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venerdì 22 ottobre 2010

dallo Zecchino d'oro a ti lascio una canzone

Dallo Zecchino d’oro ai nuovi programmi canori televisivi; come, ti lascio una canzone e simili.

Lo spettatore è disarmato; lo dice la parola stessa: spettatore! Cioè chi aspetta e osserva inerme le cazzate pilotate ma anche le pochissime cose intelligenti trasmesse dalle televisioni e dai vari canali comunicativi detti, genericamente, mass media, cioè mezzi di comunicazione di massa, che dietro lauti guadagni divulgano notizie.

In effetti, la gente che fa televisione vomita i propri convincimenti senza porsi molti interrogativi su come possono essere accolti dal pubblico.

Questi signori, pensano allo share, alle percentuali d’ascolto e a quanta pubblicità possono vendere se le cose vanno bene. Si assiste, perciò, a lunghe puntate di cronaca nera, alle disavventure della star di turno, al gossip casareccio, a programmi fatti con bambini e ragazzi impostati da maestri di canto e recitazione presentati come talenti in erba ma che non lo sono, e si vede benissimo dalla postura, dalla tenuta scenica e dall’impostazione professionale della voce. Tutti fattori acquisiti dopo anni di seri e forse snervanti studi salvo sporadici casi d’innate passioni di certi bambini che preferiscono lo studio del canto e della musica al gioco.
Indubbiamente è piacevole vedere una persona esprimere bene una certa professione, ecco, di “professione” si può parlare, non di passione innata o traguardi da autodidatta. E qui viene in mente la fatidica frase: fare diventare i figli ciò che non siamo noi o che avremmo voluto essere.

Credo che il business e la voglia di primeggiare a qualsiasi costo siano elementi condizionanti in alcuni e pur di avere il proprio minuto di celebrità siano disposti a qualunque sacrificio, anche negare la fanciullezza ai figli. E fino ad oggi la televisione è stata una cattiva maestra a eccezione dello “Zecchino d’oro e del coro dell’Antoniano” dove i bambini fanno i bambini e non si travestono da star. Checché ne dicano gli interessati che si sentono chiamati in causa.

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