martedì 21 febbraio 2012

Totem e Feticci

Abbiamo conosciuto il selvaggio West nei film.

Quanta apprensione nelle sale buie dei cinema o nel soggiorno di casa davanti alla tivvù. La vecchia pellicola in bianco e nero testimoniava, fotogramma dopo fotogramma e rendeva vera la favola del selvaggio West tutta orientata a favore dei buoni yankie e inneggiava ad un modello di vita culturalmente agli antipodi rispetto al nostro.
Abbiamo appreso come e perché le tribù indiane davano forma e anima ai tronchi degli alberi trasformati in totem e siamo cresciuti con le immagini severe del pensiero elementare privo di retorica che invogliava a rammentare i criteri eroici e a volte magici, tante vite fa, ma questa è un'altra storia da raccontare in seguito, derivanti dalla saggezza degli anziani.
Adesso, visto che si parla di totem è bene ricordare cosa significhi per buona parte di noi la stagione dei film western. Parlare per sommi capi di sensazioni e atmosfere comuni dei ragazzi degli anni sessanta messi davanti a modelli immaginati o riflessi.

Adolescenziali fantasie hanno accompagnato il popolo Navajo nelle danze attorno al totem prima della battaglia e, di rimando, sospiri di sollievo si sono levati all'unisono al suono della carica dei “nostri” eroi o del “giovanotto” che incurante dei pericoli li affrontava per salvare l'innocente. Eroe era anche il guerriero pellirossa che rispettava l'avversario, il nemico, la donna del nemico e allevava come un figlio l'orfano dai capelli di sole disperso e trovato nella prateria dopo la battaglia.

Nello sfarfallio chilometrico della magica striscia dentata i valori sacri accompagnano la vita degli uomini del vecchio West.
Mondi mai esistiti nella realtà ma che hanno tramandato in quei film dal sonoro incerto modelli comportamentali distanti anni luce dall'attuale. Unico dato in comune, cordone ombelicale mai reciso che connota le nascite di tutte le guerre: l'avidità del potere.
Buoni e cattivi, distribuiti in entrambi i poli, fomentavano e continuano a farlo, i cuori ignari nascondendo le verità e le mire personali; ovviamente, malumori e guerre non dimostrano di essere strumenti di solidarietà nei confronti dei deboli ma offensive che servono per saziare l'avidità di qualche scaltro burattinaio sempre pronto ad anteporre il proprio interesse alla tranquillità sociale.

arte e cultura a ore12

I totem della società civile contemporanea, a differenza di quelli arcaici, sono elementi blasfemi assemblati con forme pensiero devianti e rappresentano i feticci di un consumismo insostenibile basato su mercimonio e devianze strumentali dilaganti se paragonati ai pali totemici tribali, in quanto, non ricordano più nobiltà d'animo e eroicità ma, appunto, la totale pochezza di pensiero costruttivo.



domenica 19 febbraio 2012

siamo tutti Celentani

Ha biglietti della metro? (chiedo all'edicolante)
per dove? (mi risponde lui) sa sono cambiati i costi dei biglietti.

A volte basta una fermata per pagare 20 centesimi in più o in meno e poi non dura 90 minuti come prima. Una volta timbrato vale solo per quella corsa. Certo che la crisi ci ha messo davvero alle strette.
Anche il canone della RAI è aumentato...
Sì, dopo gli anni dello scialacquio siamo costretti a fare i conti in tasca a tutti e se vogliamo che il servizio pubblico continui ad essere tale qualcosina deve pur aumentare.

Ognuno dice la sua, lì davanti all'edicola, nella piazzetta della fermata della metro. C'è chi dà ragione a Celentano e chi invece si trova d'accordo col comunicato dei vertici RAI; chi appoggia l'operato del governo Monti e chi tira in ballo i figli dei ministri impegnati come ricercatori nelle stesse università dei genitori.

Se penso che non in tutti gli Stati i cittadini possono criticare liberamente e in pubblico il sistema politico economico e sociale del Paese in cui vivono, beh, devo dire che vivere in Italia è un privilegio! E nonostante i “predicatori” convinti dei propri credo religiosi o politici, c'è una soluzione democratica per evitare sermoni e coercizioni di ogni sorta, basta non far entrare in casa i testimoni di Geova, cambiare canale televisivo, leggere un buon libro e stare in compagnia delle persone sagge. ... ma forse godiamo anche di queste polemiche, perchè sotto sotto siamo tutti un po' Celentano.


mercoledì 15 febbraio 2012

Sanremo, Celentano ha deluso

Celentano ha deluso. Non è stato rivoluzionario o profeta come qualche anno addietro. L'atteso intervento, tra l'altro pompato eccessivamente dai media, non ha aggiunto niente di nuovo a quanto ha fatto l'ultima volta che si è visto in televisione. Non è stato in grado di stupire, superare le aspettative di quanti attendevano il suo messianico intervento sanremese. Ha ripetuto le stesse scene apocalittiche di una guerra poco convincente anche dal punto di vista cinematografico data la staticità della finzione visiva che collegava il tutto ad un gioco preordinato e lo rendeva simile alle guerre messe in scena dai nostalgici storici.

Il suo intervento è risultato sfuocato, traballante e antidemocratico con qualche punta polemica resa granitica dall'esternazione di voler eliminare le testate giornalistiche vicine al Vaticano: Avvenire e Famiglia Cristiana, rei di non predicare il Vangelo, la Parola, ma interessati ai temi della politica.
Qualcun altro potrebbe invece obiettare che non è tanto l'indirizzo ideologico a infastidire il mondo cristiano, quanto la poca incisività dei giornali nei confronti di una classe dirigente insignificante, inadatta alle esigenze del Paese.
Adriano Celentano, nella sua “ingenua esternazione” ha sottovalutato l'importanza della pluralità intellettuale. E se ha ricordato la “Sovranità del Popolo” ha dimenticato di rispettare “La Libertà di Pensiero”. Magari, avrebbe potuto infilare il coltello nella piaga del Libero Arbitrio condizionato dai cattivi maestri, dalle necessità imposte, dalla mancata crescita culturale di quel largo strato sociale drogato dai sogni effimeri enfatizzati da certa comunicazione.
A parte qualche blasfemia inutile, lo spettacolo del palinsesto, non ha offerto altre novità. Tutto come da copione.

lunedì 13 febbraio 2012

Grecia: cultura e dignità vanno a puttane

Vassilis l'ho conosciuto negli anni '80. Lui, in quegli anni era dedito alla politica e al sindacato. Era venuto dalla Grecia per studiare agraria a Firenze; Vassilis, originario di Salonicco, tornava spesso per trovare la sua vecchia madre. Possedeva anche una casa e qualche ettaro di terra che gli curava un contadino dalle parti di Patrasso. Era un caro amico e spesso parlava della sua terra.
È una terra povera! diceva. Una terra bellissima che amo e la Calabria me la ricorda tantissimo, per questo sto qua, ma non appena mi è possibile fitto una barca e faccio un giro nel Mediterraneo. Voglio visitare le coste e le isole della Grecia, ma non da solo, insieme agli amici.

Penso spesso ai suoi sogni; alla rotta che avevamo tracciato.


Oggi, nel vedere le fiamme lambire alcuni edifici del centro di Atene, le guerriglie scoppiate anche a Salonicco, le molotov lanciate sulle forze dell'ordine in tenuta antisommossa, i lacrimogeni e i manganelli scendere rabbiosi sui corpi isolati ho pensato a lui, al mio amico Vassilis, all'amore che aveva per la sua terra e all'assurda equazione del profitto, alle banche che per sopravvivere ammazzano scientificamente popoli e sogni.

Caravaggio, Courbert e il nulla contemporaneo

DA CARAVAGGIO PASSANDO PER COURBERT FINO A ELISABETH CIBOT


Ne è passato di tempo, da quando Caravaggio prendeva per modella la sua compagna, una popolana scalza per dare fattezza al sacro. Non solo le madonne ma tutta l'opera caravaggesca ha un dato straordinario importante: la realtà! La stessa coltivata da Courbert molto tempo dopo come tema del suo lavoro, la pittura non asservita all'ideale umano ma alla realtà, al tempo e al luogo. Per entrambi, se una mela della composizione è bacata nella realtà lo è anche sulla tela.
Per il Maestro della luce e delle ombre, Caravaggio, uomo dal carattere forte, la piaggeria strumentale del vissuto quotidiano non deve riflettere una visione asservita al gusto comune, nonostante la cultura del tempo improntata sulla tradizione orale e visiva delle tematiche indottrinanti lo imponesse, ma, in pittura, deve rappresentare la realtà in tutta la sua crudezza.
oggi, nell'arte contemporanea, ormai è divenuta prassi non la maestria pittorica e neanche l'ingegno creativo ma lo choc mediatico che una qualsiasi operazione inserita nell'area culturale (arti visive, musica, spettacolo, pubblicità) provoca nella massa.

Infatti , in Francia scatta la polemica per una statua che dovrebbe ricordare le fatiche delle lavoratrici italiane in una fabbrica di piume di struzza. La polemica scatta non per il tema ma per la modella che dovrebbe rappresentare idealmente il lavoro delle donne nelle fabbriche: la premiere dame Carla Bruni, moglie del presidente Nicolas Sarkozy e da pochi mesi mamma della piccola Julia, che come tutti sanno è italiana e per questo, secondo chi ha orchestrato l'operazione potrebbe condensare il tutto.

L'ex modella e cantante per il momento ha risposto di sì alla proposta che dovrebbe vederla prestare le fattezze a una statua di bronzo alta circa 2 metri e mezzo nell’insolita veste di operaia italiana, in omaggio, appunto, alle plumassiere, le operaie, molte delle quali italiane, che lavoravano le piume a Nogent-sur-Marne; anche se ancora non è sicura la realizzazione del progetto (frutto di un’idea di Jacques JP Martin, membro dell’Ump (il partito del presidente Sarkozy e sindaco di Nogent-sur-Marne, un comune francese dell’Ile-de-France) perché l’iniziativa, com'era prevedibile ha scatenato molte polemiche visto che il costo di 80mila euro dovrebbe essere finanziato per metà dai contribuenti locali.
Per ora, la premiere dame avrebbe accettato di posare per la scultrice, Elisabeth Cibot, di cui apprezza le opere, ma «soltanto come modella», non come first lady, torna cioè «al suo vecchio lavoro. Le viene chiesto spesso di posare e lei spesso accetta». Quindi, per l’entourage della premier dame, «si sta sfruttando politicamente qualcosa che non ha nulla a che fare con la politica».

Sarà, ma, non è per irriverenza nei confronti della grande Arte di sempre e dei Maestri del passato ai quali va tutta la mia incondizionata stima per la cultura e la storia che hanno saputo tramandarci con sacrifici e fatica, superando la bagarre politica e mediatica della vicenda, chiedo: è possibile che nel 2012 ancora si debba ricorrere alla nobile arte statuaria figurativa per celebrare eventi contemporanei chiosanti tematiche serie utilizzando cloni di personalità note? È questo che intendiamo per arte?
Eppure, se rivisitiamo l'Arte del passato, i Maestri per significare la devozione religiosa nelle azioni consuete della quotidianità rappresentavano la fine di una giornata lavorativa e trasformavano il lavoro stesso in preghiera nell'ora del tramonto, al rintocco del Vespro con semplice ma estrema densità linguistica, segno di una pittura totalizzante dell'animo umano che fondeva le sue radici nel lavoro e nella socialità del tempo.

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