Quante volte abbiamo girato la testa dall'altra parte e abbiamo detto non mi riguarda.
Estraniarsi è una forma di autoconservazione e induce ad assumere un atteggiamento sociale semplicistico: “m'impiccio solo di ciò ch'è di mia competenza e apporta benefici alla mia cerchia familiare e o amicale”.
Essere attenti al benessere del proprio territorio ritenendolo proprietà assoluta di una cerchia limitata non ci auto assolve dall'essere animali sociali e neppure portare a termine soluzioni ai problemi impellenti auto celebrando gli eventi e le pseudo-vittorie.
Diritti negati pretesi con la forza si trasformano automaticamente in soprusi sociali. Non è la violenza l'atteggiamento adeguato per risolvere litigi che si trascinano nel tempo. E per violenza s'intende anche la pressione ostativa operata dalle forze di potere sull'opinione pubblica. Sovvertire la realtà. Fare apparire il lupo un agnello. Condizionare le menti semplici persuadendoli con pubblicità ingannevoli così da implementare forza economica e potere politico è un male. Mali dominanti; pustole cosparse con olii profumati.
E fino a quando il concetto dell'utile sposa e condiziona le azioni dei singoli, la solidarietà, l'etica, sono concetti astratti, inutili.
Produrre di più a basso costo per ottenere ritorni economici milionari. Questo è il pensiero ricorrente. Ed è per lo stesso motivo per cui il ciclo vitale dei prodotti d'uso comune ha limiti temporali preimpostati.
Contrariamente alla filosofia di vita che, consuetudine mentale comune a molti nelle realtà sociali di qualche decennio addietro, induceva a pensare al prodotto, di qualunque natura e uso, avrebbe dovuto imporsi per qualità e durata, terminata la sua funzione per raggiunti limiti tecnici o collassi improcrastinabili dei materiali di cui era composto il manufatto venisse, oggi diciamo, riciclato, ovvero reintrodotto in toto o in parte laddove possibile, senza creare traumi o danni irreversibili all'ambiente.
Qualità, durata e salubrità del ciclo produttivi e di vita dei manufatti.
Purtroppo non sempre è andata bene e i risultati postumi delle ricerche si sono rivelati disastrosi.
Eternit. Ricordate? È stato un prodotto pubblicizzato oltremisura per l'indistruttibilità e la leggerezza fino a divenire, negli anni '60, una fonte di guadagno per la casa madre.
L'impiego nell'edilizia del prodotto sembrava una panacea. Si costruivano e vendevano lastre per tetti, tubi per l'acqua irrigua e potabile e persino cisterne per la raccolta delle acque. Sì era un elemento pratico da inserire nelle costruzioni edili. Peccato che solo dopo molti decenni gli studi scientifici hanno documentato la cancerogenicità degli elementi presenti nell'eternit.
Nelle fabbriche, le maestranze impegnate nella lavorazione dei manufatti senza le adeguate protezioni inalavano polvere d'amianto. Ma non lo sapevano. Il dato certo, postumo, è dato dalle innumerevoli morti vittime del cancro ai polmoni.
Altre fabbriche, vanto e speranza della rivoluzione industriale degli anni '60, hanno contribuito con le emissioni di fumi tossici e smaltimenti pirata di varia natura ad inquinare il pianeta. Taranto è uno dei siti che ha portato ricchezza e malattie irreversibili anche nell'indotto. Gli inquinanti delle fabbriche sparsi nel cielo e nel terreno sono penetrati nella filiera agroalimentare alterando struttura e genuinità organolettiche di animali e piante.
I principi dell’economia circolare, sostenuta in passato con naturalezza, subisce un violento colpo d'arresto in netto contrasto con il modello economico lineare.
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