mercoledì 7 aprile 2021

Sal Mistico interpreta Oblivion, augurio e invito all'oblio dei tempi bui

Libreria difronte. Pianoforte accostato sulla sinistra e sopra, al centro della parete, una tela raffigurante uno scorcio di natura morta con fiori sul davanzale di una finestra che affaccia sulla campagna e, a lato, una locandina del concerto di qualche estate fa.

Le allegorie sembrano azzeccate  e in sintonia col momento storico. ma:



È la cameretta di un liceale con la passione della musica. Un ragazzo come tanti ma dalle idee e dalle passioni chiare che sa intervallare il tempo per lo studio, gli esercizi al pianoforte, di musica con una energica partita a calcio-balilla. Il biliardino è posizionato sul lato destro della stanza quasi accostato al letto. 

Così è organizzata la sua tana, il suo rifugio; che denota serietà e impegno per lo studio intervallato dalle spensierate attività ludiche connaturate alla giovane età. (anche se, ne sono certo, per lui lo studio del pianoforte e della musica non è un impegno gravoso)- Un modo naturale per esorcizzare le tensioni del momento. prenderne atto; catalogarle e andare avanti. Perché, parafrasando Vasco: La vita continua.

Salvatore ha deciso, ha scelto un nome d'arte non tanto dissimile dal suo. Ancora non gliel'ho chiesto ma suppongo sia stata una scelta obbligata per evitare casi di omonimia e essere confuso con l'altro Sal Nistico, il noto jazzista italoamericano originario di Cardinale e suo lontano parente.

Ha deciso di mantenere il nome invariato: Sal e trasformare con una leggera svista semantica il cognome in Mistico.

Sal Mistico. già impresso da qualche tempo sulle locandine e sugli inviti degli incontri tematici consolidati in passato, quando non eravamo obbligati a mantenere distanze e scafandri protettivi addosso.

Adesso, come tutti, Sal Mistico, è costretto nel chiuso della sua casa; nella sua cameretta e, seduto davanti al pianoforte, impegna proficuamente le restrizioni imposte dalla pandemia. Le note riempiono il silenzio e leniscono le angosce, le incertezze cagionate dal tempo contingente. Qui le restrizioni della epidemia del covid-sars19 sono sospese e noi, sulle note di Oblivion, un brano di Astor Piazzola, virtuoso compositore e musicista argentino, ne siamo certi, "dimenticheremo" questo tempo triste e torneremo a respirare a pieni polmoni l'ossigeno vitale che anima le menti creative e le fortifica.

il mio canto libero

Imperativo assoluto: coltivare l'Ingenua Libertà dei bambini.




La libertà espressiva è alla base della “scrittura creativa” e i bambini non ancora contaminati dal lessico colto sono maestri inconsapevoli di una narrazione empatica.




Il tratto espressivo dei bambini è imprescindibile dal loro mondo. La loro realtà è creazione, immediatezza di essere e vivere episodi di vita quotidiana adagiata sul loro sentimento. Realtà e sogno sono narrati allo stesso modo. Non esistono confini. Si entusiasmano. Trasferiscono nel gesto spontaneo pensieri e desideri in un tutt'uno che è immediatezza del sentire. Non c'è confine tra realtà e sogno. L'ir/realtà è adesso nel cosmo fugace e puerile di un attimo. Un lieve canto d'uccelli. Un battito d'ali. Un soffio ... imprevedibile spensierato attimo 

Come dice il poeta.

martedì 6 aprile 2021

l'ultimo chiodo

L'ultimo chiodo.

Tornò alla carica a più riprese l'uccellino. Le tentò tutte. Saltellò dalla testa ai piedi. Poi ritornò sul palmo della mano è cercò di estrarre il grosso chiodo che la teneva fissata al legno. Il sangue, parzialmente coagulato, sporcò le sue bianche piume. Ma non diede peso. Gonfiò le ali e il petto, triplicò le forze. Puntò le zampette nel palmo facendo attenzione a non toccare la carne viva ma senza risultato; ogni sforzo risultò vano e non gli rimase che volare via per mettersi al riparo. Qualcuno con in mano una tenaglia agitò l'aria, si avvicinò cupo, s'inginocchiò e estrasse l'ultimo chiodo. L'uomo liberato fu adagiato nel lenzuolo e avvolto. L'uccellino volò via sporco di rosso sangue. Da quel giorno, per ricordare la misericordia dimostrata verso chi soffriva, l'uccellino prese il nome di pettirosso.




Sal Nisticò, talentuoso giovane pianista

Cos'altro può arginare il rumore del mondo oltre la musica?

L'armonia del cosmo è racchiusa nella scala che eleva lo spirito verso la creatività assoluta e lenisce i dolori, li sublima nella catarsi.

Ogni strumento ha una prerogativa che si confà alla personalità del musicista che lo adotta e lo fa suo e diventa propaggine del suo essere, cordone ombelicale che lo rende immune dalla materia pur servendola e servendosene.

C'è chi arriva alla musica sospinto da qualcuno,

Beethoven, per esempio, cominciò a suonare il pianoforte sotto gli ordini severi di suo padre e ancora bambino diede il suo primo concerto.

I biografi narrano di una educazione scolastica, la sua, affrontata con grandi difficoltà, perché, diceva: "La musica mi viene più facilmente delle parole".

Wolfgang Amadeus Mozart è considerato uno dei grandi maestri del pianoforte, virtuoso, riconosciuto per il suo talento musicale e per le sue capacità compositive. Dal temperamento anarchico, ribelle e imprevedibile, eccelleva nel classicismo ed è stato uno dei musicisti più influenti della storia.

Ha iniziato la sua carriera come interprete. Notato per il suo fine orecchio musicale è stato anche autore di successo. Sonate, sinfonie, musica da camera, concerti e opere, il tutto caratterizzato da vivide emozioni e trame sofisticate. Questo è il lavoro lasciato alle future generazioni da Wolfgang Amadeus Mozart.




E Sal Nisticò?, è forse azzardato l'accostamento con i più eccelsi musicisti della storia?

Non lo so! Può darsi! Ma chi lo conosce sa solo che è un ragazzo di talento e che fin da bambino, anche lui come i grandi del pianoforte, ha imparato prima ad arrampicarsi sullo sgabello e poi a correre sempre più spedito man mano che ampliava le sue mire corredate da esercitazioni estenuanti ma volute, necessarie al suo carattere, sotto la guida del maestro Claude Colasaz.



lunedì 5 aprile 2021

Racconti calabresi: l'estate a Tropea

Tropea, isola della mia infanzia.

Siamo agli inizi degli sessanta. 

L'antico convento suscitò in me sensazioni fiabesche.

Sembrava di essere in un castello edificato da qualche principe o dai pirati in un'isola nel bel mezzo dell'oceano. 

La calura estiva si sentiva e l'acqua del pozzo non riusciva a chetarla. E le camere, ampie, coi letti a baldacchino; le tende appese tra un letto e l'altro per creare un po' di privacy, bianche, forse, all'origine ma rese grigie dal tempo, svolazzavano sollecitate dalla brezza che entrava dalle alte bifore. 

Le bifore si trasformavano, a seconda dei momenti, in torri o avamposti d'avvistamento. E da lì prendevano forma i velieri dei pirati. era una gara a chi inventava la favola più bella e originale.

La fantasia ci faceva vedere i velieri stagliarsi all'orizzonte. Dapprima minuscoli. Poi enormi e minacciosi con le bocche di fuoco dei cannoni armati per l'assalto.

La madonna dell'isola non era un'icona sacra. Era la damigella da difendere dagli assalitori. La principessa da custodire e portare in salvo a costo della propria vita.


Tropea distava pochi chilometri da casa mia ma all'epoca arrivarci era un avvenimento importante. una storia indimenticabile da raccontare. E poi l'isola! che non era di fatto un'isola ma un promontorio attaccato al paese che si presentava simile a un'isola deserta situata in mezzo al mare con una spiaggetta privata dove solo noi avevamo accesso. Questo pensavo mentre scendevamo dagli interminabili gradini che univano il cortile dell'isola alla spiaggia.

L'acqua era di colore cristallo, impalpabile. Trasparente! Difficilmente il mare era agitato in quel punto. E poi un giorno la quiete fu interrotta dall'incursione di uno strano signore. Non portava con sé ombrellone o telo da bagno e neppure il costume indossava. 

Piantò nella sabbia, ricordo bene, un coso fatto di legni che si aprivano a compasso e si serravano con delle viti a farfalla. E poi mise su un pezzo di cartone marroncino. Osservò il mare. Prese da una scatola di legno dei tubetti simili al dentifricio ma la pasta che usciva non era bianca. Erano dei vermetti colorati! Noi bimbi ci mettemmo in cerchio attorno a lui. Incuriositi. Ci scrutò ben bene e chiese al più grande: ti metteresti in posa? Il ragazzino lo guardò con aria interrogativa. Nessuno aveva capito cosa volesse dire “mettersi in posa”.

Senza aspettare risposta l'uomo lo guidò a qualche metro di distanza, gli mise in mano una canna e lo invitò a stare fermo.

In un batter d'occhio abbozzò la figura del giovane e poi iniziò a colorarlo. Era come assistere ad una magia! Pennellata dopo pennellata l'azzurro del mare si congiungeva al cielo e in lontananza, all'orizzonte, dei cirri tenui si mescolavano coi gabbiani. Il pittore, un uomo minuto coi baffetti stava in silenzio. Poi smise di dipingere. Estrasse una scatolina di metallo lucido, color argento, prese una cartina biancastra, l'adagiò tra le dita e con l'altra mano prese un batuffolo di tabacco, l'arrotolò e infine passò la punta della lingua per sigillare il cilindretto. serrò la sigaretta tra le labbra, l'accese con un fiammifero, uno di quelli che solitamente si accendeva il fuoco nelle case. Aspirò mentre osservava il dipinto. Per qualche istante non fece nulla. Pulì solo i pennelli ad una pezzolina e li sistemo nella cassetta di legno.

il sole era alto. Stava per scoccare il mezzodì. e noi dovevamo risalire per il pranzo. Il suono del fischietto richiamò la nostra attenzione. In fila per due e march. 

Quel giorno la figura del pittore catalizzò i nostri discorsi che, nonostante i nostri auspici, non incontrammo più.

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