DON FACCIOLO, IL BELLISSIMO PRETE CHE NON FU FATTO VESCOVO
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"Don Facciolo insieme a Guido Rhodio" |
La morte di Don Facciolo, Mons Raffaele Facciolo, mi procura un forte dispiacere. Non avevamo dimestichezza di rapporti. Quelli di una qualche forma di amicizia o di frequentazione, come usa dalle nostre parti. Ma posso dire che lo conoscevo da molti anni. E lui, dagli stessi, conosceva me.
Nonostante i suoi numerosi impegni sacerdotali e culturali, e le fatiche per i ruoli assai importanti ricoperti all’interno della Chiesa calabrese, egli mi conosceva. Anche osservandomi da lontano, per il mio impegno politico, che, giovanissimo, in qualità di Delegato Provinciale del Movimento Giovanile della Democrazia Cristiana, mi portava spesso nella sua Squillace. A lavorare con i tanti giovani, che si stavano formando attraverso le sue autentiche lezioni di cultura politica. Oltre che di fede.
Don Facciolo, come veniva chiamato da tutti, e stranamente con il solo cognome, fra i tanti preti che ho avuto modo di conoscere, aveva un certo sentire la Politica. Con la maiuscola. La sentiva anche come responsabilità della Chiesa di formare i giovani cattolici al sentimento della Politica. Quello propedeutico allo svolgimento dell’attività nei ruoli diversi che la Politica consente.
La Politica, la più alta forma, come lui sosteneva, di servizio alla Persona. E alla Persona nella Comunità di cui sia parte. Questo alto sentimento, quale sentire anche il dovere di un impegno laico profondo sui principi del Vangelo, che fuori dalle pareti della chiesa può e deve rappresentare una sorta di decalogo per il buon cattolico, che voglia avvertire come obbligo il servizio alla propria comunità e alla persona in essa. Secondo i principi di Giustizia, Libertà. E Solidarieta per l’Eguaglianza e la costruzione della Pace. Il tutto a partire dal luogo, anche il più piccolo, in cui siamo portati a vivere. Ché Libertà e Pace non sono mai affare degli altri, i più lontani da noi. Ma di tutti. E di ciascuno. Don Facciolo, il Monsignore, usava nei suoi discorsi e omelie la parola “ oblativo”. Oblatività. Un sostantivo e aggettivo insieme, per accompagnare la parola più bella, Amore. A voler significare che amare non basta. Occorre di più. Quel di più che elimina il rischio che amare sia un atto egoistico. Interamente chiuso nel nostro particolare. O in quel senso di appagamento nel nostro agire. Amare, per questo prete intenso. è donazione di sé. Piena. Assoluta. Incondizionata. Gratuita. La stessa che deve animare la Politica e il personale impegno in essa. Mi era subito piaciuto questo prete discreto, riservato, attento, educato, umile, generoso, disponibile. Anzi, autorevole ed educato insieme. Ma anche maestro e allievo dei stessi suoi allievi, secondo il convincimento, anche da sempre il mio, che si impara educando e si insegna imparando. Come, per Lui, il Vangelo stesso insegna a fare. Mi commuove di don Facciolo, nel giorno della sua morte, la dignità e la forza umana e sacerdotale con la quale ha saputo ricevere le non poche ingratitudini e certe umiliazioni ricevute dalla stessa Sua Chiesa. La stessa che pure lo vide crescere enormemente sotto tutti i profili. E teologici e culturali e pastorali e giuridici e sociologici, tanto da annoverarlo tra le figure più importanti e significative della Chiesa regionale e non solo. Monsignor Facciolo per l’autorevolezza e profondità della sua persona, per la forza anche della sua parola, per l’originalità del suo pensiero, per l’acutezza del suo sguardo sulla realtà e per quel suo affaccio costante sul mondo, anche molto più distante dal nostro, si potrebbe dire fosse nato Vescovo. E, però, Vescovo stranamente non lo divenne mai. Anche se più volte vi è arrivato sul punto di diventarlo, accentuando in tutti l’indignazione e il mistero troppo strano per non esserlo diventato. Lo avrebbe meritato sicuramente. E questo resta un peccato brutto sulle spalle della nostra Chiesa. Don Facciolo, con dignità e semplicità ha sempre saputo accettare le decisioni dell’Autorità. Da soldato ubbidiente, da servo della chiesa fedele, mai mostrò fastidio e ribellione. Agli amici, agli estimatori, che si dolevano di questa cosa, me compreso, rispondeva che tutto è nelle mani del Signore. Tutto è frutto della volontà di Dio. E che la Chiesa non sbaglia anche quando a noi sembra che abbia torto. Mi ha commosso l’umiltà con la quale sempre si è messo al servizio di tutti i Vescovi che ha conosciuto. E al servizio delle comunità. In particolare di Squillace, il suo paese, amato oltre ogni misura. Di cui conosceva storia e cammino. E che la storia il cammino di questo luogo ha saputo sempre difendere e valorizzare. Con quel suo sguardo tenero, quella parola pacata, quei gesti gentili, quei pensieri profondi, quel cuore nobile e generoso, che quasi l’intera Calabria ha conosciuto. Tutti e, in particolare, la Chiesa, dobbiamo molto a lui. Mi piacerebbe che lo si salutasse alla fine del discorso più importante, quello del nostro Vescovo in carica, o nel saluto epistolare di Francesco, il Papa, nel modo che segue: “grazie don Facciolo per quello che hai fatto da prete. E grazie per quello che hai fatto da monsignore. Addio, Don Facciolo, Vescovo vero di questa nostra Diocesi. La Diocesi di Squillace.
Franco Cimino.
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