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lunedì 9 gennaio 2012

i linguaggi del corpo in arte

Per gli uomini, piangere in pubblico ma anche in privato, è sinonimo di debolezza. Il pianto è un sentimento prettamente femminile che non si addice al macho perciò deve essere represso se non si vuole fare una figuraccia.
Ampliando il concetto, anche l'uso indiscriminato del nudo diventa una sorta di blasfemia contro il comune senso del pudore. I pubblicitari ne sanno qualcosa, tant'è che sfruttano la reazione del pubblico per fare della comunicazione visiva una sorta di arma a doppio taglio. Anche alcuni cosiddetti creativi impegnati cavalcano le emotività costruite da educazioni manichee per proporre sul mercato della cultura alta le proprie opere. Senza entrare nel merito dell'etica, altrimenti cadremmo nel tranello educativo imposto dalle civiltà d'appartenenza, nel linguaggio creativo, appunto, le dicotomie concettuali sono assenti per definizione. L'artista tratta il corpo come un qualsiasi altro strumento del proprio bagaglio semantico. Magari in antitesi alle vicende linguistiche correnti.
Nella costruzione dello spazio creativo non si deve sottovalutare la libertà espressiva, l'assenza totale di regole preconfezionate. Anzi, è proprio dall'anarchia creativa che nasce l'opera d'arte. Volendo rafforzare il concetto, potremmo ricordare i maestri del passato. Ripercorrere la vita di Picasso, Cézanne, Mirò, Modigliani... l'elenco sarebbe lunghissimo e sarebbe una fatica inutile citare tutti gli artisti che hanno fatto la storia dell'arte fino ai giorni nostri. Basta pensare e convenire che alla base del gioco creativo, sì, ci sono delle pulsioni dettate dall'ambiente esterno che, indotte e assorbite dalla società nella quale si vive vanno a intasare il microcosmo personale dell'artista, decodificate e traslate assumono valenze alte decontaminate dalla volgarità.




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