“Cchi voliti a capureddha o a coratella?”
Oggi il macellaio fa questa domanda: preferite la testa oppure il cuore col polmone e i fegatini? E sì, chi compra il capretto per il pranzo dell'Immacolata deve prendere la testa oppure il cuore e i polmoni dell'animale. Non si butta niente!
Mentre un tempo gli scarti, cioè le parti meno nobili del capretto, erano il piatto forte per le famiglie povere ed erano venduti a prezzi irrisori e a volte date come moneta di scambio ai lavoranti e garzoni di bottega. Un po' come il morzello ricavato dalle interiora dei bovini macellati che venivano distribuite ai lavoranti del macello comunale e le donne, facendo di necessità virtù, nonché le mamme catanzaresi, seppero elevare a eccellenza gli scarti "limmijati".
Così come l'ottimo capretto al forno, detto anche "sbrigogna mugghieri" per la misera resa quantitativa, ‘a coratella è tradizionalmente il piatto della festa dedicata a Maria Immacolata che si gusta sulla tavola della tradizionale cucina catanzarese.
La cucina povera calabrese sfrutta e esalta le parti meno nobili degli animali “sacrificali". Li elabora sapientemente. E aggiungendo in cottura gli aromi appropriati ne esalta le peculiarità organolettiche.
La giornata dedicata all'Immacolata è passata da pochi giorni e, come da tradizione, le parti molli del capretto bollite attendono il loro turno.
Dopo la tijana, piatto principe consumato il giorno dell'Immacolata, è il turno della “coratella” oppure “da’ capureddha” a seconda delle priorità date in famiglia nel consumo delle pietanze tradizionali.
Solitamente la testa, “a capureddha" tagliata a metà e impanata, è messa a cuocere insieme al capretto in forno mentre per la coratella si segue la falsa riga della ricetta del morzello e si mangia nella pitta.
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