Sul comò, in camera da letto, mia
madre aveva raggruppato le foto dei nonni e degli zii. Il centrino
ricamato li raccoglieva in una sorta di spazio dedicato alla
preghiera e al ricordo.
Il fratello di mamma, in divisa, morì
non so dove in guerra, lasciando la giovane moglie e il figlioletto
soli.
Quando la guerra finì, il governo
italiano promosse accordi politici con gli Stati ricchi di materie
prime ma povere di maestranze. Ebbe inizio il primo grande esodo.
Francia, Germania, Svizzera, Americhe, Argentina, Brasile e anche il
nord Italia furono mete dei nostri padri e nonni.
Nonno Carlo, mi raccontò mia madre,
partì per le Americhe in cerca di fortuna ancor prima. Lui, come si
diceva una volta, era un benestante prima che maestro di musica e in
paese lo rispettavano tutti.
Anche le figlie erano rispettate e,
raccontava mia madre, che anche lei, se pur ancora ragazzina, a quel
tempo era ossequiata e siccome era d'uso tra i paesani togliersi il
cappello in segno di saluto anche in assenza degli ospiti, lei
sorrideva all'inutilità degli inchini fatti all'aria e al niente
dagli uomini rimasti in paese. Ma questi erano gli usi e i costumi
dell'epoca di mio nonno.
Purtroppo oltre al rispetto, generato
dalla cultura ossequiosa e sacrale legata alla terra, non c'era
nient'altro in quel paesino di quattro case e una chiesa. La crisi
toccò proprietari terrieri, latifondisti e artigiani.
La terra non dava più i frutti
necessari per il sostentamento delle famiglie numerose e gli
artigiani non avevano committenze. Cosicché, gli uomini in forze
raccolsero nelle valigie di cartone gli effetti personali e
partirono verso nuovi mondi, certi di alleviare la fame e la miseria
dei congiunti suffragati dagli accordi politici post-bellici tra il
governo italiano e gli Stati in via di sviluppo; così ebbe inizio il
primo grande esodo.
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