Il rischio di cadere nella retorica in pittura c'è.
La figurazione nell'impostazione scenica serve per rendere concrete certe idee e la storia occidentale è piena. I maestri del passato chiamati per narrare episodi religiosi oppure per magnificare gesta di condottieri o più semplici momenti di quotidianità familiare nei nobili casati sapevano come arrivare alla sintesi ed ottenere narrazioni potenti. La storia dell'arte è satura della maestria realista e iper realista. I realisti, vivendo epoche povere, anzi, prive del marchingegno che cattura l'attimo in un istante, dovettero escogitare espedienti tra i più disparati per raffigurare verosimilmente in pittura l'illusione del reale. Riprodussero la realtà attraverso varie tecniche: il reticolo, lo spolvero, la prospettiva, quindi la geometria, e con gli specchi della camera ottica disegnarono soggetti e quinte capovolte. All'epoca la pittura realista doveva attenersi ai canoni allorché doveva narrare attimi di vita e allegorie.
Oggi, grazie agli ausili tecnologici, i creativi possono tranquillamente evitare di perdere ore davanti ai supporti anonimi per personalizzarli e renderli fruibili, quindi dialogare con l'altro, estimatore e curiosi aperti alle novità.
La comunicazione per immagini è immediata.
Si scatta una foto, si raccolgono pezzi dai dipinti propri o prendendo in prestito qualcosa di già realizzato dai maestri del passato e si assemblano fino ad ottenere un puzzle di senso compiuto.
La cultura occidentale offre la visione gratuita di concetti religiosi. Scene imponenti realizzate da Raffaello, Michelangelo, Leonardo da Vinci, Courbet, Millet e moltissimi altri hanno divulgato momenti di vita religiosa e quotidiana. Opere realizzate non tanto per soddisfare i committenti ma per un intima necessità dell'artista/artigiano e la prova è sotto gli occhi attenti di chi vuole penetrare il tempo basta pensare alle tele di Millet pregnanti di religiosità. E l'angelus, che raffigura una coppia di contadini raccolti dignitosamente in preghiera al tocco dell'angelus, appunto, a fine giornata dopo ore trascorse a lavorare i campi, è la fotografia plastica di chi ha saputo catturare il tempo all'imbrunire. Dipinto scarno. Essenziale! Ma che, chiudendo gli occhi, fa echeggiare il tocco delle campane provenienti dal vicino villaggio.
Lavori “sacri” che reggono il dogma e lo divulgano senza l'ausilio della parola scritta o parlata.
Il mestiere del pittore era ritenuto patrimonio creativo se chi si fregiava del titolo possedeva oltre alle tecniche il dono della sintesi.
La pittura, all'epoca dei fatti accennati, serviva per divulgare concetti alti, trasmettere messaggi sociali, religiosi e politici. E al pari dell'attuale pubblicità, invadente e ossessiva, doveva comunicare nell'immediato, interagire. Pregevoli esempi li troviamo nelle pale all'interno delle chiese: il clero ha fatto ricorso alla pittura realista per divulgare la Parola ma quelli erano tempi in cui la maggior parte della gente non sapeva leggere e la raffigurazione sopperiva egregiamente la parola scritta.
Le chiese e i ritrovi religiosi sono istoriate con dovizie di particolari. Narrano le gesta del Messia e la divulgazione dei Vangeli per opera dei discepoli ai credenti.
La religione cristiana condiziona il retaggio culturale della maggior parte di noi occidentali. E i simboli ad essa associati sono evidenti.
Nella disperazione volgiamo la mente all'Onnipotente, affidiamo le pene a Gesù, al suo insegnamento a alle tantissime sofferenze subite per redimere l'umanità.
Osservando l'orrore che l'uomo ha provocato nella striscia di Gaza e nelle altre zone di guerra, alla morte imposta a uomini e donne di ogni età, alla carestia, all'impoverimento dei territori sventrati dai bombardamenti, non ci sono giustificazioni! La violenza non ha giustificazioni! È solo morte.
Allora rivolgi la mente a quel qualcosa di indefinito che non hai mai visto ma ti dà pace e rifugio.
Affidi al Cuore Immenso di Gesù le pene dei derelitti costretti a subire l'inferno in terra.
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