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mercoledì 18 aprile 2018

Cz: Lamanna e Molè in mostra al S. Giovanni

Il complesso monumentale del S.Giovanni in Catanzaro è una struttura architettonica di origine normanna con influenze bizantine esaracene.
Nel xv sec. Il castello, a causa delle diverse incursioni dei catanzaresi che si ribellavano al conte Centelles, cadde in rovina.

La storia ci dice che alcuni materiali del castello furono utilizzati per edificar la Chiesa dei SS. Giovanni Battista e Evangelista e divenne sede di una delle più importanti confraternite della città; la Congrega dei Bianchi di Santa Croce (1563) con l'Hospitio (1569) e il convento dei Teresiani (1645). Questi ultimi due edifici furono in seguito trasformati in caserme e poi in carceri.
Dal 1998, con una mostra dedicata ad Andrea Cefaly, il Complesso del San Giovanni è trasformato ancora una volta dalla volontà politica e amministrativa cittadina. Diventa un polo attrattivo culturale i cui spazi sono contenitori di arte visiva e convegni.

Nel 1999, con la mostra dedicata al Cavalier calabrese, nato in Taverna, Mattia Preti, il Complesso acquisisce di fatto il titolo prestigioso di polo culturale e espositivo fra i più importanti dell’Italia Meridionale. E’ questo il ruolo che oggi il Complesso detiene e, grazie alla suggestività del luogo e all'ampiezza dei restaurati spazi espositivi, ospita anche opere di pittori locali, quali Andrea Cefaly da Cortale, collezione donata dalla famiglia Lanza.

Lo spazio è gestito da un gruppo di ragazzi. Ma non è di questo che voglio parlare. D'altronde, per saperne di più basta andare sul sito ufficiale del comune di Catanzaro.

Oggi mi trovo qui perché attratto dalla mostra di due storici compagni pittori coi quali ho condiviso alcuni momenti della mia giovinezza: Gioacchino Lamanna e Francesco Molè.

Il piano terra del complesso monumentale è dato in comodato all'università.
Salite alcune rampe di scale si accede alle capienti sale dove sono esposti i dipinti.
È ancora presto er fare un resoconto, ma, secondo le notizie di Franco Molè, la città ha risposto benissimo all'evento. "La sala conferenze era gremita e i visitatori facevano fatica a stare in quei luoghi fisici e apprezzare i lavori pittorici -mi dice Molè-".


Parliamo un po' dei tempi passati, dei percorsi pittorici e degli amici che non ci sono più.

Entrambi, Lamanna e Molè', sono e trattano con metodiche e sensibilità differenti temi figurativi.
Gioacchino ama il paesaggio e le figure. Molti scorci catanzaresi sono esposti. Vedo anche un pezzo del laghetto del parco della biodiversità. Cavalli. Attimi di intimità familiare: le figlie, la moglie, tanti scorci della sila e della vecchia Catanzaro.

Lamanna ha un'ottima mano e un superbo colpo d'occhio. La sua tavolozza e solare, pulita. Riesce a raccontare attimi visivi sospesi tra poesia e realtà.

Molè ha una tavolozza sfumata. Il pennello o lo sfumino e i tamponi lasciano tracce di pitture delicate sui supporti.
Da qualche tempo si dedica allo studio dei ritratti. Volti femminili si affacciano. Fanno capolino. Ammiccano dentro e oltre le cornici.

Non vado oltre. Il mio scritto vuole essere uno stimolo alla partecipazione.
La mostra rimane aperta fino al 10 maggio. Dalle 10 e 30 alle 14,00 e dalle 17,00 alle 20,00.

venerdì 1 giugno 2012

gli spazi elastici di Pino Pingitore




Il gesto di Pino Pingitore è la risultante di un'azione pittorica dalle radici profonde maturata nel tempo. E nonostante ci sia un certo rigore personale si riscontrano citazioni storicizzate che vanno dall'astrazione geometrica di Mondrian alle velature di Morris. Le opere esposte nella galleria catanzarese “arte spazio” si prestano al modello di lettura citazionistico per l'impalcatura consolidata alla continua ricerca dell'equilibrio spaziotemporale geometrico che man mano si spande fino a diventare ombra, luce, trasparenza, elementi, comunque, condizionati dalla volontà dell'autore.

Il modo di fare pittura di Pino mantiene i canoni dell'artigianalità pittorica del gesto.
Difficile definirlo o associarlo ad una corrente specifica, a qualcosa di già consacrato. Ecco, sì, si possono fare delle considerazioni, contestualizzare il lavoro di Pingitore nell'atemporalità linguistica dell'arte ma niente di più.
Come già accennato, le opere esposte suggeriscono poetiche conosciute, quali l'astrattismo geometrico che prende il via da Mondrian, ma gli spazi elastici di Pino Pingitore per certi aspetti riconducono anche alla pittura velata di Morris.
In Pino le velature e le linee di colore seguono un andamento quieto, rilassante anche nei toni. E non tragga in inganno la presunta assenza della figurazione che vuole l'esaltazione delle forme conosciute definite iper nelle ultime tendenze o personalizzate nell'espressionismo! La pittura di Pingitore è musica lieve che induce a seguire con lo sguardo e con l'anima la fluida essenza degli spazi corporei ma eterei dei supporti che accolgono e rilasciano meditata sensibilità.
Inutile, quindi, tentare assonanze, l'artista cita solo se stesso.

mercoledì 4 gennaio 2012

Entropia della visione in Fioti, Aprile, Masia


Con il termine entropia si esplicita l'assenza totale del concetto di dimensione, estensione, formato e quantità; quindi, qualsiasi concetto formulato è impreciso se non addirittura incomprensibile se comparato ad altri sistemi assoluti, in quanto, essendo l'entropia la misura del disordine, non disciplina un determinato concetto ma lascia spazi a intendimenti variabili.
Detto ciò, quale sistema concettualizzato dai saperi accademici può, in un certo qual modo, adattarsi all'instabilità del gioco creativo se non l'entropia?
Anche se nel campo dell'arte le variabili segniche e o strutturali possono essere manipolate dalla verbosità accademica o fumosa dei mercanti, non è detto che questi conferiscano all'opera, con l'entropia della parola, il pathos empatico che intercorre tra artista opera e fruitore.

L' “arte” è per sua natura un gioco antropico in cui, all'inizio, la forma, il colore e le altre caratteristiche fisiche del gesto, sono elementi ben classificabili e determinano, ancora per poco tempo, la singolarità del segno iconico che, in ossequio ai canoni preordinati dal sistema codificante della disciplina dei segni, ovvero la semiotica, classifica e rende intellegibile la componentistica iniziale, portata all'estremo dalla fusione degli ingredienti usati per dare libero sfogo all'assemblaggio creativo e conferire nuovo pathos al linguaggio della visione.
Insomma è come stare in equilibrio precario. Essere sull'orlo di un precipizio e non sapere se la caduta si trasforma in slancio vitale che incita al volo oppure no.
I lavori di Erminia Fioti e Anna Aprile disseminati giocosamente negli spazi della galleria 68 suscitano simili pensieri e per certi aspetti riconducono a quell'arte brut che fu ricerca poetica e battistrada per nuovi orizzonti linguistici dell'arte contemporanea riconducibile alla sensibilità di Dubuffet.

Sul precipizio” è la rassegna visiva in corso nella galleria 68 in via Lucrezia Della Valle di Catanzaro, che mette a nudo l'anima di due donne e il tecnicismo di un uomo. tutti e tre condensano i rispettivi “umori” nel gioco creativo della pittura: Erminia Fioti, Anna Aprile e Roberto Masìa.

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