lunedì 28 dicembre 2009

festività, usi e costumi del s. natale


Non ci sono più le feste di una volta!

Dagli anni del boom economico a oggi, in quasi tutte le nazioni “ricche”, il benessere sociale ha indotto a modificare usi e costumi. Le tradizioni, inesistenti dal punto di vista antropologico anche nelle case meno abbienti, seguono le mode e si arricchiscono di teorie e prodotti hi-tech. È facile trovare sotto l’albero di natale, accanto ai pacchetti contenenti regali importanti per le signore, un cumulo cospicuo di prodotti effimeri, comunque costosi. Quest’anno, sembra che la recessione abbia fatto riscoprire la parsimonia agli italiani: regalini ridotti a pensierino, come per dire: ti voglio bene e sei sempre nei miei pensieri, per alcuni, ma anche regalone importante a chi ha fatto qualcosa di notevole o ché particolarmente caro/a.

Un tempo, e sì è proprio il caso di dire: non ci sono più le tradizioni di una volta; un tempo, dicevo, il S. Natale era ricco di significati religiosi, eticamente ineccepibili, condensati nella nascita di un Bambino che, con la sua venuta al mondo e il suo esempio avrebbe cambiato il modo di pensare degli uomini.

L’atmosfera natalizia infondeva sentimenti mirati al perdono solidale, al valore dell’uomo in quanto tale e non all’uomo schiavo di ideologie momentanee dettate dal leader fomentatore o dal mercanteggiare che induce a febbrili corse per negozi.
Poi, dopo le rigorose riunioni familiari, le tavole imbandite coperte da tovagliati bianchi inesorabilmente macchiate e ricoperte da bucce di mandarini e arance per la tombola, il 6 gennaio, la vecchina dal naso bitorzoluto parcheggiava la sua magica scopa sui tetti e lasciava cadere nelle calze appese ai camini i regalini ma anche il carbone per i bambini cattivi.
Quell’amabile vecchina non c’è più! È stata ricoverata in un ospizio oppure le è stata affiancata una badante che non conosce le tradizioni delle famiglie italiane. Peccato!

p.s: Ma, a ben pensarci, perché questo scambio parossistico di doni? Forse diventiamo più buoni, altruisti, ospitali come predicava Lui?
A che servono i regali, a esternare affetto o egocentrismo sfrenato?
Abbiamo unto di paganità un evento importante che ha il solo scopo di fare meditare tutti sul vero motivo della vita, religiosi e laici.
Con l’augurio di un’imminente rinascita intellettuale, annunciatrice di pace e serenità tra gli uomini, in Italia e nel mondo:
Buon 2010.

domenica 27 dicembre 2009

Venezia, la biennale del 1964 e la pop art americana



La biennale di Venezia del 1964 e la pop art

A volte trovo piacevole ripercorrere sentieri culturali sedimentati nell'immaginario collettivo e resi importanti dalla critica ufficiale e dai mass media. La biennale di Venezia, col suo circo mediatico è riuscita fin dagli esordi a tenere alta l’attenzione del pubblico, della critica, dei giornali, degli artisti e dei detrattori delle avanguardie artistiche.

Marcello Venturoli, presente come critico dell’arte alla biennale del 1964, prima di descrivere il clima e l’ambiente espositivo del fenomeno artistico americano pop, avanguardia popolare la cui punta massima è rappresentata da Robert Rauschenberg, ripercorre attraverso una puntigliosa ricerca storica le esposizioni dal 1895, anno zero dell’arte mondiale nei padiglioni della laguna.


La prima biennale, inaugurata da Umberto e Margherita di Savoia, si tinge subito di polemica: cinque donne nude animano la camera mortuaria di un giovane dongiovanni defunto per eccessiva lussuria.

Il Supremo Convegno, questo il titolo del dipinto eseguito dal professore dell’Accademia Albertina di Torino, Grosso, è un quadro sconcertante per la mentalità del tempo, molti gridarono allo scandalo e levarono scudi, tentarono di inibire la visione ai religiosi; evitarne la cerimonia inaugurale, invano.

Da quel lontano 1895, escluso il periodo della Grande Guerra, vale a dire dal 1914 al 1924, i padiglioni della biennale espongono le avanguardie mondiali in piena libertà ad eccezione delle cinque mostre sotto il ventennio fascista, l’occasione la diede l’incontro tra Hitler e Mussolini alla Biennale del ‘34, a proposito dei colloqui avvenuti a Villa Pisani di Stra.

Le cinque mostre di regime, dal 1936 al 1942, ostentavano il prodotto figurativo della razza che trionfava sui falò dell’arte degenerata.

Nel 1964, ancora in clima di guerra fredda, in pieno consumismo, gli artisti si appropriano di nuovi strumenti, ampliano il campo pittorico ed estendono con la poetica dell’oggetto il linguaggio culturale.

Le opere non si presentavano più al pubblico secondo canoni accademici: disegno, pittura, luce e ombra; ma diventavano scene di un vissuto reale il cui spazio era animato da oggetti di uso comune. E ciò scompigliò buona parte del pubblico, compresi critici e giornalisti.

Malgrado ci fosse già stato il movimento Cubista, Dada, e prima ancora l’Impressionismo, l’Espressionismo, i Fauve, insomma, artisti che hanno sperimentato nuove forme espressive, non per creare “ismi” o guadagnare fama e denaro, il fenomeno mercantile è costruito dalle lobby non dagli artisti, ma per proporre il proprio sentire in sintonia con la propria personalità imbevuta di tempo vissuto ma aperti ad ogni possibile emancipazione giovanile futura.

(Mario Iannino.)

sabato 26 dicembre 2009

fanciullezza e civiltà dal dopoguerra ad oggi


La mia generazione è cresciuta senza videogiochi, computer e internet.

La mia generazione s’inventava i giochi, costruiva spade, monopattini, capanne, improvvisava battaglie, lunghe partite con palloni di giornali e stracci e anche pigne cadute dai pini nei giardini pubblici.

Pinocchio, Tom Sawer, Garrone, Pollicino, s’incontravano a sera, tra le lenzuola; dopo il bacio della buonanotte chiudevano il sipario della giornata.

Personalmente devo dire di avere trascorso un’infanzia discretamente felice fino all’età di 7 anni; tempo in cui fui costretto a continuare gli studi in collegio. Lì, le giornate erano scandite da regole; c’era un orario per ogni attività: pregare, rifocillarsi studiare e giocare. C’era la sala giochi con tavoli da ping pong, calciobalilla, dama e shangai. Ma non c’era la libertà; la buonanotte della mamma; gli amici.
-Il ragazzo è troppo vivace se continua così non combinerà nulla nella vita. Lei signora deve dargli regole ferree e se non ci riesce può valutare la possibilità del collegio-. Così disse il maestro a mia madre. E mi trovai proiettato in una realtà nuova. Sofferente per il distacco dagli affetti familiari, rifugiai nei sogni e la sera affidavo le mie angosce ai personaggi fantastici delle fiabe, a loro confidavo i miei sogni, le esigenze affettive e invidiavo chi era a casa.
E oggi, cos’è cambiato nella società? È migliorata o peggiorata la condizione sociale dei giovani?
Quali sono i problemi dell’infanzia? Cosa sognano i bambini? Specie quelli costretti ad affrontare il mare su carrette maleodoranti senza acqua e cibo. O quei bambini sfruttati, resi schiavi dal dispotismo degli adulti; bambini, trasformati in piccoli guerrieri, minatori, servi, pezzi di ricambi umani.

ricchezza e povertà



I sogni degli uomini non sono uguali. Variano da luogo a luogo in armonia coi tempi storici. In Italia o nei paesi tecnologicamente avanzati, i ragazzini, chiedono ai genitori la play station, il computer, l’i pad. Giovani e adulti vogliono possedere oggetti informatici: giochi o attrezzi che li aiutino a trascorrere il tempo piacevolmente e facilitino l’impegno lavorativo.

Nelle società evolute, quanti hanno la fortuna di avere un lavoro, pensano di realizzare altri tipi di sogni:
Mi piacerebbe possedere una casa enorme con un’enorme tavernetta…
Vorrei avere una ferrari, anche di seconda mano…
Mentre, diventa un sogno comune “Magari potessi vincere alla lotteria”.
E intanto c’è chi, secondo le stime rai, guadagna circa 2.100.000 euro l’anno per intrattenere gli spettatori “porta a porta”.
E chi per campare deve cercare tra i rifiuti; firmare cambiali; prostituirsi…

bianco natale italiano



Idiosincrasie natalizie e festaiole

La neve è scesa copiosa sul nord Italia. Ha ammantato di bianco monti valli e pianure.

Qualcuno ha promulgato un editto; qualcun altro ha gridato il suo odio in faccia ai deboli ed entrambi sono stati esauditi: hanno avuto il “white christmas”. Ma forse madre natura ha frainteso e invece di esaudire le intenzioni razziali degli stolti e far si che potessero trascorrere un natale senza immigrati, quelli che ce l’hanno duro si sono trovati a lottare contro eventi naturali e scontati.

Ma il bianco natale è bello! Fantasioso come certi dirigenti burloni, che in quanto a fantasia potrebbero dirigere il traffico dei tricicli negli asili: hai portato la coperta di lana? E tu hai portato la merendina?
Si! Decisamente abbiamo materiale umano di cui andare fieri!


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