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sabato 23 aprile 2016

L'Italia i giovani e il potere

Ho fiducia.

Ho fiducia nelle giovani menti quando dicono di volere cambiare il mondo.
giovani e potere
(installazione, gentile concessione arch. iannino)
Anche la mia generazione si è data da fare per cambiarem in meglio la società. Puurtorppo lungo il
viaggio molte argomentazioni sono cambiate, manipolate strumentalmente a volte in buona fede per dare risposte immediate al malessere sociale.

Negli anni della contestazione studentesca, stagione unica e intramontabile, (gli studenti di qualsiasi era sono e saranno sempre alla ricerca continua di startegie politiche per arginare i sopprusi sociali imputabili ai padri e aprire il varco temporale che conduce gli sfruttati nell'eden tranquillo dettato dal benessere terreno) i figli del '68 si scherarono contro i padri.


Giovani di buona famiglia, i cosiddetti figli di papà. della borghesia e dei “padroni” hanno consapevolmente saltato la staccionata e si sono messi dalla parte dei poveri e dei diseredati convinti di potere cambiare il gioco delle parti e apportare giustizia sociale.
Alcuni di loro riuscirono ad arrivare al potere. S'insediarono e leggiferarono. Altri intrapresero percorsi differenti. Qualcuno divenne uomo di cultura. Qualcun altro docente nelle diverse strutture istituzionali o private. E, qualcun altro. Pochi, pensarono di sovvertire l'ordine costituito con la violenza. Attentati, rapimenti, sequestri. Operazioni suggerite da menti malate e povere culturalmente.

L'epilogo di così tanta abnegazione nel volere cambiare in meglio la società è conosciuta e ne stiamo subendo le conseguenze.
Non dico che ci sia stata mala fede nelle generazioni passate. Almeno c'era nell'aria l'odore dell'adrenalina nelle piazze, sotto i palchi dei leader politici e sindacali si respirava un sano phatos. C'era la consapevolezza di una possibile scalata sociale per i volenterosi figli di operai e lavoratori caparbi, ragazzi che volevano studiare e farsi una cultura per crescere.
Essere diplomati o laureati, fino a ieri, significava qualcosa. Era l'inizio.

I giovani di oggi sono per lo più tutti con un attestato nel cassetto che non trova sbocchi nel mondo del lavoro. Laureati che fanno i camerieri o che si presentano in centinaia di migliaia per un posto da postino. Diplomati e laureati a zonzo... ma sempre con il pallino di volere cambiare questo mondo governato dai loro coetanei mossi dai burattinai di sempre.
Ma non tuto è perduto. Ho fiducia. Confido nella sovrannaturale cultura dell'empatia. Una sorta di malattia interiore che non si apprende sui banchi di scuola.
L'empatia è un virus contagioso che spinge a comprendere e condividere. È consapevolezza dell'altro, delle sue esigenze, che sono le stesse delle tue e delle mie. Stati d'animo che ci fanno sentire nell'inferno o nel paradiso in base allo status sociale nella nazione in cui si approda. è solo e semplicemente una questione di sensibilità culturale priva di bandiere, simboli e dogmi terroristici.

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