venerdì 3 settembre 2010

piove, governo ladro!

Piove! Si dice che agosto sia “capo d’inverno”. Infatti, dopo il 15 le giornate sono più corte e, dall’oggi al domani, i primi venticelli freschi soffiano sui corpi cancellando il caldo sofferto fino a qualche giorno prima.
C’è chi sospira sollevato e chi rimpiange il sole forte. Chi inizia la routine lavorativa con immensa nostalgia e chi si tuffa energicamente.
Non è cambiato niente! Solo il peso del calendario è ridimensionato; peso ch'è andato a gravare sugli anni che ognuno si sente addosso. Per il resto, tutto rimane invariato: le bugie della politica, gli schieramenti di parte, le ingiustizie, le assurdità dogmatiche delle religioni manichee che, pilotate da scaltri uomini d’affari, inducono i seguaci a compiere efferati crimini contro l’umanità.

Non è cambiata l’arroganza del potere che antepone la quadratura dei conti economici di uno Stato alla cultura e al welfare; governanti aziendali prestati alla gestione comune dello Stato di Diritto che attuano soluzioni sociali come se fossero in una qualsiasi azienda produttiva e mandano al macero intere famiglie pur di risanare i bilanci. Semplice! Molto semplice dire: le anomalie e le esuberanze sono il risultato delle politiche sbagliate dei governi precedenti!

Almeno i governi precedenti lasciavano la dignità di vivere. Ma questo lo sanno benissimo i nuovi ricchi, quelli che si sono arricchiti grazie ai favori della politica dei governi precedenti.

No! Non ci siamo! Il diritto alla vita è inalienabile! Chi governa deve avere il coraggio civile di guardare in faccia le realtà periferiche; i nuovi e vecchi poveri. Chi governa deve sapere perdere qualcosa di suo, qualcosa di superfluo, per lui ma non per chi stenta a mandare i figli a scuola. Deve scommettere nel sociale!

Altrimenti, a che vale dichiararsi contrari alla pena di morte, dichiararsi Cristiani praticanti, essere contro l’aborto e per la famiglia se poi, di fatto, si affama e uccide tutti i giorni con la rilettura delle leggi, la revisione e l’annullamento dello Stato di Diritto?

giovedì 2 settembre 2010

lettere di morte per Scopelliti

Lettere di morte a Giuseppe Scopelliti, presidente della Calabria.

Quattro lettere minatorie, indirizzate a Giuseppe Scopelliti, di cui una contenente due proiettili di pistola calibro 7,65, sono state recapitate questa mattina nella sede catanzarese della presidenza della giunta regionale calabrese.
Una delle lettere, giunte nell'ufficio di Presidenza situato nello storico Palazzo Alemanni in Catanzaro, contiene minacce e intimidazioni. E un’altra conclude le intimidazioni al Presidente Scopelliti con le firme, nomi e cognomi, dei principali capimafia delle cosche calabresi.

Davvero singolare, quest’ultima lettera intimidatoria. Quando mai si è visto che gli ‘ndranghetisti mandano biglietti firmati. Quelli hanno altri modi per far conoscere le loro intenzioni e, stando alle cronache, quando vogliono “giustiziare qualcuno” prima lo fanno e poi lasciano intendere che sono stati costretti dagli affari. D'altronde, il caso Fortugno, purtroppo, e non solo, la dice lunga sulle strategie malavitose.

Personalmente sono vicino a chiunque è bersaglio della violenza altrui e porgo il più caro solidale pensiero d’incoraggiamento e d’affetto al Presidente della Calabria, perché assertore convinto del rispetto reciproco tra persone. Un rispetto che ostacola all'insorgere, qualora ci fossero idee di soppressione fisica dei nemici, ai quali va, piuttosto, osservata la sacralità del mandato. ma gli 'ndranghetisti conoscono un solo tipo di società solidale, in seno alla quale, la convivenza pacifica è un eufemismo nel momento in cui qualcuno o qualcosa turba gli affari delle famiglie, per cui scatta la ritorsione, la delegittimazione e infine la violenza fisica nei confronti di chi difende lo stato di diritto solidale e le istituzioni.

Viste le modalità, rese note dalla stampa, sembra una burla. E per la tranquillità del presidente Scopelliti e per la Calabria, ce lo auguriamo tutti.

Nel frattempo le indagini proseguono dopo il solerte intervento degli agenti della Digos che hanno acquisito le lettere e i proiettili di pistola pervenuti a palazzo Alemanni, sede degli uffici di Presidenza.

il privilegio dell'avvocato

I privilegi dell’avvocato.

Era da tanto che avrei dovuto fare dei lavori in casa, ma le esigue finanze, fino a qualche mese addietro, me l’hanno impedito. Finalmente, dopo avere messo da parte un gruzzoletto, interpello alcune ditte. Confronto i preventivi di spesa e scelgo quello di un vecchio compagno di scuola.
Svuoto le stanze da restaurare e imballo la roba in robusti scatoloni.
Il mio amico si presenta con una squadra di operai ben assortiti. Ognuno di loro sapeva cosa fare. Di tanto in tanto qualcuno si rivolgeva a me per sapere, dove fosse una presa, dove spostare uno scatolone e altre minuzie. La cosa strana era che si rivolgessero a me chiamandomi “avvocato”.  Li lasciai fare. Non chiarì che il titolo non mi apparteneva, d’altronde i “dottò” si sprecano, per strada e in giro per il mondo. Andammo avanti così quasi fino alla conclusione dei lavori. E meglio sarebbe stato se avessi continuato a mantenere il riserbo. Infatti, chiarito il malinteso sul dottorato alcune cose cambiarono. Le piastrelle, contrariamente ai calcoli, diventarono insufficienti come pure la colla, il filo elettrico e la pittura.

Convenni che mantenere un titolo “onorifico”, per il tempo strettamente necessario, a volte, è da saggi.

mercoledì 1 settembre 2010

creatività, arte contemporanea e bravi artigiani

aore12
Per un mercato dell’arte sano, non drogato da falsità concettuali.

È disarmante costatare la duttilità del bello estetico e delle varie forme concettuali d’intendere il bello o il sublime oggi. Nonostante l’innumerevole letteratura in merito, e nonostante l’evoluzione linguistica e tecnica della visione, comunemente il bello è associato all’emotività congetturale cui è associato il manufatto artigianale e o artistico.
È sintomatica la reazione al bello laddove si magnificano forme elementari associate a un evento mediatico o di costume. Ancora oggi la gente ha bisogno di una narrazione affine alla propria cultura per indolenza, perché non ama il nuovo e detesta l’ignoto che mette in discussione le conoscenze spicciole e non trova spazi utilitaristici nella quotidianità. Però, la maggioranza silenziosa è pronta a urlare a comando! Non appena qualcuno che funge da guida espone una teoria e l’associa a un prodotto dell’uomo. Il concetto, bello o brutto, è accettato con facilità se rimanda mentalmente alla persona da ricordare, ai suoi insegnamenti, alla sua figura carismatica.
D’altronde è risaputo che la figurazione da sempre ha sopperito ai mille testi scritti e alle innumerevoli parole. La figurazione è immediata. Narra un episodio. Divulga concetti per immagini. Escludendo il dato propagandistico connesso alla figurazione, è da considerare, se si vuole dare una connotazione artistica seria, non tanto il valore estetico e la padronanza artigianale esecutiva, ma, il retroterra intellettuale dell’artista, del tempo in cui vive, delle tecniche usate per rendere comprensibile il concetto e renderlo visibile. In sintesi: i simboli ideati dall’uomo sono sempre gli stessi. Possono avere varianti dettate dalle mode e dai gusti momentanei, ma la radice rimane immutata. Per intenderci basta pensare alla Croce di Gesù. Due assi incrociate che servivano a dare la morte ai delinquenti comuni sono diventate l’emblema universale di una religione.
La simbologia della croce porta le coscienze Cristiane a Cristo Morto e Risorto, alla sua vita, agli insegnamenti lasciati agli apostoli e divulgati nei secoli. E chi la porta addosso e la venera è Cristiano.
E, posta sui tetti e sui campanili indica ai fedeli che quello è un luogo di culto: una chiesa.

Per fare ciò, non c’è bisogno di essere artisti basta essere dei bravi artigiani del ferro o della pietra e avere un po’ di creatività. La stessa creatività che fa vedere draghi, serpenti, figure allegoriche popolare il cielo; insomma, come quando si dialoga con le forme cangianti delle nuvole e li poniamo a due passi dalla realtà come fedeli compagni di viaggio.

oltre il recinto

Oltre il recinto.

Il filo di ferro spinato delimita proprietà; appezzamenti terrieri di gente lontana. Gente partita per chissà dove e mai più tornata. Gente stanca della vita nei campi. Figli di gente che ha tentato la fortuna altrove tornano per affiggere un “vendesi” ora che gli ultimi affetti sono estinti.
Il latifondo è un peso, un’incombenza che non produce ricchezza, opulenza immediata. Meglio cedere. Cedere ai pochi contadini rimasti o alle nuove tecnologie che stravolgono il paesaggio, non fa differenza per le nuove generazioni cresciute su internet.
Ragazzi che non distinguono piante di cetrioli e zucchine, che non conoscono le fasi lunari note ai vecchi per la semina, il raccolto, le conserve.
Ragazzi e ragazze tatuate, col piercing nella lingua, che sbiascicano stancamente parole e si coricano all’alba anche dall’aspetto piacevole ma privi d’idee. Ragazzi abituati al consumo veloce di affetti e materie.
Oltre e dentro il recinto!
Ragazzi senza futuro… per colpa di chi o cosa?

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