Nelle miniere di carbone, in Belgio

A MILLE METRI SOTTOTERRA.


Ntoni, seduto sul sedile in legno del treno pensava a quanto erano stati gentili con lui e la sua famiglia il sindaco, il parroco e il maresciallo dei carabinieri.

Anche in caserma, quando andò per ritirare il biglietto di sola andata per il Belgio, vide quel manifesto rosa che stava affisso alla posta e anche vicino al bar della piazza.
Il salario non è male. Pensava Ntoni. Ancora non sapeva cosa lo aspettava e quali erano le reali condizioni di lavoro e di soggiorno. Ma ben presto se ne rese conto.

Giunto al campo di baracche fatte con lamiera e assi di legno qualcuno gli assegnò un numero e il posto letto. Faceva molto freddo dentro le baracche che fungevano da dormitorio per gli italiani.

“A saperlo prima non sarei venuto! Gli disse un uomo tossendo. Altro che guadagnare soldi e carbone. Qua ci lasciamo la pelle! E non possiamo lasciare il campo prima di un anno. Sta nel contratto! Che ci vuoi fare gli accordi sono questi. Disse sempre tossendo l'uomo. Vieni. Ascolta. Non so se te l'hanno detto ma tu domani devi scendere in miniera con me. Copriti bene la bocca e il naso perché se respiri la polvere ti fotti i polmoni. Mettiti un fazzoletto o una pezza qualsiasi...”.

Ntoni abituato all'aria aperta non comprese nell'immediatezza anche perché l'uomo aveva uno strano accento. Lui era del nord. Ma ben presto capì.

Dopo venti ore di viaggio e qualche ora di sonno al freddo in una branda scomoda Ntoni fu svegliato dal suo compagno di lavoro. “sù dai che dobbiamo scendere nella buca”.

Là sotto il tempo sembrava immobile. Solo il pulviscolo nero e il rumore dei picconi lasciavano intendere che ci fosse vita in movimento. Ntoni stava perdendo coraggio e voglia di lavorare ad appena due settimane, fino a quando non incontrò quella che sarebbe stata sua moglie. Una ragazza magra nel fisico ma forte, caparbiamente forte nel portare a termine il suo compito. Lei era una “spingitrice”. Cioè doveva spingere dei carrelli con dentro una cinquantina di kg di carbone. E nonostante la fatica, accumulata nelle circa dodici ore di lavoro, aveva la forza di sorridere e di meravigliarsi all'uscita della miniera, quando dal buio passava alla luce, rosata anche se fioca, del tramonto.

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