“U capillaru passa”. Ripeteva assillante, l’uomo, piccolino e tarchiato, per le vie del paese.
Con la sua voce stridula avvertiva di essere arrivato. Camminava lento, con la sua cassetta appesa al collo con una bretella e retta lateralmente dalle sue mani tozze.
“fhimmini veniti veniti, veniti mò ca sind’a parra natra simana”.
Donne venite adesso altrimenti dovete aspettare la prossima settimana.
Nella cassetta in legno, divisa in scomparti, c’erano pettini e spille di tutte le forge. Sulle da balia, aghi, bottoni, nastrini per legare i capelli, e pettini dai denti stretti adatti a tirare via i pidocchi, pettinisse dallo stile spagnolo e tantissimi altri ninnoli per adornare il capo.
Il martedì, puntuale, alle dieci del mattino, l’uomo con la cassetta arrivava in paese con il postale proveniente da Catanzaro. Dove lo prendesse non l’ho mai saputo. La corriera fermava in tutti i paesi che si trovavano lungo la sua traiettoria. La corsa univa il capoluogo, Catanzaro alle periferie cittadine, Sala, Santa Maria, Marina, ai paeselli della giurisdizione provinciale: Roccelletta, Borgia, Squillace … fino a Serra San Bruno.
Tante erano le fermate del vecchio rumoroso e puzzolente postale che ammorbava l’aria con gli scarichi di fumi neri. L’autista, dopo aver dato due o tre colpi d’acceleratore, e tirato un bastone ferroso con una maniglia alla sommità, faceva un cenno al biglietto. Scendevano entrambi dopo i passeggeri. L’autista s’incamminava in direzione del bar e il bigliettaio, estratto un sacco dal portabagagli, verso l’ufficio postale.
Il mercante, u capillaru, toglieva il telo che ricopriva la mercanzia e si camminava per le vie del paese.
“gienti passa u capillaru, fhimmini i cogghjistuvu i carichi, veniti mbicinativi ca nci su belli regali ojia!” Venite gente che oggi ci sono bei regali!
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