Sanremo, specchio del tempo presente.
Tutti tecnici, artisti, musicisti, moralisti, sperimentatori, conservatori, esegeti del niente quanti pendono dalle labbra di chi calca la scena.
C'è nell'aria una nube tossica che contamina i social. L'overdose della spettacolare illusione elettrizza e porta a conoscenza anche chi non ha visto il festival.
Il palco è l'esatta copia della condizione umana che, lasciata libera a smanettare sulle piattaforme web, s'indigna per una battuta o si esalta per una performance spesso male interpretata anche questa ma consona alle proprie esigenze. Lo spettacolo È una questione di simpatia. Vicinanza emotiva condizionata da ipotetiche tensioni culturali affini.
Volutamente non ho inteso assistere alla lunghissima kermesse. Molte altre situazioni molto ben più serie meriterebbero le attenzioni e le energie sprecate dietro la discriminante estetica, verbale, razziale, musicale sciorinate sul palco dell'Ariston.
Alcune tematiche, serie e importanti, non abitano lo show effimero di Sanremo per cultura. Eppure sono state toccate e gettate in pasto ai videoti acefali.
Tutto è show!
Secondo gli autori che lottano per raggiungere vette numeriche assolute e promettono agli sponsor visibilità e business la qualità del programma è secondaria. Non deve essere necessariamente funzionale e in sintonia con la qualità artistica della gara canora.
Il festival della musica italiana non è più una gara di qualità. Sanremo è tutto tranne questo.
Sanremo è show-business. Sanremo è provocazione fine a sé stessa.
Questa gara se proprio vogliamo seguirla guardiamola con leggerezza e ironia senza pregiudizi, campanilismi e aspettative che inesorabilmente son disattese; scendiamo dai piedistalli e osserviamo con curiosità e distacco le stranezze in tivvù.