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venerdì 27 settembre 2024

Il vuoto. opera prima di G. Carpanzano

 





“Hai smontato i pezzi della tua vita e li hai rimontati giusti, in sintonia con il tuo modo di intendere i rapporti e le relazioni umane”.

L’epilogo come incipit ma senza rivelare, adesso si usa il termine “spoilerare” la trama e men che meno anticipare il finale del film.


Superata la fase emotiva, botta inferta dalla narrazione di un amore “particolare” tra due persone dello stesso sesso, passiamo alla fase due, cioè all’esercitazione letteraria definita “recensione”. Azione dal sapore sinistro che eleva o affossa l’opera d’autore.

Conoscere di prima mano la storia “originale” delle persone e dei nuclei familiari che compongono il bandolo della matassa narrante del film potrebbe essere dirimente ma non lo è.

 Gli innumerevoli rimandi alla vita reale traslata nella narrazione della filmografia è senza dubbio condizionante. E, sospeso il punto di vista personale, pur ravvisando inequivocabili attinenze tra narrazione e realtà, Come già scritto, è astrazione.



 “Il vuoto” è un’opera contemporanea ambientata nella sfera definita LGBTQ vissuta sulla propria pelle con tutto ciò che ne consegue.

Anzitutto corre l’obbligo di dissipare fraintendimenti e velleità in merito:

 Non sono un esperto del settore e neppure un critico cinematografico.

Amo l’arte e tutto ciò che è linguaggio creativo d’unione cosmica: Amore per la vita, propensione all’altro, comprensione. Fattori che mi hanno spinto a scrivere di getto le sensazioni emotive che la finzione scenica in questione è riuscita a trasmettermi.

 Nel primo post, scritto d’impulso e mosso dall’emotività della storia sono andato diritto al punto: il messaggio sociale, le ambiguità, l’ignoranza e la saccente condizione giudicante dei benpensanti nei confronti dell’ignoto che, nella fattispecie è una creatura “fatta in sintonia e somiglianza del Divino Progetto come ogni forma di vita che popola il globo terracqueo”: una realtà sconosciuta alle menti grette ma cromaticamente ricca di sfumature dagli inimmaginabili rivoli le cui terminazioni irrorano il fantasmagorico universo del cuore.

Ho tralasciato, dicevo, rapito dalla poesia insita, l’importante sezione organizzativa e tecnica che ha reso possibile la favola:

La storia autobiografica de “il vuoto”, opera prima, magistralmente diretta da Giovanni Carpanzano e ben interpretata dal cast di giovanissimi ma, consumati attori, esperti nell’arte della finzione scenica: Kevin Di Sole e Gianluca Galati nei ruoli principali; Valentina Persia, volto noto per le sue performance satiriche nel ruolo di Maria, madre autoritaria e decisionista che soggioga Marco; Paola Lavini, ottima interprete della madre comprensiva di Giorgio. E Anna, antagonista inconsapevole della storia d’amore tra i due, vittima sacrificale del comune senso del pudore. L’altra! Dalla bellezza tipicamente mediterranea, intuitiva come tutte le donne calabresi, costretta ad accontentarsi delle briciole pur di restare accanto a Marco, Mariana Lancellotti, interpreta il ruolo del terzo incomodo nella pièce teatrale.

E ancora: Alessio Petrolini, sceneggiatore. Raffaele Silvestri, fotografia. E Massimiliano Lazzaretti per la musica.

La storia è ambientata tra Catanzaro e Roma.

La fugace ripresa della facciata del teatro comunale è riconoscibile dalle sue vetrate che riflettono nei brevissimi fotogrammi lo squarcio di corso Mazzini; altrettanto brevi gli esterni girati sotto il monumento dei caduti davanti al tribunale in piazza Matteotti.

 È teatro con incursioni sceniche sul territorio, brevi puntate all’esterno confezionate per il piccolo e grande schermo.

E, a proposito di taglio teatrale, gli spettatori viaggiano tra le quinte e le platee del teatro comunale all’interno del Politeama in un batter  d’occhio.

Qualche squarcio marinaro calabrese. Nessuna ripresa su Roma capitale. Solo menzioni verbali per indicare la collocazione scenica degli attori nella narrazione. Una narrazione toccante. Che ripercorre il calvario subito da chi affetta da malattia e dall’entourage costretti ai viaggi della speranza fuori dalla propria città e regione.


La storia è forte! E per certi aspetti rischia d’implodere nella narrazione intimista circoscritta sui temi cari agli autori. Narrazione interpretata magistralmente dagli attori del cast.

Minimalista ma esauriente nelle relazioni sociali e familiari.

Particolareggiata nei drammi esistenziali. Mai volgare!

Poetici i quadri scenici sublimati dal filtro inconsistente della trasparenza delle bianche lenzuola che diventano filtri, simili a membrane protettive, placente tutelari costruite su misura per la rinascita sublimata di vite nuove.

Carente, però, se proprio vogliamo essere pignoli e devoti al sentimento d’appartenenza, di “quadri fotografici” e sceneggiature mozzafiato di cui la Calabria è ricca

Ovviamente ogni opera è fedele alle intenzioni dell’autore e quanto detto non inficia la sua valenza, tutt’altro!

 

mario iannino

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