“Hai smontato i pezzi della tua vita e li hai rimontati
giusti, in sintonia con il tuo modo di intendere i rapporti e le relazioni
umane”.
L’epilogo come incipit ma senza rivelare, adesso si usa il termine “spoilerare” la trama e men che meno anticipare il finale del film.
Superata la fase emotiva, botta inferta dalla narrazione di un amore “particolare” tra due persone dello stesso sesso, passiamo alla fase due, cioè all’esercitazione letteraria definita “recensione”. Azione dal sapore sinistro che eleva o affossa l’opera d’autore.
Conoscere di prima mano la storia “originale” delle persone
e dei nuclei familiari che compongono il bandolo della matassa narrante del
film potrebbe essere dirimente ma non lo è.
Gli innumerevoli rimandi alla vita reale traslata nella narrazione della filmografia è senza dubbio condizionante. E, sospeso il punto di vista personale, pur ravvisando inequivocabili attinenze tra narrazione e realtà, Come già scritto, è astrazione.
“Il vuoto” è un’opera
contemporanea ambientata nella sfera definita LGBTQ vissuta sulla propria pelle
con tutto ciò che ne consegue.
Anzitutto corre l’obbligo di dissipare fraintendimenti e
velleità in merito:
Non sono un esperto
del settore e neppure un critico cinematografico.
Amo l’arte e tutto ciò che è linguaggio creativo d’unione
cosmica: Amore per la vita, propensione all’altro, comprensione. Fattori che mi
hanno spinto a scrivere di getto le sensazioni emotive che la finzione scenica in
questione è riuscita a trasmettermi.
Nel primo post, scritto d’impulso e mosso dall’emotività della storia sono andato diritto al
punto: il messaggio sociale, le ambiguità, l’ignoranza e la saccente condizione
giudicante dei benpensanti nei confronti dell’ignoto che, nella fattispecie è
una creatura “fatta in sintonia e somiglianza del Divino Progetto come ogni
forma di vita che popola il globo terracqueo”: una realtà sconosciuta alle
menti grette ma cromaticamente ricca di sfumature dagli inimmaginabili rivoli
le cui terminazioni irrorano il fantasmagorico universo del cuore.
Ho tralasciato, dicevo, rapito dalla poesia insita,
l’importante sezione organizzativa e tecnica che ha reso possibile la favola:
La storia autobiografica de “il vuoto”, opera prima, magistralmente
diretta da Giovanni Carpanzano e ben
interpretata dal cast di giovanissimi ma, consumati attori, esperti nell’arte
della finzione scenica: Kevin Di Sole
e Gianluca Galati nei ruoli
principali; Valentina Persia, volto
noto per le sue performance satiriche nel ruolo di Maria, madre autoritaria e decisionista
che soggioga Marco; Paola Lavini,
ottima interprete della madre comprensiva di Giorgio. E Anna, antagonista
inconsapevole della storia d’amore tra i due, vittima sacrificale del comune
senso del pudore. L’altra! Dalla bellezza tipicamente mediterranea, intuitiva
come tutte le donne calabresi, costretta ad accontentarsi delle briciole pur di
restare accanto a Marco, Mariana
Lancellotti, interpreta il ruolo del terzo incomodo nella pièce teatrale.
E ancora: Alessio
Petrolini, sceneggiatore. Raffaele
Silvestri, fotografia. E Massimiliano
Lazzaretti per la musica.
La storia è
ambientata tra Catanzaro e Roma.
La fugace ripresa della facciata del teatro comunale è
riconoscibile dalle sue vetrate che riflettono nei brevissimi fotogrammi lo
squarcio di corso Mazzini; altrettanto brevi gli esterni girati sotto il
monumento dei caduti davanti al tribunale in piazza Matteotti.
È teatro con
incursioni sceniche sul territorio, brevi puntate all’esterno confezionate per
il piccolo e grande schermo.
E, a proposito di taglio teatrale, gli spettatori viaggiano
tra le quinte e le platee del teatro comunale all’interno del Politeama in un
batter d’occhio.
Qualche squarcio marinaro calabrese. Nessuna ripresa su Roma
capitale. Solo menzioni verbali per indicare la collocazione scenica degli
attori nella narrazione. Una narrazione toccante. Che ripercorre il calvario
subito da chi affetta da malattia e dall’entourage costretti ai viaggi della
speranza fuori dalla propria città e regione.
La storia è forte! E per certi aspetti rischia d’implodere
nella narrazione intimista circoscritta sui temi cari agli autori. Narrazione interpretata
magistralmente dagli attori del cast.
Minimalista ma esauriente nelle relazioni sociali e
familiari.
Particolareggiata nei drammi esistenziali. Mai volgare!
Poetici i quadri scenici sublimati dal filtro inconsistente
della trasparenza delle bianche lenzuola che diventano filtri, simili a membrane
protettive, placente tutelari costruite su misura per la rinascita sublimata di
vite nuove.
Carente, però, se proprio vogliamo essere pignoli e devoti
al sentimento d’appartenenza, di “quadri fotografici” e sceneggiature
mozzafiato di cui la Calabria è ricca
Ovviamente ogni opera è fedele alle intenzioni dell’autore e
quanto detto non inficia la sua valenza, tutt’altro!
mario iannino
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