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mercoledì 20 gennaio 2010
fernanda pivano e la beat generation
Fernanda Pivano e la beat generation
Per Fernanda, i tanti autori conosciuti in prima persona non sono strumenti di semplici pezzi di storia letteraria ma frammenti della sua esistenza in cui si uniscono anni di vita e di studio, tant’è che definisce genericamente " miei eroi" la totalità; "miei beat" Ginsberg e Kerouac, e “miei maestri” Abbagnano, Hemingway e Pavese. Hemingway e Pavese, agli occhi di Fernanda Pivano, hanno in comune una integrità professionale e morale assoluta.
Attenta alle mutazione della società e della cultura americana traduce Hemingway, Faulkner, Fitzgerald e li propone in Italia nella sua pubblicazione degli scrittori contemporanei più rappresentativi: dagli esponenti del movimento nero, come Wright; ai protagonisti del dissenso non violento degli anni '60, Ginsberg, Kerouac, Burroghs, Ferlinghetti, Corso; fino agli autori "minimalisti", prima Carver poi Leavitt, McInerney, Ellis.
L’“esploratrice” italiana della beat generation, Fernanda Pivano, Figlia di Riccardo, illuminato miliardario possessore di una banca, e della bellissima Mary Smallwood, nasce a Genova il 18 luglio del 1917, dopo le elementari, nella scuola svizzera, l'infanzia genovese, all’età di 9 anni si trasferisce a Torino e qui, al liceo d'Azeglio, incontra Primo Levi. Laureatasi nel 1941 con una tesi su Moby Dick, due anni dopo inizia l’attività letteraria sotto la guida di Cesare Pavese con la traduzione dell'Antologia di Spoon River di E.L.Masters. Allieva di Pavese e Nicola Abbagnano, ordinario di storia e filosofia dell’università di Torino, esponente della corrente esistenzialista italiana e fondatore dell’esistenzialismo positivo, consegue una seconda laurea in filosofia nel 43, lavora al fianco di Abbagnano come sua assistente per diversi anni.
Fernanda, innamorata della letteratura, nel 1948, a Cortina, conosce Hemingway e traduce il suo Addio alle armi. Nel 1949 sposa Ettore Sottsass jr, che fotografa e immortala i tanti viaggi indimenticabili e gl’incontri con Allen Ginsberg, Jack Kerouac, Gregory Corso, Lawrence Ferlinghetti, Neal Cassidy.
Nanda, s’innamora della letteratura americana per la forma scarna della narrazione, in netta antitesi con la tradizionale letteratura pragmatica e accademica europea; letteratura libresca, basata su indagini psicologiche.
"Mi hanno attaccata per non aver mai valutato i libri, ma io mi sono limitata ad amarli, non a valutarli: questo lavoro lo lascio ai professori".
Questa sua frase evidenzia il distacco dall'estetica pura impartita nei corsi di studi convenzionali e basa l’interesse letterario personale sulle vicende biografiche, sull'ambiente e sui fermenti sociali in cui sono immersi gli autori.
Bellezza e utilità dei volumi da lei tradotti è spesso documentata nelle lunghe e introduzioni accompagnate da saggi biografici. Dall'osservazione della realtà americana nascono i saggi: "America rossa e nera" (1964); "L'altra America negli anni Sessanta" (1971); "Beat Hippie Yippie" (1977); "C'era una volta un beat" (1976); "Il mito americano" (1980). Altri scritti sono raccolti anche in "La balena bianca e altri miti" (1961); "Mostri degli anni Venti" (1976).
Il primo viaggio negli Stati Uniti e' del 1956 e in India del 1961. Nel 1959 esce in Italia, con la prefazione della Pivano, Sulla strada (Mondadori) di Kerouac e nel 1964 Jukebox all'idrogeno di Ginsberg da lei curato e tradotto.
Nella sua movimentata vita, come già visto, incontra i maggiori scrittori contemporanei: Saul Bellow, Henry Miller, John Dos Passos, Ezra Pound, Gore Vidal, Jay McInerney, Judith Malina e il Living Theater e gli italiani Giuseppe Ungaretti, Alfonso Gatto, Salvatore Quasimodo.
Nel 2001 si reca a Ketchum, nell'Idaho, in un viaggio che la riporta nei luoghi della beat generation e dei suoi amici scrittori per il film documentario A farewell to beat di Luca Facchini.
Ma, Nanda è anche pianista! Diplomata al decimo anno di conservatorio, apprezza ed entra in sintonia con molti musicisti, tra questi: Bob Dylan, Lou Reed, Jovanotti, e Fabrizio De Andrè che considera enfaticamente e con affetto il piu' grande poeta italiano del secolo al quale dedica un testo che ha lo stesso titolo della canzone di De Andrè “La guerra di Piero” interpretato da Judith Malina. In occasione dei suoi 90 anni, nel 2007, conferma la sua gratitudine agli intellettuali che le hanno consentito di coltivare la passione per l’arte: "ho avuto due o tre eroi nella mia vita: il più grande e' stato Ginsberg. In America stanno pubblicando le lettere che mi ha scritto, mi raccontava cosa aveva visto dovunque andasse. Hemingway e' stato al di la' della misura. I miei maestri prima dell'America sono stati Pavese e Abbagnano, mi hanno insegnato tutto quello che so. Sono stata un'esistenzialista".
Per concludere, Fernanda Pivano è stata una figura carismatica della cultura italiana antifascista, frequentò poeti e scrittori della Beat Generation. Visse in America, a stretto contatto con Kerouac e gli atri artisti del movimento beat ma mai si lasciò tentare dai paradisi artificiali usati dai suoi amici per esplorare i mondi del subconscio; nemmeno uno spinello, diceva, niente alcol, funghi e peyote, Lsd e tutto il resto, nemmeno a pensarci. In America dal 1956, capì subito la novità rappresentata dai cercatori di nuovi stati di coscienza. Giovani contestatori che modulavano prose e versi sui battiti del bebop, il jazz esistenzialista di Charlie Parker, (secondo alcuni, padre dello stile jazz chiamato bebop. Virtuoso del proprio strumento, che suonava con una tecnica eguagliata da pochi, fu anche un personaggio dalla vita tormentata, segnata dalla dipendenza dalla droga e dall'alcool: il peggio di uno stile di vita che echeggiò al di fuori del campo strettamente musicale; ispirò i poeti della beat generation, nelle cui liriche, il jazz e Parker stesso sono citati.) i musicisti neri si pongono due obiettivi: liberarsi dai rigidi arrangiamenti delle big band per esprimersi e manifestare liberamente la loro ribellione al mondo ipocritamente sorridente di quegli anni.
Per Jack Kerouac, Allen Ginsberg, Gregory Corso, Lawrence Ferlinghetti, Nanda fu una affettuosa sorella maggiore, una vice-madre saggia e comprensiva. Fu lei a tradurre i loro libri, a battersi perché opere come Sulla strada e Urlo fossero pubblicate in Italia. Dedicò soprattutto ai poeti i suoi sforzi maggiori, componendo l’antologia Poesia degli ultimi americani (Feltrinelli) con la quale offrì ai lettori italiani un tesoro di novità. Li ospitò nella sua casa a Milano (in quel periodo, Nanda era ancora sposata con l'architetto Ettore Sottsass), li aiutò e si fece spiegare il senso e le allusioni della loro lingua da iniziati, senza pregiudizi. In una rara intervista televisiva realizzata per la Rai, Fernanda Pivano chiese a Kerouac: «Jack, dimmi, ma perché non sei felice?» E lui, visibilmente deturpato dall’alcol, non rispose.
giovedì 14 gennaio 2010
Kerouac, Ginsuberg, scrittori della beat generation
Jack Kerouac, Allen Ginsberg e il movimento beat
Il sogno della generazione beat non dura a lungo e come tutti i sogni cessano al mattino. L’impatto col giorno riporta le menti all’amara realtà, alle prese con le teorie pratiche voracemente consumistiche, freddamente gestite dalle lobby di potere.
L'enorme campagna pubblicitaria condotta in America sul fenomeno beat riesce ad inflazionare il movimento stesso. Condiziona il vasto pubblico che, indottrinato, ripete i luoghi comuni del battage pubblicitario o i pregiudizi della critica conservatrice. Insomma, si evidenzia soltanto l'aspetto esteriore della vita beat. Diventa una moda la cui connotazione esteriore è ravvisabile nei capelli lunghi, barba incolta, vestiti estrosi, conseguenza sicuramente lontana dall’intenzione dei promotori.
La generazione del secondo dopoguerra s’identifica negli scritti di Kerouac e Ginsberg che, per le tematiche trattate, li elegge idealmente portabandiera del movimento pacifista.
I libri beat, negli anni sessanta, sono accolti dalla critica con severità e asprezza; tant’è che il successo di "Sulla strada" di Kerouac e "Urlo" di Ginsberg, è marchiato dai critici come un fenomeno di curiosità collettiva, un fatto di costume e li bollano di letteratura sgrammaticata, prosa scomposta, verbosità sterile priva di poesia innovativa.
Quando Kerouac dichiara di professare il buddismo e dedicarsi alla meditazione zen, i detrattori del movimento letterario beat riprendono a confutare l’assenza innovativa e asseriscono che l'intera faccenda beat è e rimane un fenomeno esclusivamente pubblicitario. Incuranti, Kerouac e Ginsberg continuano a scrivere e pubblicare anche scritti degli anni precedenti, quando, sconosciuti, aspettano un editore disposto a pubblicare le loro opere.
Intorno alla metà degli anni 60, arrivano in Europa e anche qui i critici assumono un atteggiamento di raffronto in riferimento alla letteratura europea.
In Europa il movimento beat è subito sminuito e ricondotto alla letteratura esistenzialista francese del secondo dopoguerra. Solo dopo qualche anno in America si sviluppa un’analisi letteraria che differenzia la Beat Generation dalla Lost Generation, rivoluzione attiva l'una e passiva l'altra. Allo scopo di spiegare il rapporto tra passività e misticismo contemplativo della religione Zen.
La prosa di Kerouac, studiata e analizzata a fondo, lascia intendere che non tiene in considerazione l'esistenza del razionale ma solo l’aspetto della realtà biologica e fisiologica. I beat non si preoccupano di distruggere mitologie o sovrastrutture mentali, rifiutano completamente il consorzio umano concepito dalla borghesia capitalista.
Nelle prime opere di Kerouac e Ginsberg si nota l’entusiasmo ai fatti quotidiani come fonte di ispirazione. Questa caratteristica differenzia gli scrittori americani dai fenomeni letterari europei basati su esperienze intellettuali o ideologiche. Da ciò, si intuisce pienamente il rifiuto della scienza intesa come arma di persuasione. Infatti, la generazione beat dichiara che con il lancio della bomba atomica si decreta la fine dei tre mostri che hanno distrutto la gioventù dei precedenti trent’anni, Freud, Marx e Einstein. Sintomatica, quindi la differenza tra certa poesia beat e le folgorazioni di Rimbaud o le illuminazioni di Blake, pur riconosciuti dai beat come gli europei più vicini alla loro poetica.
Le visioni metafisiche di Ginsberg non sono concettuali come quelle di Rimbaud ma sono deformazioni di immagini concrete, carnali, che possono andare da un semaforo ad un'insegna al neon. Anche Kerouac, considera necessario vivere la vita con passione e scrivere per la propria felicità personale. Kerouac consiglia di scrivere “con eccitazione in fretta fino ad avere i crampi in accordo alle leggi dell'orgasmo”. Si rifà in questo alla scrittura automatica, all’improvvisazione jazzistica per conferire un ritmo serrato ai suoi scritti. Le parole dello slang beat sono violente, incisive, veloci e monosillabici, carichi di tensione e potenza allusiva.
La vita di Kerouac e dei beat non finisce in rovina come quella dei dadaisti o degli espressionisti o dei surrealisti europei, ma comincia in rovina. Per i beat non c'è futuro e non c'è passato nel caos del mondo, esiste solo un istantaneo presente, inesplicabile e nemico, che solo la liberazione dalle dimensioni dello spazio e del tempo può far provvisoriamente superare. Gli elementi per superarle sono fisiologici (come l'orgasmo) o mistici (come le visioni) o passionali (come il jazz) o artificiali (come la droga). La qualità fondamentale di Kerouac e dei beat va ricercata nell'intensità emotiva, nelle immagini dense e vibranti.
La cultura Beat ha segnato l'intera generazione del secondo dopoguerra e ancora oggi, a distanza di oltre mezzo secolo, è innovativa e rivoluzionaria.
mercoledì 13 gennaio 2010
utopie generazionali: beat generation e la forza dell'amore
Quando si parla di Beat Generation la memoria storica corre in America e localizza il movimento giovanile in due sedi, New York e la Baia di San Francisco. In entrambi i luoghi, il fervore creativo rinnovò i linguaggi artistici della pittura, della scrittura, della musica e dei linguaggi in genere compreso l’abbigliamento; il tutto contaminato dalla filosofia di vita che spinge gli uomini all’amore universale e che lega i popoli alla madre terra. L'atmosfera solare e naturistica della West Coast, e quindi di San Francisco, contribuì a stemperare gli spiriti inquieti degli scrittori beat di New York e molti, soggiogati dalla natura selvaggia della California, si convertirono al Buddismo. San Francisco beneficiò della loro presenza; anche la scena musicale dal sapore acido degli anni sessanta nata con Ken Kesey's è frutto della cultura beat. La città di San Francisco divenne la Times Square della prima generazione beat e la mitica libreria "City Lights bookstore" di Lawrence Ferlinghetti è ancora all'angolo fra Broadway e Columbus. Più a sud troviamo Monterey, Carmel-by-the-Sea e la costa montuosa nota come Big Sur, qui, nel 1961, Jack Kerouac trascorse un’estate intera immerso nella solitudine della meditazione.
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