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giovedì 9 giugno 2022

Mario Martino, U Stampatura, poeta catanzarisa

 


In certi agglomerati l'appartenenza è determinante, quasi una situazione identitaria esistenziale non geografica ma dell'anima. Essere, appartenere e radicarsi in un ambiente ben definito e strutturato dà sicurezza specie quando si è ragazzi. E lui, Mario, orgogliosamente si dichiarava “do stadiu”.

Carnagione chiara. Occhi chiari e sempre un bel sorriso sulle labbra che gli illuminava il volto.

Ci incontravamo spesso. D'altronde il rione stadio era piccolo e i punti d'incontro obbligati facevano sì che la vita sociale diventasse familiare.

In questo clima è cresciuta la sua e la nostra sensibilità.

“... e picculu, tantu cchi eru beddhu mi pigghiaru pèh a pubbricità da Plasmon!”. “daveru u dicu daveru!” “ma sì nu vavusu Marie'” “on mi cridi tu giuru subba u bena e mammita” queste le schermagli nel bar “Biafora” tra il suono delle campanelle dei flipper e qualche 45 giri a palla del juke box.

Tre anni. Solo tre anni la differenza di età tra noi. E a quel tempo erano molti. Nonostante ciò c'era una buona intesa. Ma tre anni di differenza proiettavano nell'età adulta e nel mondo del lavoro dei grandi gli adolescenti. Apprendisti meccanici, carrozzieri, imbianchini, elettricisti questi gli sbocchi di molti ragazzi dello stadio ma lui intraprese la strada dello stampatore.

“Cchi fai?” “fazzu 'u stampatura!”. Rispondeva con orgoglio. “U stampatura? E cchi è?” “U tipografu...”.

Come spesso accade ci fu un enorme iato. Le strade si divisero e la vita ci portò su altri lidi. Ma mai venne meno la verve poetica intrisa di catanzaresità in Mario Martino. Pubblicò molti scritti in vernacolo sempre suggeriti e sorretti dall'amore e la bellezza per la terra d'origine.

Ci incontrammo molto tempo dopo in qualche manifestazione d'interesse comune.

Nonostante l'età e qualche capello in meno lo spirito focoso rimaneva uguale e gli si leggeva apertamente, s'alimentava di denuncia propositiva, bellezza e potente volontà di purezza.

In uno degli incontri parlammo e declamò una poesia in dialetto catanzarese “U nnammuratu” e, con un colpo teatrale, seppe stravolgere il pathos crescente. trasformò le aspettative pindariche degli astanti catturati dalla sua verve in una fragorosa risata. Grande Mario!

descrivere l'uomo è difficile. Possiamo forse avvicinarci alla sua anima attraverso la passione del suo fare: la predisposizione dell'anima che si fa stile di vita e trasforma la bellezza poetica in lavoro.

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