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lunedì 6 aprile 2020

Storie di vita

Da qualche tempo mi torna in mente Garibaldi.

Non quello della storia d'Italia ma un ragazzo qualunque. Un vecchio compagno di oratorio che per il suo colore di capelli si era guadagnato il nomignolo di “garibaldi”.

Franco, questo il suo vero nome, era un ragazzo che, date le sue umili origini, doveva darsi da fare e per aiutare la famiglia faceva il garzone in una bottega che forniva bombole di gas.

Magro. Sempre sorridente e allegro. Garibaldi stava allo scherzo. E nonostante il lavoro gravoso, forse non aveva il padre, lo vedevo accudire alla mamma, una donna minuto e un pochino deforme, trovava il tempo per scrivere.

Scrisse una commedia. E ci mise dentro il suo mondo. I suoi sogni e la realtà. I suoi affetti. I suoi amici e conoscenti. E la presentò nel teatrino dell'oratorio.

Era domenica pomeriggio. Una domenica d'inverno. La presentazione del parroco, benevola, predispose la platea alla visione ma con qualche riserva.
La remora era dovuta alle umili origini di Franco e al fatto che non si sapeva nulla della sua predisposizione alla scrittura
che avesse un animo sensibile si sapeva ma non si conosceva la sua poetica ben trascritta e rappresentata nonostante le sue perenni assenze dalla scuola: o lavorava o frequentava le lezioni.

Dopo la rappresentazione, sottolineata dai continui applausi di commossa approvazione, Garibaldi, agli occhi dei più non era lo stesso ragazzo, lo stesso semplice garzone di bottega che portava la bombola del gas a casa. Era Francesco!

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