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sabato 11 agosto 2012

25 lire per una favola

Semplici e poeticamente patetici. Questa la definizione più appropriata per rappresentare l'atmosfera degli anni sessanta e settanta quando si iniziavano a vedere dappertutto le prime copie dei fotoromanzi. All'inizio fu il bianco e nero a narrare gli amori ingenui conditi con un pizzico di maliziosa morbosità consentita dalla censura del tempo.
Gli “attori” sembravano statuine posizionate in atteggiamenti plastici inverosimili, impensabili nella realtà.
E i testi? Elementari, sintetici, efficaci!
Era la realtà virtuale dei primi anni settanta venduta per poche lire nelle edicole.
Non c'era luogo frequentato da donne, ma anche dai maschietti, esente di almeno una copia fotoromanzosa. Quasi in tutte le case come dal parrucchiere, dal dentista e persino dal meccanico si poteva trovare una copia di “Grand Hotel, Sogno” e sfogliare un amore a fumetti.
Anche i cantanti non disdegnavano il racconto per immagini e trasbordavano volentieri dal mondo della musica in quello del racconto fotografico. Per loro era una mossa astuta di marketing. Regalavano storie d'amore ai fans e promuovevano l'ultima canzone.

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