sabato 16 gennaio 2010
Lawrence Ferlinghetti e l'autocoscienza sociale
Lawrence Ferlinghetti
Nasce il 24 marzo del 1919 a Yonkers; da padre italiano e madre ebrea/francese. Orfano fin dalla nascita, il padre muore prima che egli nasca, mentre la madre, ricoverata per un forte esaurimento nervoso, non riesce ad accudirlo ed è affidato agli zii materni che lo portano in Europa e poi di nuovo a New York. A causa di problemi economici viene messo in un orfanotrofio e poi ripreso con sé dalla zia in una ricca casa presso cui lavora. Poeta e pittore; esponente di spicco della beat generation, il suo “Coney Island of the Mind” è il secondo libro più venduto al mondo dopo la Bibbia.
Ma, prima dell’avventura culturale si arruola in marina, sbarcando in Normandia e permanendo anche a Nagasaki, per tornare, successivamente a iscriversi come reduce alla Columbia University. Nel '50 si laurea alla Sorbona. Inizia a scrivere e a dipingere e svolge il ruolo di insegnante.
Nel giugno del 1953 apre con Peter Martin una libreria specializzata in edizioni tascabili, al 261 di Columbus Avenue la City Lights Pocket Publisher and Bookshop, prima libreria e casa editrice americana di soli tascabili e luogo di ritrovo di poeti ed artisti.
Nel 1956 è processato e assolto per la pubblicazione di “Howl” di Allen Ginsberg, quarto libro della serie Pocket Poets. Il suo “A Coney Island of the Mind” vende oltre un milione di copie. Tra gli altri suoi libri: “Her, Starting from San Francisco, Routines, The Secret Meaning of the Things, Who are We Now, Endless Life, Love in the Days of Rage, These are my Rivers, A Far Rokaway of The Hearth, Shards-Cocci, What is Poetry, Americus, Blind Poet”.
La sua condotta, apertamente contraria al governo statunitense degli anni 60, suscita le attenzioni dell’effebiai, iscritto nelle liste dei cittadini sorvegliati dall’agenzia governativa (F.B.I.), è arrestato nel 1965 per aver protestato contro la guerra in Vietnam. Nuovamente libero, gira per il mondo e porta ovunque il suo impegno di scoperta, valorizzazione e ampliamento dell’autocoscienza individuale e sociale, riscontrabile nelle sue parole: “Penso che non si debba più usare il termine ‘poesia’ ma ‘messaggio orale destinato al pubblico. Penso che le poesie bisogna gridarle, magari accompagnarle con complessi musicali jazz (…) Insomma fare tutto il possibile perché questi messaggi orali riescano a cambiare un po’ la coscienza e il cuore dell’uomo. Penso che non si possono più scrivere poesie d’amore ma lunghe poesie di impegno; che si debba affilare il verso come un’arma destinata alla pace”.
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