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giovedì 17 dicembre 2009

La cultura è un farmaco di automedicazione, da banco!


Tempo e materia nei sud del mondo.


Il tempo è l’ordine di misura che concorre a comprendere il fare dell’uomo in ogni suo aspetto teorico e pratico.
Quasi tutti gli artisti hanno a che fare col tempo. Il lavorio del tempo è sotto gli occhi di tutti ma non tutti osservano la materia, il colore, la vegetazione, l’aria: la vita!
Per l’artista, l’atto creativo è la conseguenza logica di molteplici riflessioni suggerite dal vissuto; riflessioni, che rivisitate dalla propria sensibilità, trasformano in riverberi poetici quanto la natura ha offerto ai sensi.
L’osservazione riflessiva sedimenta esperienze. Strati di conoscenza, accatastati nel subconscio, aspettano la scintilla creativa, il gesto liberatorio che, se pur semplice, induce a ulteriori analisi o suggerisce probabili soluzioni.
L’arte informale, liberata dalla figurazione pittorica, gioca con le paste, gli oggetti d’uso comune, i segni; ma, all’occorrenza si riappropria dei simboli della figurazione; rivisita le immagini pubblicitarie, le inserisce in contesti narrativi assurdi, ironici, a volte violenti. La violenza creativa è catartica. Non distrugge lessici consacrati per il gusto di annientare concetti contrari alla personale visione di una qualsiasi corrente artistica. No! Non è questo il proposito di chi fa arte, semmai è il venditore di “bolle” che proietta rutilanti parole per guadagnare visibilità o denaro. Chi fa arte lo sa bene!

L’operatore culturale non è un bohemien romanzesco, è un uomo che vive la contemporaneità del suo tempo appieno. Partecipe del cammino comune, l'artista propone, attraverso il suo fare, concetti semplici, rappresentazioni mentali dimenticate, soffocate dall'egoismo umano cresciuto a dismisura secondo i canoni consumistici correnti.
Idee e concetti ambigui, sovvertiti dalla bramosia economica, sono da ritenersi anche le operazioni “culturali fini a se stesse”, vale a dire quelle rappresentazioni stanche, composte di collezioni private che mischiano lavori di vecchi mostri sacri che, senza mai proporre coraggiosamente un valido artista locale al resto del mondo, allestiscono enormi macchine mediatiche per sublimare l'evento.

Così facendo, attraverso la riproposizione di minestre riscaldate, passate alla storia e quindi conosciute e divulgate in tutte le salse, gli organizzatori di grandi eventi culturali diseducano le masse ancorandole a concetti vecchi. È inutile riempirsi la bocca di numeri e visite pilotate.

La cultura è un farmaco di automedicazione, da banco, e non è necessaria la prescrizione del medico di turno legato a un qualsiasi collegio elitario.
La classe dirigente che ama davvero i conterranei ha il coraggio di cercare e valorizzare le intelligenze locali non supportate dai nomi altisonanti del mondo della cultura; non guarda ai larghi consensi immediati e va alla ricerca di quanti spendono sane energie per migliorare la Calabria.


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