio...

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