Fa caldo! Dalla finestra spalancata arrivano folate di vento improvvise che sanno di mare.
Il mare... non lo amo eccessivamente ma m'immergerei volentieri.
Lo vedo, sta lì davanti a me; immobile, fa da specchio alle quiete luci del lungomare e riflette brillanti corone nelle ultime notti d'agosto.
Ho la gola secca.
La portafinestra della cucina, esposta a ovest, è illuminata da uno strano quanto inusuale bagliore. Apro il frigo. Verso un po' d'acqua fresca nel bicchierone e la stempero con quella a temperatura ambiente che sta sul tavolo. Lo strano bagliore che filtra dalla tapparella mi preoccupa.
Avrò dimenticato la luce del terrazzo accesa... no, l'interruttore è spento. Mah, forse qualche lampione? No! Non ci sono lampioni quaddietro... allora che sarà? Qualche ladro dai vicini?! -tiro sù la persiana e una splendida luna piena effonde un chiarore biancastro- Già, la luna! E chi l'avrebbe mai detto?
Una bella luna di panna illumina la terra, veglia sui sogni e li protegge.
giovedì 26 agosto 2010
mercoledì 25 agosto 2010
dall'ozio al gioco creativo
Importanza del gioco creativo
Il fare creativo dell’uomo come prosecuzione dell’esistenza.
L’uomo non inventa nulla semmai osserva e personalizza quanto esiste già in natura. Lo spirito di conservazione prima e quello ludico, poi, lo spingono a rendere i prodotti dell’universo conformi al proprio modo di essere e renderli funzionali. Cosicché, superato lo stadio meramente conservativo della specie, l’uomo, spende il tempo a giocare. Gioca con le parole, la materia e s’inventa una forma linguistica immediata che annulla i lessici parolai e visualizza il conosciuto con la figurazione, ovvero attua una magia e dialoga con qualcosa di familiare, inventa la finzione visiva!
Chi non ha mai giocato, nei momenti di ozio, a seguire i contorni della propria mano con una penna e lasciare la traccia su un foglio? Anche i popoli primitivi pare abbiano iniziato così: descrivendo le forme proiettate dalla luce del fuoco sulle pareti delle caverne con tizzoni o pietre; seguendo le orme delle sagome lasciate dai corpi sul terreno o semplicemente stilizzando con segni elementari quanto volevano raffigurare e trasmettere. Dunque, nasce dal nulla il linguaggio della figurazione, mondato da velleità; alchimie figurali evolutesi col tempo e a torto definito dono per pochi eletti.
È vero, è un’alchimia!, una magia elementare che continua a stupire per la semplicità immediata con cui dialoga e trasmette messaggi universali. Ma, non per questo difficile da apprendere. Decifrare e interagire. Per far ciò, è necessario sfatare il grande falso mediatico divulgato da sempre dagli addetti ai lavori, interessati, per molteplici motivi, a mantenere vivo l’alone poetico e geniale di chi opera nel campo dell’arte.
Dipingere è come scrivere: basta conoscere la sintassi. Ma la vera poesia sta nella semplicità, nell’onestà intellettuale di chi gioca con la grafia primordiale per puro diletto e per dialogare. A questi ultimi non serve conoscere ma sentire; esseri liberi di dilatare segni e colori. Modellare, scolpire fino a realizzare pensieri e parole, musiche e ritmi plastici; condensare e consegnare agli altri affinché continuino il gioco secondo canoni propri.
la scrittura come terapia
Si scrive per scaricare tensioni; condividere esperienze; confessare, cazzeggiare, imprimere idee, trasmettere (saggi?) consigli.
L’atto in sé annulla le solitudini e chi lo pratica attivamente ne è cosciente, sa di non essere solo. Quindi, davanti al computer, oggi, e alla macchina da scrivere qualche anno addietro, per sentirsi in compagnia di un amico sincero; un amico talmente sublimato da non poter essere reale. Sì, perché nella realtà non c’è nessuno così paziente da lasciarsi stressare in qualsiasi momento e sappia assorbire lagnose lamentele, frustrazioni (che altro andresti a confidare a un amico se non i pesi che ti opprimono il cervello e massacrano lo stomaco?) insomma, scrivere è una terapia che annulla la solitudine e allevia le ulcere!
Aiuta egregiamente a uscire dall’isolamento esistenziale e affiancata a giochi per la mente, attività fisiche, hobby, la scrittura, si fa più creativa grazie alla tecnologia web che regala a chiunque la possibilità di sentirsi scrittore, giornalista, opinionista, saggista… L’aggeggino magico acchiappa. Assorbe energie, tensioni: è il confessionale per eccellenza, altro che sedute dallo psicanalista! La rete, è una voragine famelica: ingoia e digerisce velocissimamente ma tiene ogni cosa in memoria ed è per questo che prende piede: chiunque può lasciare la propria traccia ai posteri anche senza aver fatto nulla di geniale per lo sviluppo della collettività. Come la lumachella di Trilussa: “La lumachella de la vanagloria, ch’era strisciata sopra un obbelisco, guardò la bava e disse: già capisco che lascerò un’impronta ne la storia.”
L’atto in sé annulla le solitudini e chi lo pratica attivamente ne è cosciente, sa di non essere solo. Quindi, davanti al computer, oggi, e alla macchina da scrivere qualche anno addietro, per sentirsi in compagnia di un amico sincero; un amico talmente sublimato da non poter essere reale. Sì, perché nella realtà non c’è nessuno così paziente da lasciarsi stressare in qualsiasi momento e sappia assorbire lagnose lamentele, frustrazioni (che altro andresti a confidare a un amico se non i pesi che ti opprimono il cervello e massacrano lo stomaco?) insomma, scrivere è una terapia che annulla la solitudine e allevia le ulcere!
Aiuta egregiamente a uscire dall’isolamento esistenziale e affiancata a giochi per la mente, attività fisiche, hobby, la scrittura, si fa più creativa grazie alla tecnologia web che regala a chiunque la possibilità di sentirsi scrittore, giornalista, opinionista, saggista… L’aggeggino magico acchiappa. Assorbe energie, tensioni: è il confessionale per eccellenza, altro che sedute dallo psicanalista! La rete, è una voragine famelica: ingoia e digerisce velocissimamente ma tiene ogni cosa in memoria ed è per questo che prende piede: chiunque può lasciare la propria traccia ai posteri anche senza aver fatto nulla di geniale per lo sviluppo della collettività. Come la lumachella di Trilussa: “La lumachella de la vanagloria, ch’era strisciata sopra un obbelisco, guardò la bava e disse: già capisco che lascerò un’impronta ne la storia.”
demenza e ignoranza nelle intolleranze razziali
Intolleranze leghiste? No demenza e ignoranza!
Alcuni territori e i suoi abitanti, chissà per quale forma di concezione o fato, ripetono a distanza di secoli gli stessi errori. Forse perché fanno parte del loro dna e quindi, prima o dopo, la particella genera imperfezioni e tumori nel corpo sociale.
E la lega nord, in quanto a proclami, atteggiamenti e intolleranze nei confronti dei “diversi da loro” lo testimoniano.
È nel 1693 che a Milano una grida concedeva a ogni cittadino la “libertà di ammazzare impunemente gli zingari e di appropriarsi dei loro averi, quali bestiame e denari”.
Mentre nel 1726, il Gran Maestro dei Cavalieri di S. Giovanni, in Germania, ordinava la condanna a morte immediata degli uomini e la fustigazione e l’espulsione per le donne.
In Germania, come si sa, le persecuzioni sfociarono nell’immane sterminio nazista dell’ultimo conflitto mondiale, dove, un numero inimmaginabile di persone costipava i campi di concentramento; lì, la follia nazista aveva imprigionato e decimato le razze ritenute dal loro ignobile delirio impuri, quindi ebrei, zingari, omosessuali e nemici politici del regime nazifascista.
E oggi? Cosa sta succedendo in Italia in Europa e nel mondo?
martedì 24 agosto 2010
nomadi, rom, sinti, gli zingari e gli altri
Zingari, rom, sinti e gli altri.
Il fenomeno “migratorio” delle tribù zingare, le cui origini si perdono nella notte dei tempi, interessa l’intera Europa. Di sicuro, l’opinione pubblica conosce due aspetti caratteriali delle genti di etnia zingara: i Rom, stanziali, che hanno deciso di fermarsi definitivamente in un luogo e convivere con gl’indigeni, e i Sinti, nomadi per eccellenza. Entrambe le realtà hanno codici etici affini alla cultura etnica d’appartenenza. Unico dato comune è riscontrabile nella sacralità della famiglia che vede l’uomo come capo indiscusso e gli anziani custodi di saggezza. Alla donna, in quanto madre, oltre alla cura della famiglia è assegnato il compito che oggi chiamiamo pr, public relation, vale a dire il contatto con l’esterno, cioè procacciare il sostentamento quotidiano con l’accattonaggio, la divinazione e anche i furti.
Secondo una antica leggenda zingara, il popolo nomade è “giustificato da Dio” e rubare non è peccato da quando uno zingaro rubò il quarto chiodo che serviva per la crocefissione di Gesù.
Ma, leggende a parte, i vari governi, nel tempo hanno adottato politiche differenti nei confronti della gente nomade. Nei loro confronti, si nutre diffidenza e a volte odio, raramente comprensione.
Ovviamente, parlare d’integrazione diventa una questione di lana caprina, visti i risultati ottenuti dopo anni di continui tentativi da parte dei municipi interessati al problema.
La storia del popolo zingaro è costellata di espedienti, piccoli furti, commerci di bestiame fino a qualche anno addietro, lavori artigianali per tirare a campare in libertà e mantenere le proprie tradizioni culturali, disdegnando la proprietà privata dei nonzingari, e il tentativo, per i rom, d’inserirsi nella società.
Nel 1987 la Calabria va incontro alle esigenze degli zingari accampati nelle periferie urbane e in sintonia con la Carta Istituzionale della Repubblica si dota di una legge mirata all’inserimento sociale degli zingari, a firma dell’allora assessore alla cultura e ai servizi sociali Rosario Olivo.
Oggi, in Francia, il governo Sarkosi, assecondando le proteste e l’intolleranza dei francesi attua una sorta di esodo volontario fornendo un biglietto di sola andata e una quota procapite ai nomadi che, giurano di ritornare perché meglio la precarietà francese che gli stenti e la fame dei luoghi d’origine.
Il fenomeno “migratorio” delle tribù zingare, le cui origini si perdono nella notte dei tempi, interessa l’intera Europa. Di sicuro, l’opinione pubblica conosce due aspetti caratteriali delle genti di etnia zingara: i Rom, stanziali, che hanno deciso di fermarsi definitivamente in un luogo e convivere con gl’indigeni, e i Sinti, nomadi per eccellenza. Entrambe le realtà hanno codici etici affini alla cultura etnica d’appartenenza. Unico dato comune è riscontrabile nella sacralità della famiglia che vede l’uomo come capo indiscusso e gli anziani custodi di saggezza. Alla donna, in quanto madre, oltre alla cura della famiglia è assegnato il compito che oggi chiamiamo pr, public relation, vale a dire il contatto con l’esterno, cioè procacciare il sostentamento quotidiano con l’accattonaggio, la divinazione e anche i furti.
Secondo una antica leggenda zingara, il popolo nomade è “giustificato da Dio” e rubare non è peccato da quando uno zingaro rubò il quarto chiodo che serviva per la crocefissione di Gesù.
Ma, leggende a parte, i vari governi, nel tempo hanno adottato politiche differenti nei confronti della gente nomade. Nei loro confronti, si nutre diffidenza e a volte odio, raramente comprensione.
Ovviamente, parlare d’integrazione diventa una questione di lana caprina, visti i risultati ottenuti dopo anni di continui tentativi da parte dei municipi interessati al problema.
La storia del popolo zingaro è costellata di espedienti, piccoli furti, commerci di bestiame fino a qualche anno addietro, lavori artigianali per tirare a campare in libertà e mantenere le proprie tradizioni culturali, disdegnando la proprietà privata dei nonzingari, e il tentativo, per i rom, d’inserirsi nella società.
Nel 1987 la Calabria va incontro alle esigenze degli zingari accampati nelle periferie urbane e in sintonia con la Carta Istituzionale della Repubblica si dota di una legge mirata all’inserimento sociale degli zingari, a firma dell’allora assessore alla cultura e ai servizi sociali Rosario Olivo.
Oggi, in Francia, il governo Sarkosi, assecondando le proteste e l’intolleranza dei francesi attua una sorta di esodo volontario fornendo un biglietto di sola andata e una quota procapite ai nomadi che, giurano di ritornare perché meglio la precarietà francese che gli stenti e la fame dei luoghi d’origine.
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