“Quandu vitta a serpa chjiamau a santu Pavulu”.
Quando vide il serpente invocò san Paolo. È una forma verbale popolare antica che sta a significare la vacuità del pensiero umano difronte ai pericoli nonostante le spocchiosità mentali degli individui.
Il vecchio detto nasce dalla presunzione di certuni nei confronti dei riti sciamanici adottati dai contadini o presenti nelle civiltà arcaiche. Riti propiziatori officiati prima della semina, per un raccolto abbondante o, come in questo caso, “esorcismi” battesimali celebrati a favore dei soggetti inermi per ingraziarsi le forze insidiose attive e in agguato, visibili e invisibili.
Spiego:
Un tempo, quando le famiglie al completo collaboravano ai lavori dei campi era normale assistere a scene che di poetico non avevano niente ma, stavano nell'ordine giornaliero delle attività. Quindi era naturale vedere un lattante adagiato all'ombra di un albero mentre genitori e fratelli maggiori lavoravano la terra attorno.
Non era abbandonato a sé stesso. Non era da solo, ma costantemente monitorato; sotto gli sguardi vigili dei familiari e preso in braccio per la poppata dalla mamma nei momenti prestabiliti era al sicuro ma avrebbe potuto essere esposto a qualche, se pur minimo, rischio. Sarebbe bastato un attimo e …
ma torniamo alla scena della famiglia tipo:
Il ruolo delle donne era, diremmo oggi, sottostimato? No. Non lo era! Ogni decisione importante spettava a lei. Era a lei che si rivolgeva il marito per consigli domestici inerenti la conduzione della casa ed era specificamente lei che curava l'educazione delle figlie ché le indirizzava in tuttto persino nell'arte del ricamo necessario per impreziosire i tessuti del corredo nuziale quando non erano antrambe impegnate nel lavoro dei campi.
La vita dell'intera famiglia si svolgeva principalmente nei campi o nell'orto attorno casa a contatto con la natura che, comunque, a volte poteva riservare brutte sorprese. La paura maggiore che attanagliava i pensieri consisteva nella possibilità che qualche serpente attratto dall'odore del latte potesse minacciare i lattanti lasciati all'ombra prima e dopo la poppata.
E qui veniva in soccorso la pratica dello sciamano:
“U nciarmatura” sapeva officiare il rito propriziatorio che teneva lontani i serpenti dalle persone.
Nell'immaginario collettivo il “sacerdote” vestiva un saio in tela di iuta e aveva dei serpenti neri in un sacco sempre in iuta. La tela di iuta la ricavava lui stesso attraverso la lavorazione della ginestra, processo noto all'intero mondo contadino.
Era compito della mamma chiamare “U nciarmatura” e lui, remunerato coi prodotti della terra apriva il sacco mentre pronunciava un'incomprensibile preghiera. Il serpentone nero appariva tra il timor panico degli astanti, si attorcigliava alle sue braccia e da lì attorno al collo del fanciullo. L'odore della bestia, secondo le credenze, sarebbe rimasto per tutta la vita simile all'imprinting dei cani che li rende riconoscibili e li lega al branco.
La memoria visiva fortifica i legami. La poesia li sublima. L'esistenza è il perenne interrogativo mai risolto. L'incognito fa erigere idoli, nascere preghiere e alimenta i sogni e le attese
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