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giovedì 28 aprile 2011

a cuzzupa, tipico dolce pasquale calabrese


"cuzzupa"



Vacanze a parte, il periodo della pentecoste lascia ricordi indelebili nella mente di ognuno, basta l’odore delle cuzzupe calde, fatte con farina, grasso di maiale, uova, lievito e latte, che le donne calabresi impastano in un attimo e, raggiunta la giusta consistenza, la pasta assume le forme più disparate, ciambelle guarnite con uova sode, sette per il fidanzato, come auspicio per farlo sedere e non lasciare la casa della ragazza innamorata, uno, tre, ma anche nessun uovo per gli amici. Qualcuno per la suocera.
Cuzzupe a forma di ciambella, di bambole, cestini e lettere dell’alfabeto quando è indirizzata a una persona specifica.

“a cuzzupa”, dolce pasquale calabrese, assomma peculiarità antropologiche territoriali e qualità organolettiche singolari, che, alla stregua delle madaleine di proustiana memoria, ha il dono di riportare indietro nel tempo chiunque si trovi nei pressi di una casa o un forno.

Un tempo, le donne che non possedevano forni adatti alla cottura dei dolci pasquali portavano l’impasto crudo ma già modellato ai panificatori; disposte in grandi teglie simili a quelle delle focacce in uso ancora adesso, le cuzzupe coperte con canovacci, erano il simbolo della tradizione e della festa da consumare a pasquetta, in Sila o al mare.
L’aroma di cannella tracciava i percorsi dalle case fino al forno. Le donne consegnavano le “lande” al fornaio e aspettavano la cottura. Alcune le trasportavano sulla testa, dimostrando doti di equilibrismo. A volte, la signora Bianca, la moglie del fornaio, invitava a tornare più tardi, oppure suggeriva e assegnava dei turni all’alba, dopo la panificazione per snellire il via vai.

"a cuzzupa" prima di andare in forno nella teglia imburrata
ingredienti: farina 00; grasso di maiale o burro; zucchero; lievito; uova fresche; latte q.b. per impastare il tutto. infornare a 180°

domenica 13 settembre 2009

anni 60, 70 pausa caffè a catanzaro: u morzeddhu



Catanzaro, anni 60-70 e un po’ 80: ore 10.00/10,30
“A zia Angiulina”, “a Fregola” e altri osti scoperchiano i pentoloni. Nuvole di fumo avviluppano i volti. Gli avventori abituali “da' puticha” prendono posto. I camerieri, ma anche gli avventori stessi in quanto confidenziali amici, portano in tavola il mezzolitro di rosso, tovaglioli di carta spessa, peperoncino piccante e, per chi la chiede, gassosa. Nel frattempo zia Angelina gira il mestolo nelle frattaglie, sente la densità e riempie le pitte, che una volta farcite immerge nel sugo per insaporire abbondantemente le estremità.
L’odore intenso di sugo di pomodoro e di frattaglie di vacca condite con grasso animale si spande nei vicoletti del centro storico, gli artigiani e gli operai, ma anche gli impiegati non disdegnano e sospendono il lavoro per la corposa “pausa caffè”.
Oggi lo stile di vita è cambiato: pochi frequentano le bettole al mattino tra le 10/10 e 30, anche perché poche sono le cucine a conduzione familiare che tengono vive le tradizionali abitudini alimentari dei catanzaresi.

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