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martedì 30 aprile 2013

Martina non perdona e neanche noi

Martina: sono orgogliosa di mio padre.


E sfido io. Quale figlia o figlio non è orgoglioso del proprio padre!

Ma il punto non è questo, la cosa che fa incazzare sta nel modo in cui è trattato l’argomento.
I mass media girano il mestolo nella brodaglia della libido che si alimenta spiando dal buco della serratura gli affetti e le emotività altrui.


Certo, fa specie sapere che un uomo, un padre di famiglia, rischia l'incolumità nell'adempiere al suo lavoro. Evenienza contemplata, purtroppo, ma che può accadere e che deve essere intesa come un infortunio. Perché di questo si deve parlare. Di infortunio sul lavoro.

Per un muratore l’infortunio è dato dalla caduta di un’impalcatura o da qualche peso che gli cade sopra la testa. Insomma da qualcosa d’imprevedibile che sta in agguato.
E chi fa il carabiniere, passione a parte, perché anche il muratore è passione, sa bene che il suo rischio è quello d’imbattersi in un colpo vagante o essere vittima in qualche tafferuglio  scaturito dal disagio sociale.

Quindi, bando alle ciance, è ovvio che tutti indistintamente siamo addolorati per il brigadiere che rischia conseguenze gravi. Ma  principalmente, come italiani, siamo addolorati per il clima di tensione che esaspera padri e madri di qualsiasi ceto sociale. Lavoratrici, lavoratori, disoccupati, pensionati, studenti, sfruttati e malpagati.

Anche chi ha sparato, ed ha fatto malissimo, è stato ferito nell'animo prima e nel fisico poi, quando catturato dai carabinieri, nella voga della colluttazione è stato immobilizzato a terra.

Ma, ripeto, le ferite fisiche si curano e spesso passano. Diverse, sono le ferite interne, causate dall'ignavia di chi dovrebbe gestire il buon andamento della cosa pubblica piuttosto che giocarci fino a trasformarli in privilegi per sé o per una porzione di banderuoli che assediano le istituzioni.


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