Un mondo a parte è una commedia piacevole, semplice nella sua impostazione pregnante di rimandi a realtà impoverite dalla globalizzazione utilitaristica costrette a fare i conti con i freddi numeri impostati a basi strutturali messe a sostegno delle comunità. Quindi comuni e relativi servizi alla collettività. Dai numeri dipendono i servizi scolastici, la sanità pubblica, la manutenzione delle aree comunali. Non serve essere ancorati alle tradizioni, agli affetti che tengono vivi i cordoni ombelicali con i luoghi. Serve, invece, la quantificazione trasformata in euro di cittadini residenti e servizi da erogare.
La restanza. Termine coniato dall'antropologo Vito Teti per indicare la volontà di rimanere ancorati saldamente alle proprie origini e ai valori delle tradizioni tenute vive poeticamente è, secondo certi parametri, una semplice questione cullata dai sognatori e per questo di secondaria importanza. Le località perdono valore quando scendono oltre determinati parametri imposti dalle burocrazie.
Restare nei luoghi dell'anima è una necessità incongruente avvertita solo da poche persone. E quanti vivono con disagio il proprio stato s'incazzano contro chi tesse teorie poetiche ancorandole antropologicamente agli usi e ai costumi territoriali. Perché, in sintesi si fa la fame!
Simpaticamente cruda la reazione dei genitori contadini allorché contestano alcune teorie del maestro con la testa piena di teorie sulla restanza, sulla volontà del proprio foglio nel volere creare un'azienda agricola sui terreni lasciati in eredità dai nonni al padre e dal padre a lui . Rimandare poeticamente nei testi la dura vita dei campi e traslarla dalla realtà impoverita dai bisogni fino ad eleggerla a tesi, per chi vive il disagio, è una bestemmia.
Ma mettiamola così: quanto vive in media una persona? Qual è il potenziale di vita e i relativi
bi-sogni? Qual è il fine ultimo di tutti noi?
Beh, credo che nel film ambientato in una realtà periferica che potrebbe essere la sintesi di una località qualsiasi dell'entroterra italiana, i due interpreti, bravi e simpaticissimi, Antonio Albanese e Virginia Raffaele hanno saputo trasmettere il calore dei luoghi, l'umanità degli ultimi indomiti residenti che, nonostante i problemi insiti laddove si campa di sano appassionato duro lavoro, in una parola: dove si vive la terra!, la volontà di restare c'è. E deve essere protetta.
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