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lunedì 16 marzo 2015

Il valore della vita

Un uomo, solo, ma in compagnia di un dolore interiore enorme, ha scritto la parola fine.
Il dramma, maturato lentamente nella sua testa, si è consumato l'altro ieri in un paese jonico catanzarese: Montepaone.
Tra le mura di casa, ha teso una corda e … giù.
Stanco di una situazione personale creatasi nell'apatia generale di quanti dovrebbero tutelare e gstire la società civile ma seguita con attenzione morbosa e punzecchiata dal piacere voyeristico dei media ha ceduto alla umana debolezza: la depressione.


Soffriva per le accuse che gli hanno mosso. La condanna degli ex colleghi. Nonostante la sua strenua difesa non è stato creduto.
Ha ribadito di non avere mai sporcato la toga. Di non essere mai stato colluso col malaffare o essere uno 'ndranghetista. La sua colpa, l'unica, detta da lui, può essere solo ed unicamente quella di essersi fidato di alcune conoscenze in un momento di solitudine coniugale.

Il suo matrimonio stava andando a rotoli e lui ha accettato di alleviare le ferite affettive con delle escort. Dono, pare, secondo gli inquirenti che lo hanno condannato, di gente 'ndranghetista o vicina a qualche cosca locale. Rafforzata da una sentenza favorevole ad un inquisito.

Si può rimanere vittima delle equazioni soggettivizzate dagli inquirenti che applicano le leggi dello Stato?

Lo Stao e il legislatore sono chiamati a rispondere sollevando le imperfezioni legislativi laddove ci sono.
Il governo deve rimuovere gli arroccamenti politici e ideologici. Deve essere garantista. Deve essere attento alla vita dei cittadini e alle sue esigenze. Perché le condanne pesano. Bruciano vite umane a prescindere dalla fondatezza delle prove teorizzate da chicchessia.

Il giudice Giusti si è ucciso non per vergogna ma per dimostrare la sua innocenza. Questo dice il suo legale, l'avvocato Femia.

Ma c'è anche chi sussurra che sia stato “suicidato” e lo scrive tra i commenti del pezzo dell'agenzia giornalistica ANSA dal titolo “Ndrangheta: suicida ex giudice Giusti, era ai domiciliari”.

Ma qui non si vuole, anche perché non abbiamo i mezzi e le possibilità investigative, accusare o condannare l'uno o l'altro. Si avverte l'impotenza dello Stato nella missione della tutela al cittadino, buono o cattivo che sia.