Il procuratore antimafia di Reggio Calabria Nicola Gratteri, su Radio 24, definisce “politica del giorno dopo” la decisione di mandare i militari a Reggio per rispondere alla criminalità organizzata.
"I militari sono una soluzione? No, assolutamente no, e' sempre la politica del giorno dopo a cui purtroppo i governi degli ultimi venti anni ci hanno abituato". "Bisognava prima coprire gli organici vuoti di migliaia di poliziotti, carabinieri e finanzieri - continua Gratteri -. Prima va fatto l'ordinario, poi se necessaria l'eccezionalità. E' anche una questione di costi. Se arrivano dei militari bisognerà provvedere alla logistica, all'aspetto amministrativo. Se invece trasferiamo stabilmente delle persone non dobbiamo pagare missioni o trasferte. Questi militari avranno bisogno di due mesi per imparare nomi e cognomi, il mese successivo inizieranno a lavorare e il mese dopo ancora saranno riassorbiti pian piano". Gratteri si è detto anche contrario alla proposta di schierare l'esercito nei cantieri dell’A3 Salerno-Reggio Calabria dove si susseguono attentati ai mezzi delle aziende: "Così si può limitare che salti un escavatore ma la tangente è discussa a monte, prima che si inizino i lavori. Se salta una betoniera significa che sono saltati gli accordi, ma la verità èche non esiste un solo chilometro di autostrada in ristrutturazione in cui ogni locale di 'ndrangheta non voglia la sua fetta.
Dalle indagini in corso non c'è un solo chilometro esente da questo problema". E ancora: "Da gennaio a oggi abbiamo arrestato mille 'ndranghetisti e in questo momento ce ne sono liberi 10mila nella sola provincia di Reggio Calabria. Come si fa a dire che la 'ndrangheta è in crisi?".
L’attimo più intenso, Gratteri lo ha toccato quando ha parlato della sua esperienza da calabrese, costretto, nella vita da magistrato, a fare arrestare vecchi compagni di scuola: "Purtroppo erano ragazzi sfortunati, nati nella famiglia sbagliata. Io ho avuto la fortuna di nascere in una famiglia onesta, umile ma di grandi valori morali e mi sono salvato. Se fossi nato in una famiglia di 'ndranghetisti oggi sarei sicuramente un capomafia. Essere della 'ndrangheta non e' una scelta, e' una cultura, una religione, un credo. Ci si nutre di cultura mafiosa fin dalla nascita: quando un bambino di 4-5 anni vede i Carabinieri che gli sfondano la porta di casa per portare via il padre o lo zio trafficante di cocaina, il bambino identificherà lo Stato nello sbirro che gli porta via il padre".
C’è poco da aggiungere! Questa è la verità! Se lo Stato vuole davvero mettere in crisi la criminalità organizzata deve fare una cosa semplicissima: creare posti di lavoro e sviluppare la cultura della legalità intervenendo sulla scuola, l’arte e i processi formativi tout court con i fatti e non coi proclami elettoralistici.
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