Dal cucuzzaro al giudice: così giocavamo
Chi ha più di cinquant'anni ricorderà
senz'altro i passatempi di una volta quando per divertirsi in
compagnia bastavano le parole per coinvolgere e allietare i presenti,
magari aiutandosi con oggetti improvvisati.
Ricordate il gioco del “cucuzzaro”?
C'era uno della compagnia, solitamente
il più grande d'età che assegnava i numeri ai presenti. Dalla
cucuzza numero uno fino ad arrivare alla totalità dei giocatori.
Fatto questo iniziava la cantilena: “ieri sera sono andato nel mio
orto e ho contato cinque cucuzze. Cinque? Rispondeva il giocatore che
aveva associato il numero 5. No erano tre! Perché tre? Interveniva
il tre chiamando in gioco un altro dei presenti. Erano sette! Perché
7? era tutto il cucuzzaro!” e così via fino a quando qualcuno
sbagliava e doveva pagare pegno o ci si stancava e si passava al
gioco successivo oppure si scioglieva la compagnia e si tornava a
casa.
C'erano, però, anche giochi da veri
maschiacci come la cavallina o la morra dove chi perdeva doveva
pagare pegno e subire dei colpi violenti, inferti, con un fazzoletto
teso e annodato, sulle mani aperte. E poi c'era il gioco del
“giudice”.
Antropologicamente, il gioco del
“giudice” riportava agli albori della civiltà contadina per lo
l'oggetto usato e per la fatalità assegnata all'azione stessa del
gioco.