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martedì 28 aprile 2015

Bastava poco per essere felici

Dal cucuzzaro al giudice: così giocavamo 


Chi ha più di cinquant'anni ricorderà senz'altro i passatempi di una volta quando per divertirsi in compagnia bastavano le parole per coinvolgere e allietare i presenti, magari aiutandosi con oggetti improvvisati.

Ricordate il gioco del “cucuzzaro”?
C'era uno della compagnia, solitamente il più grande d'età che assegnava i numeri ai presenti. Dalla cucuzza numero uno fino ad arrivare alla totalità dei giocatori. Fatto questo iniziava la cantilena: “ieri sera sono andato nel mio orto e ho contato cinque cucuzze. Cinque? Rispondeva il giocatore che aveva associato il numero 5. No erano tre! Perché tre? Interveniva il tre chiamando in gioco un altro dei presenti. Erano sette! Perché 7? era tutto il cucuzzaro!” e così via fino a quando qualcuno sbagliava e doveva pagare pegno o ci si stancava e si passava al gioco successivo oppure si scioglieva la compagnia e si tornava a casa.

C'erano, però, anche giochi da veri maschiacci come la cavallina o la morra dove chi perdeva doveva pagare pegno e subire dei colpi violenti, inferti, con un fazzoletto teso e annodato, sulle mani aperte. E poi c'era il gioco del “giudice”.
Antropologicamente, il gioco del “giudice” riportava agli albori della civiltà contadina per lo l'oggetto usato e per la fatalità assegnata all'azione stessa del gioco.


"il giudice"
Il “Giudice” lanciava in aria un osso recuperato dai rimasugli della zampa del maiale (un tempo non c'erano gli ipermercati o le cittadelle commerciali, si costruivano i giocattoli con i materiali che c'erano a disposizione e tutti indistintamente facevano le provviste in casa. Si panificava sempre e in inverno si uccideva il maiale per assicurare alla famiglia la carne salata e affumicata nonché il grasso per i condimenti e sopperire così all'assenza delle moderne e comode macchine refrigeranti,utilissime per conservare gli alimenti senza le quali, oggi, non sapremmo vivere).

Il “giudice”, dicevamo, è un ossicino della zampa del maiale. Ha forma parallelepipeda con rotondità avvolgenti da un lato e quelle rappresentano la “grazia”. Ad ognuna delle tre facce rimanenti si assegnava una “penalità” variabile che dipendeva dalla fantasia di chi gestiva il gioco: il giudice!