Emancipazione e indipendenza economica sono sinonimi di libertà.
Emanciparsi da qualcosa significa liberarsene, non essere schiavo; e il pensiero positivo tende a far comprendere quanto sia importante emancipare l’uomo dalla schiavitù del lavoro inteso come attività coartante che tende a indurre sudditanza psicologica negli occupati e inoccupati in cerca di lavoro remunerato.
La globalizzazione, madre delle delocalizzazioni aziendali e produttive, è usata come arma di ricatto nelle società evolute, specie laddove il potere contrattuale, acquisito con lotte e sacrifici solidali, ha portato i lavoratori a un livello di emancipazione culturale oltre che economica.
Le ultime vicende tendono a far comprendere quanto l’emancipazione culturale sia pericolosa per alcune classi dirigenti. Dirigenti formati col pallino di chissà quale dottrina e che antepongono i profitti alla solidarietà quale vera essenza dell’intelletto umano. All’uomo stesso e alla sua sacralità. Alla famiglia. Ai giovani. Alla cultura.
La situazione sociale ed economica attuale è il frutto bacato di concetti cresciuti in ambienti infetti. Ambienti alimentati da egoismi e interessi personali famelici privi di scrupoli.
Le conseguenze delle scelte politiche, economiche, produttive e culturali lo dimostrano.
I proselitismi fuorvianti allontanano le menti dalla sacralità del lavoro quale strumento gratificante che completa l'uomo e lo aiuta a crescere; a migliorarsi e migliorare l'ambiente in cui vive.
Per evitare ulteriori danni sociali irreparabili è opportuno riportare il lavoro, alla nobile concezione mentale del fare, quale atto sacrale umano che ricollega l'uomo all'ambiente nella totale dignità esistenziale.
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