Sì è senz’altro così. I nostri antenati provengono dall’Africa. Me ne convito dalle immagini che bucano lo schermo, catturati dai cronisti tra le macerie di Gaza, e giungono fino a noi dal medio oriente deturpato dalla bestialità degli oppressori.
Gente inerme.
Bambini e mamme avvolte nei vancali con affianco uomini sporchi e malnutriti si aggirano tra le macerie accomunati da fisionomie note in Calabria. Tratti somatici mediterranei. Figure esili dai tratti marcati, più forti dei bombardamenti e degli uomini comandati in arme a seminare morte.
Persone tenaci in cerca di qualcosa. Qualche cosa di utile per affrontare la notte e di qualche recipiente da porgere ai cuochi di campo.
Sacchi di plastica, secchi, padelle, casseruole e persino i secchielli con cui i nostri bimbi giocano in spiaggia da riempire con derrate crude cadute o gettate dai convogli, riso, pasta, patate. Roba raccattata e custodita tenacemente da condividere con i familiari. Questa sì è una guerra per la sopravvivenza tra poveri.
Gente consumata dalle avversità che non sa come riempire di speranza gli occhi e la vita dei figli.
Gente angosciata. Come lo era la nostra, di gente, negli anni del dopoguerra. Che, per sopravvivere, con dignità, bussò alle porte delle chiese e dei luoghi addetti alla distribuzione umanitaria.
Non fu e non è disonorevole! L’autoconservazione è un imperativo Assoluto.
Padri e figli, anziani e donne autosufficienti spostano le poche misere cose salvate dal fuoco ostile e stipate nei carretti pieni all’inverosimile, spinti con la forza della disperazione o trainati da ossuti asini, migrano.
Come fecero i nostri antenati e, parimenti, scalzi e con le toppe al culo. Seri della serietà cupa ereditata dagli orrori della fame. Intimoriti non dal domani ma dall’imminenza. Sperano.
Niente di nuovo sotto il cielo per noi gente del sud, con qualche trascorso campagnolo, che, anche in periodi di pace, abbiamo conosciuto la miseria.
Situazione umana drammatica e amara, resa poetica dalla sensibilità degli uomini di buona penna e dai pennelli virtuosi. Scrittori e pittori, a volte maestri inconsapevoli di Retorica,
che rimane tatuata sulla pelle dei sopravvissuti e si rinnova ad ogni catastrofe, voluta dalla cinica stupidità umana o scaturita dalla forza prorompente della natura.
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