LIBERTA’. RESISTENZA. CIBO. Nelle tradizioni culturali e sociali dei popoli.
Mangiare, bere e vivere in pace in Italia sono concetti acquisiti. Talmente acquisiti che difficilmente pensiamo ai bambini trucidati dalla fame e dalla povertà; peggio ancora dalla bestiale e crudele azione della destra israelita guidata dal macellaio Netanyahu.
Nei Paesi fortemente evoluti sul piano dei consumi e dell’assistenza sociale, vale a dire la facilità all’accesso e quindi alla soddisfazione dei bisogni primari quali il cibo e l’assistenza sanitaria, per la quasi totalità dei residenti, il quesito corrente consiste nello scegliere quale tipo di merendina, latte o caffè assumere al mattino.
In Palestina le
opportunità più semplici, come condividere un pasto, bere acqua pulita e vivere
serenamente in famiglia, sono diritti fondamentali, ma non sempre garantiti in
modo equo. E se in Italia
L’ampia disponibilità di alimenti reperibili nella rete delle
varie catene di supermercati che fanno a gara promovendo opportunità d’acquisto
nelle campagne di prodotti in “sconto” e “omaggi” fan sì che le dispense degli
italiani straripino di prodotti; anche le fasce deboli che hanno gli occhi per
piangere e niente soldi in tasca, hanno la possibilità di rifornirsi nei
mercati locali a basso costo e nei punti di distribuzione gestiti dai servizi
di assistenza per chi è in difficoltà in sintonia con i programmi di sostegno
per famiglie a basso reddito.
E l’acqua? L’accesso scontato, per noi, alla risorsa idrica?
L’acqua, quella che sgorga dal rubinetto senza fatica è
generalmente sicura e accessibile in tutto il paese. Non lo è nella martoriata
Gaza! Da dove giungono notizie che fanno accapponare la pelle: i soldati di
netanyhau sparano sulla folla in fila per riempire qualche bidone d’acqua. Morti
bambini e adulti che si sono trovati davanti alla traiettoria dei proiettili
sparati ad altezza d’uomo…
La stabilità politica e sociale non consente a chiunque viva
in Palestina di vivere insieme in sicurezza.
In Palestina, l’accesso al cibo In molte aree, soprattutto
Gaza, è limitato o reso nullo dalla gestione criminale del governo che sta
radendo al suolo uno Stato. A Gaza le famiglie dipendono dagli aiuti umanitari.
L’acqua è scarsa e spesso contaminata. Secondo l’ONU, oltre il 90% dell’acqua a
Gaza non è potabile. E le famiglie vivono sotto costante minaccia di conflitto
e subiscono frequenti separazioni forzate e sfollamenti. Le ONG internazionali
forniscono assistenza, ma le risorse sono insufficienti rispetto ai bisogni.
In Italia, ciò che è considerato “normale” come cenare
insieme o bere un bicchiere d’acqua può diventare un lusso in Palestina. La
pace domestica non è solo assenza di guerra, ma anche accesso a risorse,
sicurezza e dignità. Quella che segue è
Una storia vera dalla Palestina: il potere del cibo e della
comunità:
Nel cuore della Città Vecchia di Gerusalemme, vive Izzeldin
Bukhari, un giovane palestinese che ha trasformato la cucina in un atto di
resistenza e amore. La sua famiglia è radicata lì da oltre 400 anni,
discendenti di sufi che hanno fondato un centro spirituale chiamato *Zawiya
Uzbek*.
La sua missione? Tramandare la cultura palestinese
attraverso il cibo. Con il progetto *Sacred Cuisine*, Izzeldin guida tour
gastronomici dove racconta la storia di ogni piatto, ogni spezia, ogni gesto.
Durante questi tour, i partecipanti assaggiano hummus, falafel, pane allo
za’atar e dolci tradizionali, mentre ascoltano storie di famiglie, migrazioni e
resilienza.
Una delle sue frasi più toccanti:
“Quando condividi il cibo, sai che puoi fidarti l’uno
dell’altro. È un modo per portare pace gli uni agli altri.” Anche quando ha
vissuto negli Stati Uniti, Izzeldin continuava a cucinare piatti palestinesi
con ingredienti spediti dalla sua famiglia. L’odore delle spezie gli ricordava
casa, e ogni piatto diventava un ponte tra la sua identità e il mondo esterno.
Questa storia dimostra come, anche in un contesto difficile,
il cibo possa essere “memoria, resistenza e speranza”. Un piatto simbolico come
la *Maqluba* o il *Musakhan*? Sono vere opere d’arte con un’anima.
La Maqluba: il piatto “sottosopra”
racconta la Palestina. Secondo quanto recuperato da internet:
La *Maqluba* (in arabo: مقلوبة) significa letteralmente
“rovesciata” o “capovolta” — ed è molto più di un piatto: è un gesto di
condivisione, una memoria collettiva, un atto di resistenza culturale.
La leggenda narra che, nei villaggi palestinesi, il venerdì “giorno
sacro per l’Islam” le famiglie benestanti raccoglievano gli avanzi dei
banchetti e li versavano in una pentola. Poi, con un gesto teatrale,
capovolgevano il contenuto su un grande vassoio per offrirlo ai poveri. Da qui
nasce il nome *Maqluba*: un piatto che si serve “sottosopra”.
Gli ingredienti principali sono:
- Riso profumato
- Carne (agnello o pollo)
- Verdure fritte (melanzane, cavolfiore, patate)
- Spezie: cannella, curcuma, noce moscata, pepe
- Frutta secca: pinoli e mandorle dorati nel burro
Preparazione:
1. Si cuoce la carne con le spezie fino a ottenere un brodo
ricco.
2. Si friggono le verdure separatamente.
3. In una pentola oliata si stratificano carne, verdure e
riso.
4. Si versa il brodo e si cuoce lentamente.
5. Infine, si capovolge la pentola su un piatto da portata:
il momento è solenne, quasi rituale.
Un gesto che unisce! Anche sotto i bombardamenti a Gaza,
famiglie palestinesi continuano a cucinare la Maqluba. Sui social si vedono
video di pentole rovesciate con cura, bambini che sorridono, adulti che si
stringono attorno al piatto. È un modo per dire: “Siamo ancora qui.
Condividiamo. Resistiamo.”