Cuore giallorosso.
C’è una passione che non muore mai, e che, nonostante le sofferenze consequenziali alle dignitose immancabili sconfitte, cresce e si fa più intensa.
Lo sport praticato sprigiona adrenalina e mantiene in forma. Lo sport seguito esalta. Fa sentire parte integrante che avvolge. La voce urlata, incazzata, esalta i cori e gli inni appassionatamente e vola dagli spalti. Vola tra gli spettatori, tifosi e sportivi, e cala sulle divise della squadra, delle squadre. Anche sugli ospiti.
Inni d’amore per i colori sociali che hanno come unico fine l’appartenenza. Appartenenza alla terra. Alla regione e alla città che porta alto il nome di entrambe. Come avvenne nella nostra città e fece la storia nella stagione 1971/72 per la Calabria.
Ricordo bene quel periodo:
La mia casa era dietro i distinti e la domenica era impossibile uscire o arrivare con la macchina. E le urla, quando non andavo allo stadio, mi suggerivano le azioni: “mannajia su mangiau. GOOOLLL. Ajiaddina culu. NOOOO a perdimma. ”.
E quell’anno storico, partimmo insieme a due amici colleghi di mio fratello per la volta di Napoli. Arrivammo di notte. E nei pressi della stazione ferroviaria facemmo colazione. Erano le 2 di notte. Troppo presto per entrare al San Paolo. Andammo comunque nei pressi e attendemmo impazienti. E poi la calca. Tifosi da ogni parte della Calabria e della Puglia. Per tutti i 90 minuti, con i nervi tesi e i brividi come vestito, e le sciarpe sventolate al cielo quando, Mammì, insaccò il goal della vittoria: noi andavamo in sere A! Fu una festa!
Una festa regionale per i comprensori di Cosenza. Crotone. Vibo Valentia. Lametia Terme, Nicastro e Sambiase, và, Reggio Calabria e fin nei più piccoli e sperduti paesini si cantava l’inno della catanzarese . E tutto, indipendentemente urlavano, saturi d’orgoglio “ e nnicchi nnicchi nà lu catanzaru in serie A..”.
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