Anche se consentivano riprese a colori, le cineprese
super 8 degli anni settanta, difettavano, oggi diremmo, di
applicazioni basilari come l'audio o il controllo automatico delle
immagini e altre impostazioni video di serie in dotazione persino nei
menù dei moderni telefonini.
La mia prima cinepresa è stata una
Bencini comet 22. una super 8, con la quale, se non si usavano
le dovute attenzioni persino nella durata delle batterie, il rischio
di perdere tempo pellicola e ricordi era un dato garantito. Lusso da
evitare volentieri, visto i costi che aveva una pellicola di 15 metri
con sviluppo incluso ma dalla durata miserevole.
Costi a parte, prima di iniziare a filmare per documentare
un viaggio o un evento familiare era necessario munirsi di almeno
quattro pellicole da assemblare dopo la registrazione e lo sviluppo.
Il cinema neorealista, più che
la corrente impressionista, fu maestro per chi, come me,
appassionato cineasta in erba, a quei tempi, si cimentava a catturare l'attimo
fuggente. Ciononostante, gli errori, alcuni errori, inevitabilmente furono commessi e ne feci tesoro.
Si dice, in gergo dialettale, che la pratica rompe la
grammatica. Io ritengo che il fare sorretto dalla teoria spalanca
orizzonti imprevedibili e, nella comunicazione per immagini, lo
studio associato alle arti applicate permette di raggiungere
risultati inimmaginabili.
Oggi la tecnologia si è evoluta ed è
entrata nelle case di tutti.
Adesso basta schiacciare un pulsante
per registrare videoclip, imprigionare eventi o spaziare nella videoarte.
Il risultato finale dipende dalla
sensibilità e dalla cultura di chi sta dietro l'obiettivo.
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