Ci vedevamo in via Luigi Rossi
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Finiti i compiti per casa, nel tardo pomeriggio, ci vedevamo in via Luigi Rossi, nella periferia a nord di Catanzaro con i compagni di scuola. Lì, nella campagna difronte al seminario S. pio X, il nuovo ospedale prendeva forma. Erano gli anni sessanta/settanta. Era il tempo dei primi amori. Degli sguardi lanciati da lontano. Era il tempo delle feste organizzate in casa tra coetanei e delle mamme attente, discrete gendarmi pronte a intervenire quando qualche burlone spegneva la luce mentre sul piatto del giradischi girava il fatidico lento.
Il bar “polo nord” di Saccà guardava sull’ospedale in
costruzione, quasi pronto per accogliere alcuni reparti e noi guardavamo le
ragazzine passare su viale pio X dalla piazzetta antistante il bar.
Li seguivamo, era il modo di fare di allora per corteggiare
le coetanee non compagne di scuola, quelle erano come delle sorelle; li scortavamo
fin dentro il seminario alla domenica, e nel cineforum dell’oratorio, dopo
essere stati in chiesa, si proiettava il film di Marcellino pane e vino. Nel
campetto sterrato correvamo dietro al pallone concentrati a vincere le partite
spaiate di un campionato dalla durata di una sola domenica. Lo spazio in cui
giocavamo a calcio nella campagna difronte il seminario era inibito ai non
addetti ai lavori perché adibito a
cantiere edile; il campetto non c’era più! Il costruendo ospedale civile avrebbe soppiantato il vecchio nosocomio di
via Acri rivalutando la periferia a nord
di Catanzaro.
“Saro. Memolino. Rino. Pino. Rocco. Lelè. Lino. Angela. Anna.
Rita. Silvana. … Renzo, Aldo. Gianni”
compagni di un tempo lontano non più ragazzi, ormai, ma padri e nonni
quasi tutti felicemente in pensione e altri alle prese con gli affanni che la
vita non lesina. C’è anche chi dorme tra
i cipressi il sonno dei giusti dopo una fulminante sincope.
“Ti ricordi di Nuccio… sta male ha la busta. La sacca. È stomizzato?!
Ed è vivo per miracolo. Anch’io sono stato operato al colon. Tutto è iniziato
con un dolorino all’addome ma fin quando ci raccontiamo i patuti tutto va bene …
ti ricordi quando abbiamo mangiato le patate dei porci? Ah ah ah ah . certo che
mi ricordo! Eravamo andati con le moto al paese. Siamo entrati in casa ma non c’era
nessuno. Erano in campagna e sul fuoco c’era il calderone che bolliva e dentro
delle patate. Le patate di pezzatura piccola le davamo ai maiali però erano
saporite condite con l’olio d’oliva, un pizzico di sale e l’origano.”
“Ni mangiammi quasi
tutti! Aha ahah. E poi è venuta tua zia e ha detto: chi facisti, nci dasti e
mangiara i patati do puorcu all’amici tua… potivi aprira a cascia cha nc’è u
pana chi spurnammu stamatina, tagghjiavi nu stuoccu e sotizzu o pigghijavi na
paleddha e lardu o pancetta e felliavuvu!”
“Bei tempi! E mò che fai? Niente. Sono in pensione. La mattina
presto, col fresco, faccio dieci giri di campo, poi faccio il nonno con i
nipotini e ho un pezzo di campagna: curo gli olive; pare che anche quest’anno
ci sia carestia di olive, sono tutte nere cadute e a terra per mancanza d’acqua.
Peccato facevano un olio buonissimo e ricercato. Tu che numero hai? chiedo puntando il display appeso sul muri del corridoio dell'ospedale. 36 e tu?
47! Dai forza, coraggio che ce la facciamo. Resisti qualche ora ancora. Siamo appena al numero 16 Tutto sommato
con la scusa delle analisi ci siamo incontrati … dopo quanto? 50, sessant’anni?”